Il nazionalismo di Xi Jinping: interno ed esterno

Il nazionalismo di Xi Jinping: interno ed esterno

Quando Xi Jinping è giunto al potere nel 2012, la società cinese era politicamente, economicamente, sociologicamente e persino sentimentalmente divisa in più Cine. Una è la Cina Inc. costituita dall’élite politica, economica, sociale e culturale unita dalla corruzione che ha mantenuto l’oligarchia a partito unico; l’altra è la Cina di oltre un miliardo di “shitizens” cinesi, praticamente asserviti dalla China Inc. Questi non solo non hanno beneficiato dei frutti della rapido crescita, sono anche stati privati ​​di quasi tutte le risorse politiche e sociali. Ogni anno si tengono più di un milione di proteste di almeno 100 manifestanti. Secondo alcuni osservatori, se la Cina continuerà su questa strada sarà come battere un tamburo con un candelotto di dinamite. La “riforma” del capitalismo clientelare avviata da Deng Xiaoping e proseguita da Jiang Zemin e Hu Jintao ha raggiunto un punto morto.

L’ambizioso Xi sapeva che occorreva cambiare. Erano in molti a riporre grandi speranze in lui, ma hanno presto scoperto che la sua attenzione era rivolta a due obiettivi: consolidare il suo potere e mantenere il controllo del Partico Comunista Cinese (PCC) sulla Cina. La sua nota campagna anti-corruzione, benché popolare tra il pubblico che disprezza il capitalismo clientelare, ha perseguitato oculatamente potenziali rivali e loro soci. Contrariamente alle aspettative generali basate sugli ultimi 40 anni di modeste riforme, Xi è tornato a politiche maoiste sia in campo politico che economico.

Il massacro di Tiananmen, 30 anni prima, strappò al PCC la sua facciata ideologica marxista e trasferì la sua esclusiva dipendenza del potere negli anni seguenti a due fonti di legittimità: sviluppo economico ad alta velocità e nazionalismo.

Dopo l’ascesa al potere di Xi, l’economia cinese ha subito strozzature strutturali e gradualmente il rallentamento della crescita del paese è diventato evidente. Sebbene eccellesse nelle lotte di potere, Xi ha mostrato incompetenza su questioni economiche. Il suo ripiegamento politico sul maoismo equivale alla repressione politica della Rivoluzione Culturale; il suo ripiegamento economico sul maoismo significa statalismo a spese dei mercati privati. Lo spazio sociale per rivitalizzare l’economia è soffocato, lasciando ogni prospettiva economica cinese sempre più impraticabile. Per questo Xi è costretto ad affidarsi sempre più al nazionalismo per assicurare stabilità politica e usare un patriottismo fomentato dall’aggressione all’estero.

Gli slogan politici più importanti di Xi sono ​il “sogno cinese” e il “grande ringiovanimento della nazione cinese”. Questi due slogan non dicono altro che “Fai tornare grande la Cina”.

Certo, Xi vuole che il suo “Regno di mezzo” diventi forte abbastanza per formare un “nuovo tipo di rapporto di grande potenza” con gli Stati Uniti. Ha cambiato la politica di Deng tesa a “mantenere un basso profilo” e si è impegnato in un’espansione militare. Ha raddoppiato l’intervento del governo per sbilanciare il commercio internazionale attraverso una “trasfusione di sangue” per il suo regime, forzando i trasferimenti di tecnologia e sottraendo agli Stati Uniti i segreti sulle proprietà intellettuali. Impiega le trappole del debito e le bustarelle per colonizzare i paesi sottosviluppati attraverso la Belt & Road Initiative e promuove l’influenza della Cina in politica, nelle università e nel mondo spettacolo in America e in altre democrazie.

Per molto tempo, gli Stati Uniti non sono stati abbastanza vigili e hanno lasciato che la Cina continuasse incontrastata. La guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti ha spinto la politica statunitense sulla Cina a contrastare l’influenza cinese in vari campi. Alcuni analisti hanno parlato di una “Nuova Guerra Fredda”. Il conflitto non riguarda solo il commercio, è più ampio. Il conflitto più profondo è quello sui valori. Non si spieghrebbe altrimenti perché il Canada, anch’esso coinvolto in un feroce conflitto commerciale con gli Stati Uniti, si schieri con loro nella cosiddetta Nuova Guerra Fredda. Quando il Canada ha arrestato la direttrice finanziaria di Huawei, Meng Wanzhou, su richiesta dell’America, la Cina ha dato il via ad una folle vendetta rispondendo con la detenzione arbitraria di cittadini canadesi e la condanna illegale alla pena di morte di un cittadino canadese. Huawei, contrastato dalla comunità internazionale, cadrà inevitabilmente in declino. E’ la “Waterloo” della strategia tecnologica cinese, in particolare la tecnologia militare. È un duro colpo per il “sogno cinese” di Xi. La guerra commerciale ha inferto all’economia cinese un altro duro colpo. Non avendo speranza di poter trarre una legittimazione indotta dalle prestazioni economiche, Xi deve rafforzare la sua posizione nazionalista per mantenere il suo status e la stabilità del regime.

