Il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU è sempre più sottomesso alla Cina

Il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU è sempre più sottomesso alla Cina

Il 12 luglio, ultimo giorno della 41ma sessione del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, 37 paesi hanno presentato una lettera di elogio circa la situazione dei diritti umani in Cina, con particolare riferimento alla provincia dello Xinjiang. Tra i 37 firmatari non potevano mancare Russia, Corea del Nord, Venezuela, Arabia Saudita, Myanmar, Laos, Cambogia, Camerun e Burundi. Lo stesso giorno, l’Ambasciatore cinese Xu Chen, è intervenuto ringraziando i firmatari che hanno riconosciuto i “progressi della Cina nel campo dei diritti umani nello Xinjiang e il successo nella lotta al terrorismo e all’estremismo”. L’Ambasciatore ha anche elencato i principi su cui la Cina si aspetta ulteriore collaborazione presso il Consiglio: “obiettività, trasparenza, non selettività, consenso e non politicizzazione”.

Il dato drammaticamente significativo è che in contrasto ai 37 firmatari, sono solo 22 gli Stati, per la maggior parte occidentali, che hanno invece denunciato, in un’altra lettera indirizzata all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet e al Presidente del Consiglio Coly Seck, le politiche repressive in atto nello Xinjiang stigmatizzando la detenzione di almeno un milione di musulmani di etnia uigura nei cosiddetti “campi di rieducazione”. L’Italia è tra i 22 firmatari, ma non depone certo a nostro favore il fatto di aver esitato fino all’ultimo giorno utile per decidere da quale parte schierarsi.

Occorre dunque condannare il processo di “cinesizzazione” che sta colpendo il Consiglio Onu per i Diritti Umani. Sono ormai all’ordine del giorno le misure di rappresaglia sistematicamente attuate dai rappresentanti cinesi contro chiunque osi opporsi agli interessi della Repubblica Popolare perseguiti all’insegna del rispetto dello stato di diritto e dell’indivisibilità dei diritti umani, da intendersi però con “caratteristiche cinesi”, come affermato dallo stesso Presidente Xi Jinping. Il rischio di compromissione del Consiglio ONU dei Diritti Umani, anche dopo il ritiro temporaneo degli Stati Uniti, è altissimo e la prossima vittima potrebbe essere l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Se vogliamo che la Via della Seta non si trasformi presto in una Via della Sete di Diritto e Democrazia, come possono testimoniare i cittadini tibetani, uiguri, di Hong Kong, cambogiani e molti altri ancora, occorre attivarsi immediatamente in tutte le sedi possibili per aumentare la pressione su coloro che stanno semplicemente mirando alla distruzione dell’ordine mondiale basato sulla promozione dei diritti umani fondamentali.

Matteo Angioli

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