Crisi venezuelana: quanto possono e devono ancora fare Italia e UE

Crisi venezuelana: quanto possono e devono ancora fare Italia e UE

Ai Presidenti di Commissione Europea, Parlamento Europeo e Consiglio Europeo, al Governo della Repubblica Italiana, ai membri del Parlamento Italiano impegnati sul versante della transizione democratica del Venezuela, al Presidente ad interim del Venezuela Juan Guaidò, alla rappresentante dell’Assemblea Nazionale in Italia On. Mariela Magallanes, al Presidente della Commissione per la Politica Estera dell’Assemblea Nazionale Armando Armas, a tutti gli amici democratici venezuelani ci rivolgiamo con la seguente analisi della situazione politica venezuelana, animata tanto da grande preoccupazione per il ruolo dell’Italia e dell’Europa, quanto dalla speranza che le autorità nazionali ed europee sappiano essere all’altezza della fase che il popolo venezuelano sta vivendo. Rinnoviamo il sostegno e l’adesione del Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella” ad attività e iniziative in grado di contribuire sotto ogni forma al raggiungimento dell’obiettivo non negoziabile: la libertà del Venezuela.

L’irrompere della pandemia e delle concomitanti e conseguenti questioni critiche emerse sul piano internazionale ha sfortunatamente contribuito a far scendere l’attenzione dell’opinione pubblica sul dossier venezuelano. Ingiustamente, considerando come la crisi venezuelana, umanitaria, economica e politica si sia ulteriormente aggravata.

Sul piano istituzionale, il Paese è alle soglie di un trimestre di eventi potenzialmente dirompenti, di fronte ai quali la comunità internazionale non ha risposto con la coesione e la responsabilità proporzionate alla gravità del momento.

A nulla è valso che il governo costituzionalmente legittimo di Guaidò, in consonanza con gli alleati internazionali (primo fra tutti, Washington), proponga da mesi al regime usurpatore di Maduro una strada pacifica e democratica per l’uscita dalla situazione di totale illegalità costituzionale e di tragedia umanitaria in cui versa de facto il Venezuela. Il regime ha anzi riacutizzato la persecuzione politica, mettendo sostanzialmente fuori legge i principali partiti dell’opposizione, seguitando a incarcerare dissidenti, esponenti della società civile, militari e cittadini comuni. Continua inoltre, come se nulla fosse, l’estrazione massiva e illegale di materie prime minerarie nel sud del Paese, quale fonte di introiti per il regime e canale di finanziamento di soci internazionali di Maduro, tra cui attori statuali e gruppi terroristi e narcoterroristi come FARC, ELN, Hezbollah.

Ciò non è bastato ad annichilire la volontà dell’opposizione venezuelana di continuare nella lotta per la restaurazione della democrazia, delle istituzioni costituzionalmente legittime e dello stato di diritto.

E’ dell’estate scorsa la notizia ufficiale della convocazione, da parte di Maduro, di “elezioni parlamentari”, che nei piani del regime dovrebbero tenersi il prossimo 6 dicembre. Elezioni che si presentano in totale violazione di ogni parametro di legalità domestica e in aperto contrasto con gli standard minimi di legittimità e credibilità internazionale. Ciò anzitutto per il fatto che, a convocarle, è un soggetto che esercita abusivamente il potere presidenziale tout court: quando mai una tornata elettorale può ritenersi valida se a convocarla è un organo nullo, senza nessun potere secondo Costituzione? Come può una convocazione elettorale ritenersi anche solo minimamente libera, giusta e trasparente se i registri elettorali sono da anni gravemente manipolati e se l’organo che presiede all’intero processo elettorale dal punto di vista burocratico, cioè il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE), anziché essere nominato come da legge ad opera dell’Assemblea Nazionale, è stato nominato dal Tribunale Supremo di Giustizia, usurpatore anch’esso da anni e longa manus del regime?

Di fronte a tale esecrabile, ulteriore tentativo di usurpazione ai danni dell’Assemblea Nazionale legittima, che il regime vorrebbe portare a rinnovo in una situazione di assoluta illegalità e repressione politica e sociale, Washington ha coerentemente dichiarato con forza la propria totale indisponibilità a riconoscere la benché minima legittimità alle eventuali elezioni parlamentari di dicembre, ribadendo anzi che il governo degli Stati Uniti continuerà a riconoscere Guaidò come presidente ad interim, e come unico organo legittimo l’Assemblea Nazionale, il cui periodo di vigenza si protrarrebbe stanti le condizioni di eccezione costituzionale che impediscono l’unico avvenimento politico in grado di restituire legalità al Venezuela nel suo complesso: la celebrazione, cioè, di elezioni presidenziali libere, giuste e trasparenti.

