Cambogia: il 26 novembre nuovo processo del regime contro l’opposizione

Cambogia: il 26 novembre nuovo processo del regime contro l’opposizione

Il 26 novembre avrà inizio nella capitale della cambogiana Phnom Penh un nuovo processo nei confronti di 140 membri del Partito di Salvezza Nazionale Cambogiano (CNRP), ufficialmente sciolto dopo una sentenza della Corte Costituzionale nel 2017, con una mossa definita la “fine della democrazia” in Cambogia, eliminando di fatto l’intera opposizione democratica nel Paese. Questa decisione, seguita dall’arresto del Presidente del CNRP Kem Sokha – tutt’ora sotto regime di libertà condizionata – ha provocato un esodo di maggior parte della leadership del Partito, tra cui il nostro Membro Onorario Sam Rainsy e la Vice Presidente del CNRP, iscritta al Partito Radicale, Mu Sochua.

Gli esiliati non hanno mai rinunciato alla lotta per la democrazia e lo Stato di Diritto nel loro Paese, e continuano instancabilmente a lavorare presso le Istituzioni nazionali ed internazionali affinché i loro diritti siano ripristinati. L’anno scorso, Sam Rainsy aveva annunciato il suo ritorno nel Paese, in un tentativo di dialogo con il regime di Hun Sen, senza però riuscirci a causa del blocco posto dal dittatore Hun Sen, al potere da oltre trent’anni. Oggi, chiunque abbia espresso sostegno a quel tentativo si ritrova in tribunale con accuse di tradimento, incitamento al disordine pubblico e altri reati correlati.

Segno ulteriore dell’assenza completa di Stato di Diritto nel Paese e della natura prettamente politica del processo, è l’impossibilità per i membri dell’opposizione in esilio di recarsi al loro processo, e quindi di difendersi dalle accuse secondo le minime garanzie giudiziarie. In merito, Mu Sochua, che ha partecipato alla conferenza del 23 novembre sui prigionieri politici, ha rilasciato la seguente dichiarazione.

Convocati dal Tribunale ma banditi dal regime di Hun Sen

Insieme a tre colleghi sono partita in macchina da Rhode Island, attraversando quattro Stati con una notte di riposo in Virginia, per poter raggiungere la nostra destinazione: l’Ambasciata del Regno di Cambogia a Washington DC. Due veicoli della polizia erano già parcheggiati davanti all’Ambasciata e il cartello diceva “chiuso”. Era martedì 10 novembre. I funzionari dell’Ambasciata avevano avvertito la polizia di una protesta e chiesto assistenza.

Tutto quello che avevamo tra la mani da mostrare agli agenti di polizia era una busta indirizzata al Ministro degli Interni del Governo della Cambogia. La lettera conteneva la nostra richiesta di passaporti validi come cittadini Khmer per poter tornare in Cambogia come ordinato dal Tribunale municipale per affrontare il nostro processo. Alla fine della giornata, l’Ambasciata ha rilasciato una dichiarazione in quattro punti in cui si tessono le lodi per i vari servizi a disposizione di tutti i cittadini Khmer, ma con una precisazione al quarto punto: “l’Ambasciata non è al servizio dei pochi cittadini Khmer che vivono al di fuori della legge.”

Il governo cambogiano, rappresentato dalla sua Ambasciata a Washington, DC, ha ostacolato i procedimenti giudiziari ufficiali nei nostri confronti chiudendo i suoi cancelli nel giorno della nostra visita e dichiarando il rifiuto ufficiale di assisterci come cittadini Khmer. Come cittadini, abbiamo diritto a documenti vitali che includono passaporti e altri documenti come prova della nostra identità nazionale. I nostri diritti di nazionalità, identità e diritto al ritorno in Cambogia sono diritti costituzionali. Inoltre, solo con un documento di viaggio valido possiamo tornare per essere presenti il giorno del nostro processo.