Non dobbiamo dimenticare che nel contesto cinese, il nazionalismo non significa solo brandire la propria spada contro gli Stati Uniti, ma significa anche attaccare le minoranze all’interno della Repubblica Popolare Cinese: uiguri, tibetani e così via. Il nazionalismo del PCC è Han-centrico; è, infatti, razzismo. “Chi non è un nostro simile ha sicuramente un altro cuore.” Il controllo e la soppressione della società da parte del PCC si manifesta attraverso misure di repressione sempre più intense sulle minoranze etniche. Nuove e più brutali forme di repressione vengono sempre sperimentate nelle regioni popolate da minoranze etniche. Quando ha iniziato a diffondersi la notizia dell’imprigionamento di oltre un milione di uiguri nei campi di concentramento nello Xinjiang, la comunità internazionale ha espresso indignazione. Tutto ciò è il risultato logico del razzismo nazionalista estremo. La Germania nazista l’ha già fatto.

Tuttavia, ciò che fu impossibile per la Germania nazista, è possibile nella Cina di Xi, ovvero la realizzazione del totalitarismo orwelliano – controllo digitale completo sulla società cinese – con l’applicazione del “modello Xinjiang” in tutto il paese.

In realtà, tutto ciò deriva dal timore di perdere il potere. Certo, il potere detenuto da Xi è senza pari. Tuttavia, ha offeso quasi tutti e ha troppi nemici. Non ha idea di chi gli darà il colpo di grazia. Il suo culto della personalità offende “compagni” all’interno del partito. Il suo maoismo economico offende i burocrati del PCC e gli imprenditori, che hanno tratto benefici maggiori sotto Deng. Esattamente un anno fa, Xi ha modificato la Costituzione per abolire i limiti di durata della presidenza e ha dato ai potenziali nemici interni al partito una bandiera di “difesa dei risultati della riforma e di apertura”. Il controllo stringente di Xi sul linguaggio ha offeso gli intellettuali; la politica in stile maoista comporta la crudele repressione dei dissidenti, con la società civile ridotta quasi all’inesistenza; la crisi economica e le maggiori interferenze statali nel mercato hanno fatto perdere fiducia alla classe media. Le persone comuni hanno capito che la campagna anticorruzione, inizialmente accolta con favore, non ha portato alcun vantaggio; al contrario, misure arbitrarie anti-corruzione hanno minato ulteriormente lo stato di diritto in Cina, trasformando i più vulnerabili in vittime vere e proprie.

Non è pensabile che Xi non sia informato o sensibile a questa situazione. È molto attento a due cose: una è l’errata percezione di sé rispetto alla stabilità del suo potere. Lo scorso luglio, dopo aver avvertito una resistenza al personale sforzo di costruzione del culto di sé, sono stati rimossi i suoi ritratti in molte zone di tutto il paese e per un paio di giorni il People’s Daily non ha riportato alcuna notizia su di lui, un fatto senza precedenti. Di fronte alla percezione delle importanti sfide che attendono il Presidente, i cinesi sono diventati improvvisamente più attivi e critici pubblicamente e le attese sul futuro politico di Xi si sono fatte incerte. Alla riunione del Politburo di fine febbraio, Xi ha proposto le cosiddette “Sei Stabilità”, una delle quali è “aspettative stabili”. Da allora, è tornato ad aumentare il culto dell’adorazione personale, dando il messaggio che “il potere è saldamente nelle mie mani”.

L’altra cosa che Xi teme di più è il rischio che i principali problemi economici della Cina diventino l’occasione per i rivali interni al partito di opporsi apertamente a lui, cogliendo l’opportunità di unirsi al settore privato per formare un’opposizione credibile che possa addirittura rovesciarlo. Xi deve dunque mantenere la stabilità politica attraverso misure da attuare nel momento in cui si profilano le crisi economiche. Al fine di stabilizzare le aspettative dei cittadini, e di fronte alle pressioni internazionali e alla crescente crisi economica, è prevedibile che la dura posizione nazionalista di Xi non cambierà; la purga di alcuni membri del partito, la sorveglianza della società civile e la repressione delle minoranze e dei gruppi religiosi continueranno ad aumentare.

Sotto Xi, la Cina ha intrapreso strade simili alla Germania nazista. Un unico partito onnipotente, un leader supremo, controllo totale su tutti i media, aggressione militare all’estero, brutale repressione del dissenso, la creazione di false minacce e nemici esterni, lo sciovinismo e il nazionalismo stridente mascherati da politica estera. Dopo l’olocausto del popolo ebraico sotto Hitler, abbiamo giurato: “mai più”. Ma alle atrocità del dopoguerra che smentiscono quell’impegno, oggi dobbiamo aggiungere i campi di concentramento, i campi di “rieducazione”, in cui più di un milione di persone di etnia uigura, un decimo di loro, sono detenute. Si tratta di un fascismo maturo combinato con il comunismo, il capitalismo clientelare e un totalitarismo digitale orwelliano del 1984. Lo definisco fascismo con caratteristiche cinesi.

Così come si conosce la Germania nazista, dobbiamo conoscere la Cina di Xi.

Jianli Yang

Leggi l’editoriale originale nel sito di Initiatives for China

Traduzione: Matteo Angioli

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