La gran parte dei Paesi che condividono la posizione nordamericana si sono espressi tempestivamente sulla stessa linea. L’Italia non è fra questi, e anche l’Unione Europea, che nella crisi venezuelana non ha finora brillato per determinazione, non ha le idee chiare. Il che significa non avere le idee chiare, non già sulla crisi venezuelana, ma in generale sul ruolo che una grande istituzione democratica sovranazionale dovrebbe rivestire nel panorama degli affari globali.

E’ di poche settimane fa infatti il tentativo della diplomazia di Bruxelles di “mediare” tra il regime di Maduro e alcuni esponenti dell’opposizione, da tempo in odore di “intelligenza con il regime”: oggetto della missione, rivendicata ex post da un Josep Borrell bersagliato dalle critiche del Parlamento Europeo (ma tacitamente benedetto dalla diplomazia vaticana), è stato il tentativo di chiedere lo slittamento della data delle consultazioni parlamentari e la concessioni di non meglio precisate condizioni minime tali da consentirne il riconoscimento. Così facendo, l’Unione Europea si è di fatto dimostrata disponibile a fare da sponda ad un regime in fortissima difficoltà sotto la pressione delle cancellerie delle Americhe e delle sanzioni, ma anche a negoziare l’uscita dalla strategia europea per il Venezuela della madre di tutte le richiesta: la richiesta di celebrare elezioni presidenziali libere, giuste e trasparenti, senza le quali non vi sarà né ora, né il 6 dicembre prossimo, né mai in futuro alcuna soluzione alla crisi che vive il Paese da anni, e che colloca il Venezuela al centro di un disastro pari solo a quello provocato da conflitti pluriennali e aperti come quello siriano.

Ciò che sorprende è, inoltre, che proprio mentre gli agenti europei erano seduti al tavolo del regime, faceva il giro del mondo non soltanto l’aggiornamento del rapporto dell’Alto Commissario ONU Michelle Bachelet, ma soprattutto la pubblicazione del rapporto della Missione ONU di Verifica dei Fatti (UN-FFM), che ha certificato come la gravissima repressione politica operata in Venezuela sia responsabilità diretta dei gerarchi del regime. La dittatura venezuelana viene così esposta agli occhi della diplomazia globale e multilaterale come colpevole diretta di crimini contro l’umanità. Che la diplomazia di Bruxelles possa dialogare in maniera tanto disinvolta con un simile regime non rende onore alla tradizione europea, che si fonda sui valori della democrazia, dello stato di diritto e della universalità dei diritti umani, come peraltro richiamato nello stesso trattato dell’Unione Europea.

Dispiace che in questa complicata congiuntura, in cui è sempre più evidente la natura dittatoriale e criminale del regime venezuelano, il governo italiano, nonostante il suo impegno in primo piano in seno al Gruppo di Contatto Internazionale, non si sia pronunciato dichiarando apertamente e con le opportune formalità che la Repubblica Italiana non riconoscerà le elezioni farsa del 6 dicembre, e che conseguentemente continuerà a riconoscere la legittimità dell’attuale Assemblea Nazionale presieduta da Juan Guaidò. Ciò, mentre il nostro Paese continua ad essere, con la sola compagnia della Repubblica di Cipro, l’unico Membro dell’UE a non riconoscere come legittimo presidente ad interim del Venezuela Juan Guaidò.

*  Alla luce della descritta situazione, e preoccupati che l’inerzia di una parte importante della comunità internazionale si traduca in ulteriore opportunità di sopravvivenza e rilegittimazione de facto per il regime di Maduro, chiediamo che il governo italiano prenda formalmente posizione contro le elezioni farsa annunciate per il 6 dicembre prossimo, nonché ribadisca come non vi sia soluzione alla crisi venezuelana che non passi attraverso la celebrazione di elezioni presidenziali e parlamentari libere, giuste e trasparenti. Una presa di posizione che la l’Italia deve non solo alla tradizione del nostro Paese, da sempre propugnatore di un ordine internazionale fondato sulla legalità, sullo stato di diritto e sul rispetto dei diritti umani fondamentali, ma anche alle centinaia di migliaia di italo-venezuelani sotto il giogo della dittatura affamatrice di Nicolas Maduro.

