Intervento dell’Amb. Giulio Terzi nel 31° anniversario del massacro di Tiananmen

Intervento dell’Amb. Giulio Terzi nel 31° anniversario del massacro di Tiananmen

Pubblichiamo il testo dell’intervento da remoto di Giulio Terzi, ambasciatore e presidente del Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella”, alla manifestazione a Roma del 4 giugno in occasione del 31 anniversario del massacro di Piazza Tiananmen a Pechino, per i diritti dei Tibetani, Uiguri, Falun Gong, per la gente di Hong Kong e Taiwan e contro la colonizzazione dell’Italia da parte della Cina.

Caro Presidente dell’Associazione Italia-Tibet dott. Claudio Cardelli,

Cari amici di tutte le popolazioni, e di tutte le identità nazionali, culturali, religiose oppresse dall’orribile e genocidaria dittatura del comunismo cinese e di tutti i totalitarismi violenti,

essere con Voi oggi significa essere parte di un impegno di fondamentale importanza per liberare il mondo dalla incombente minaccia di un “Quarto Reich”. E’ molto doloroso che molti continuino a non voler imparare nulla dalla Storia. E’ nostro dover lottare affinché la conoscenza di quanto sta avvenendo ed è accaduto si diffonda, si radichi nelle coscienze, nelle volontà di agire di tutti.

La Repubblica Popolare di Cina sin dalla nascita ha dimostrato di possedere un DNA eliminazionista e genocidario molto simile, se non identico, al nazismo hitleriano e al Comunismo sovietico. La Vostra terra, cari amici, il Tibet, ne è stata e continua a esserne la prima vittima. Oltre un milione di tibetani sono stati eliminati fisicamente, uccisi dai comunisti venuti dalla Cina. Il 90 % del patrimonio artistico e architettonico tibetano, compresi circa seimila monumenti come templi, monasteri, e stupa, siano stati completamente distrutti.

La Cina comunista si è appropriata delle ricchezze naturali del Tibet, ne sfrutta le risorse, distrugge le sue millenarie foreste, vi scarica i rifiuti nucleari con danni irreversibili per l’ambiente e le condizioni di vita. Il Partito Comunista Cinese ha stabilmente più di 500.000 soldati in Tibet. Ha decimato la popolazione tibetana deportandola e sostituendola con
immigrazione massiccia di cinesi di etnia han. Ha introdotto la sterilizzazione forzata delle donne tibetane, per impedire la sopravvivenza dell’etnia stessa e sradicarne l’identità.
La popolazione rimasta è stata sottoposta a continue discriminazioni, al divieto di parlare in lingua tibetana, di vestire secondo la tradizione, e di pregare. I tibetani imprigionati nei famigerati laogai cinesi sono migliaia, vengono torturati e condannati senza processo, per essere poi espiantati degli organi. I loro decessi sono innumerevoli, causati da terribili condizioni della prigionia testimoniate dai sopravvissuti.

Nonostante gli appelli delle comunità internazionali, le risoluzioni del Congresso degli Stati Uniti, del Parlamento Europeo, e di molti Parlamenti nazionali, fin dal 1986, che deploravano l’estrema gravità della situazione esistente in Tibet e il mancato rispetto dei diritti umani anche nella stessa Cina, il Partito Comunista ha continuato imperterrito e con l’arroganza che lo contraddistingue, a calpestare e a violentare la popolazione tibetana.

L’ignobile comportamento di parte della Comunità internazionale, specialmente dell’Europa e di Governi come quello che abbiamo attualmente in Italia, che non solo tace, ma addirittura nega la cruda verità sulla Cina Comunista e sulla enorme minaccia che ancor più la Cina comunista di Xi Jinping rappresenta per l’umanità. Il comportamento di alcuni Governi europei è diventato ancor più scandaloso con la persecuzione e l’annientamento che sotto la direzione del Presidente a vita Xi Jinping si sono manifestati contro l’identità e la sopravvivenza stessa del popolo uiguro, così come contro religioni, movimenti, e correnti di opinione che mirano al progresso spirituale, sociale e alla libertà democratica del popolo cinese e di tutte le minoranze etniche e religiose.

L’utilizzo cinicamente strumentale, geopolitico e propagandistico della pandemia – in forme che ricordano molto le strategie di disinformazione di Hitler, di Goebbels, di Stalin e di Beria – hanno toccato il loro culmine con l’aggressione di Pechino contro Hong Kong. Hong Kong segna una netta svolta. Il Presidente Trump conferma quanto aveva minacciato di fare: pesanti sanzioni in diversi settori, se il Governo cinese avesse totalmente soppresso a HK il principio “Un Paese, Due Sistemi”. E ciò perché Pechino viola tutti obblighi assunti con le intese del 1997, valide cinquant’anni. Intese che riguardano il pieno rispetto dello Stato di Diritto quale enunciato nella “Legge Fondamentale”, il pieno rispetto delle libertà di espressione, informazione, associazione, dei diritti umani.