Il chiaro intento del governo cambogiano di impedirci di essere presenti al nostro processo altro non dimostra che la sua volontà di procedere con un processo in contumacia che l’apparato mediatico del governo può utilizzare per dipingerci come codardi e dichiarare la nostra colpa tramite la nostra assenza. L’altro motivo per cui tenerci fuori dalla Cambogia è il voler evitare un’accoglienza di massa da parte dei cittadini che continuano a considerare il CNRP l’unico partito politico in grado di rilanciare la democrazia e portare un cambiamento positivo nel Paese.

Le accuse nei nostri confronti vanno dal tradimento all’istigazione al disordine pubblico e altri atti criminali correlati. Se giudicati colpevoli, potremo dover affrontare pesanti pene detentive fino a trent’anni.

Io e i miei tre colleghi siamo tra i nove leader del CNRP, noti anche come “i Nove”, convocati del Tribunale municipale di Phnom Penh, mentre altri 131 membri del CNRP che vivono dentro e fuori la Cambogia sono stati chiamati a comparire in un processo fissato per il 26 novembre 2020. Le convocazioni sono affisse sul cancello di ferro della sede del partito, attualmente presidiato dalla polizia e interdetta al pubblico.

Gli arresti arbitrari e le detenzioni cautelari prolungate di membri del partito di opposizione, attivisti, monaci, artisti e critici del governo devono cessare. Il processo farsa del 26 novembre amplierà ulteriormente il divario nazionale e la vittimizzazione di cittadini innocenti le cui vite sono già rese difficili dalla perdita del lavoro, dal Covid19 e dai crescenti debiti.

Un intero apparato governativo formato da esperti cinesi è allestito per monitorare gli account Facebook che sono critici nei confronti della cattiva gestione della pandemia da parte di Hun Sen. Coloro che osano esprimere certe opinioni vengono rieducati dalle autorità o vengono arbitrariamente arrestati e messi in custodia cautelare. A giugno è stata adottata una legge sullo stato di emergenza che è a disposizione del Primo Ministro ogni volta che desidera utilizzarla.

La Cambogia è uno stato a partito unico. All’interno del paese, membri dell’opposizione vengono attaccati fisicamente e lasciati con gravi ferite o paralizzati a vita. Non è mai stata condotta una indagine su questi attacchi. Le famiglie di centinaia di prigionieri politici sopportano gravi difficoltà economiche ed emotive. I loro figli sono costretti a lasciare la scuola. Migliaia di nostri membri e sostenitori sono strettamente controllati dalla polizia locale, costretti a confessare o ad unirsi al partito al governo. L’obiettivo del governo è seminare la paura.

Desidero portare all’attenzione di questa conferenza il coraggio delle “Friday Women” che organizzano proteste settimanali per chiedere la liberazione incondizionata dei loro mariti e padri che sono prigionieri politici. Nonostante il duro trattamento fisico e gli abusi verbali da parte della polizia e delle guardie di sicurezza, le Friday Women continuano la loro lotta settimanale per la giustizia.

A giungo, inoltre, la diaspora cambogiana ha lanciato un appello mondiale per porre fine all’impunità in Cambogia. Lo scopo della campagna è consegnare gli autori di omicidi perpetrati dallo Stato, indipendentemente dalla posizione che ricoprono nel governo, ad una giustizia indipendente.

Non rinunceremo mai alla lotta per la libertà, la giustizia e la democrazia. Giovedì 26 novembre, saremo processati proprio per questo. L’unico crimine di cui noi imputati siamo colpevoli è la nostra affiliazione politica. Questo processo farsa ricorda al popolo cambogiano i processi dei Khmer Rossi in cui il verdetto veniva emesso non dai giudici ma dal regime.

Siamo innocenti, fino a prova contraria. Il ritorno a casa è un nostro diritto costituzionale. Sarebbe ingenuo chiedere un processo equo, ma è nostro diritto avere il pieno diritto di difenderci in un tribunale di giustizia.

Mu Sochua
Vice Presidente del Cambodia National Rescue Party

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