*   Richiamiamo inoltre l’attenzione delle autorità governative italiane sulla deprecabile situazione che vivono tre cittadini con doppia cittadinanza venezuelana e italiana, Hugo Marino, Juan Planchart e Juan Carlos Marrufo Capozzi, desaparecido il primo e prigionieri politici il secondo e il terzo nelle mani degli organismi di intelligence della dittatura. I casi di questi tre connazionali sono al centro dell’attenzione di ONG venezuelane e di organismi multilaterali panamericani, assieme a quelli di centinaia di altri detenuti politici venezuelani.

*   Nostro auspicio è che anche il Parlamento italiano, bicameralmente e trasversalmente, dedichi tutta la possibile attenzione alla crisi venezuelana, affinché il governo riceva dall’organo rappresentativo della sovranità popolare gli opportuni indirizzi politici. Suggeriamo che l’Associazione parlamentare di amicizia lanciata dai Senatori Urso e Casini ad inizio 2019 si trasformi in intergruppo parlamentare, idealmente integrando al proprio interno membri dell’Assemblea Nazionale legittima del Venezuela, cosicché, pur nella informalità della sua istituzione, l’intergruppo possa attivarsi con forte coordinamento al proprio interno e tenere costantemente aggiornati i propri membri circa le notizie che giungono da Venezuela, nonché indurli a sempre maggiore volume di attività politiche che aiutino l’avanzamento della causa democratica venezuelana.

*  Obiettivo dei tanti parlamentari italiani che hanno dimostrato di avere a cuore la causa della transizione democratica venezuelana sia quello di spingere affinché il Parlamento calendarizzi opportune attività che sfocino in atti di indirizzo nei confronti del governo, che lo impegnino a prendere posizione sugli sviluppi politici ed umanitari in atto in Venezuela, sviluppi di fronte ai quali il governo italiano non può cavarsela rimandando alle posizioni europee che, si è detto, nella migliore delle ipotesi rischiano di risultare inefficaci, controproducenti e fuorvianti.

*  Chiediamo che il Parlamento stesso si attivi inoltre per porre all’attenzione del governo il caso dei tre prigionieri italo-venezuelani, nonché per portare avanti proposte di legge già depositate aventi ad oggetto l’introduzione in Italia del meccanismo di contrasto alle violazioni di diritti umani noto come Magnisky Act. Attenzione del Parlamento, nella sua funzione di indirizzo e controllo dell’operato dell’esecutivo, sia dedicata ai casi poco chiari di interessi commerciali venezuelani in Italia (dal coltan all’oro, estratti nel Sud del Venezuela nella totale illegalità e in un contesto di brutali e inenarrabili violazioni dei diritti umani), al fenomeno del riciclaggio venezuelano in Italia (dal caso di Alex Saab, su cui pende un procedimento di indagine in Italia, al caso del presidente del Tribunale Supremo di Giustizia Maikel Moreno, che secondo fonti di oltreoceano starebbe da tempo riciclando le sue fortune anche in Italia, tramite prestanome).

* Di fronte alla natura dittatoriale e criminale internazionalmente riconosciuta del regime venezuelano, auspichiamo che gli amici dell’opposizione, della resistenza venezuelana, perseguitati in Patria e fuori, in ogni angolo del mondo in esilio e all’opera per propiziare la transizione democratica, colgano altresì l’opportunità per moltiplicare i loro già ingenti sforzi in tal senso, approfittando della possibilità di collegarsi nella lotta per la democrazia ai tanti altri dissidenti di quei Paesi (Cina, Russia, Cuba, etc) che oggi rappresentano la spina dorsale transnazionale del sostegno al regime corrotto di Maduro. Quella che potremmo chiamare “accumulazione transnazionale delle forze” può essere utile strumento di pressione presso i governi e le opinioni pubbliche dei rispettivi Paesi di residenza, affinché prendano coscienza della minaccia transnazionale alla sicurezza posta dalla dittatura venezuelana ed agiscano conseguentemente.

Siamo e rimaniamo al fianco del Presidente ad interim Juan Guaidò e dell’opposizione venezuelana, nella speranza che si mantenga più possibile unita, coesa e concentrata sull’obiettivo centrale: la fine dell’usurpazione madurista attraverso un Governo di Emergenza, la celebrazione di elezioni presidenziali libere, giuste e trasparenti, e la restaurazione completa della legalità costituzionale, unico viatico per il ritorno del popolo venezuelano a condizioni di vita degne, in libertà, in uguaglianza e fraternità.

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