Non si tratta solo dell’autonomia e delle libertà di Hong Kong. Si tratta di Taiwan, del Mar Cinese meridionale, degli altri Paesi del Sud-Est asiatico, delle ambizioni di leadership globale della Cina comunista, tutte tessere dello stesso domino. Hong Kong il test definitivo. Pechino ha scelto questo momento non solo perché gli ultimi mesi hanno dimostrato che sta perdendo la sua presa sul territorio, ma soprattutto perché gli avversari di Pechino appaiono in difficoltà, indeboliti economicamente e politicamente.

Le dichiarazioni su Taiwan del generale Li Zuocheng, membro della Commissione militare centrale dicono tutto: “Se la possibilità di una riunificazione pacifica sarà persa, le forze armate, con tutta la nazione compresa la popolazione di Taiwan, prenderanno tutte le misure necessarie per distruggere in modo risoluto ogni complotto o azione separatista. Non promettiamo di abbandonare l’uso della forza e ci riserviamo l’opzione di intraprendere tutti i passi necessari per stabilizzare e controllare la situazione nello Stretto di Taiwan”. Non è una agghiacciante riedizione delle dichiarazioni che hanno preannunciato gli attacchi nazisti che hanno innescato la Seconda guerra mondiale.

Quanto sta accadendo a Hong Kong non è che l’ennesima aggressione comunista al mondo libero – perché Hong Kong è mondo libero, ancora! – può essere paragonata solo ad altre aggressioni e brutali repressioni comuniste: in Europa, al blocco di Berlino nel ’48, alle repressioni di Budapest nel ’56, di Praga nel ’68, di Danzica nell’80; in Asia, a Tiananmen nell’89, e agli orrori devastanti del Maoismo, del comunismo cambogiano, vietnamita e latino-americano.
E come rispondono alcuni Europei a questi Diktat nazicomunisti del XXI secolo? Ignorando la Storia, rispondono con una ventata di “appeasement”, come nel 1939!

Le dichiarazioni tolleranti, amichevoli e persino conniventi con il regime comunista cinese da parte del Ministro degli Esteri della Repubblica Federale di Germania, nel grave momento che attraversa tutta la popolazione di Hong Kong, condannata a perdere ogni libertà democratica e i suoi diritti internazionalmente garantiti, suonano terribilmente oltraggiose per tutte le vittime del comunismo, in Asia, in Europa, e in ogni parte del mondo. Lo sarebbero per chiunque le avesse pronunciate. Ma lo sono ancor più per i popoli liberi e per tutti coloro che hanno sofferto e soffrono sotto la dittatura del comunismo, se pronunciate proprio da esponenti di Governo di un grande Paese che ha potuto riunificarsi e risorgere solo dopo essere stato liberato, per ben due volte in meno di mezzo secolo, dall’orrore del nazismo prima, e dell’occupazione comunista e del patto di Varsavia poi; con il determinante sostegno politico, militare, economico della comunità atlantica.

I Governi europei hanno evitato di alzare la loro voce sul divieto a Hong Kong, imposto da Pechino, di manifestare nel ricordo della strage di Piazza Tienanmen. Dobbiamo denunciare questo ennesimo silenzio. Esso non fa che incoraggiare ancor più il consolidarsi di un abietto Quarto Reich, questa volta comunista e cinese, che già estende i sui tentacoli sull’Asia e sull’Europa. Un Quarto Reich al quale il Governo italiano già sorride incoscientemente, o magari per inconfessabili motivi, essendosi inchinato a una Via Della Seta di piena e incondizionata sottomissione a Pechino.

Vorrei concludere ricordando la grande ammirazione e amicizia di Marco Pannella per Sua Santità il Dalai Lama, il sostegno costante, determinato e fiducioso che il fondatore del Partito Radicale Nonviolento ha dato alla causa del Tibet. Una delle più grandi cause della sua
vita. Il 4 giugno 1990, Pannella prendeva così la parola al Parlamento Europeo: “Voglio dire oggi, anniversario di Tienanmen, che questa onorevole, come si dice, Assemblea ha accolto il Dalai Lama quasi nei corridoi, perché questa Assemblea si è vergognata di riceverlo come doveva. Questa Assemblea somiglia al Consiglio; proprio quando abbiamo problemi importanti da affrontare. Dobbiamo dire in modo molto netto sia al Consiglio che alla Commissione che noi vogliamo sempre e comunque legare ogni atto di buona volontà verso la Cina a garanzie molto precise di Pechino verso il Tibet oppresso, e verso le Province di cui molti ignorano perfino il nome; in Province cinesi nelle quali non esiste alcun diritto neppure quel minimo di diritto riconosciuto perfino dai paesi che praticano l’Apartheid; in Cina lo Stato di Diritto è irriso dalla stessa ideologia comunista, e non possiamo neppure sapere se vengono sterminate migliaia di persone; quando ne veniamo a conoscenza sono ormai passati molti anni. Questa è la misura che l’Europa ha delle proprie responsabilità. Non meravigliamoci se non sapendo cogliere le occasioni che la Storia ci offre perderemo noi stessi le nostre libertà e i nostri diritti”.

Questo l’ammonimento di Marco Pannella trent’anni fa. E noi radicali, insieme a voi tutti, l’abbiamo inteso e raccolto.

Giulio Terzi

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