La Corea del Sud mostra che le democrazie possono sconfiggere il coronavirus

La Corea del Sud mostra che le democrazie possono sconfiggere il coronavirus

Proponiamo la versione italiana di un intervento pubblicato l’11 marzo dal Washington Post a firma dell’editorialista Josh Rogin.

Alcuni commentatori sostengono che la risposta della Cina al coronavirus attesti la superiorità del brand autoritario e la capacità di gestione della crisi. In realtà, sono le democrazie ad esser meglio equipaggiate per proteggere la salute pubblica – se si avvalgono della loro forza inerente. Ce lo mostra un Paese: la Corea del Sud.

“I vantaggi del sistema cinese sono ancora una volta sotto gli occhi di tutti”, ha dichiarato di recente l’organo di stampa ufficiale del Partito Comunista Cinese – con tanto di citazione compiacente da parte del Wall Street Journal: “La battaglia della Cina contro l’epidemia ha mostrato che il PCC, il partito di governo, è di gran lunga il partito più abile nel governare della storia umana”.

Una premessa che presenta due problemi evidenti. Primo, fidarsi della parola di Pechino e credere che sia riuscita a contenere il contagio presuppone un gigantesco atto di fede. Secondo, lodare la risposta cinese, descrivendola come una vittoria, significa ignorare mesi di dinieghi, insabbiamenti e passi falsi, rivelatisi determinanti nel far sì che il virus si diffondesse nel resto del mondo.

È chiaro che alcune democrazie non stanno gestendo bene la risposta. L’Italia ha appena imposto una serie di importanti restrizioni alla libertà di circolazione che sembrano aver causato più panico che fiducia nella popolazione. Negli Stati Uniti, il Presidente Trump è stato criticato per aver ripetutamente minimizzato il pericolo e tentato di mantenere artificialmente basso il numero di contagi confermati per il suo tornaconto politico.

Queste però sono responsabilità di quei governi, non della società aperta in generale. In Corea del Sud, dopo aver adottato alcune misure decisive, le autorità registrano una continua diminuzione dei casi di coronavirus nell’ultima settimana. Queste misure si focalizzano su istruzione, trasparenza e mobilitazione della società civile – senza ricorrere alla tattica di Pechino di obbligare milioni di persone agli arresti domiciliari, utilizzare le minoranze come lavoratori ridotti a schiavi, o far sparire chiunque osi criticare l’operato del governo.

L’arma più efficace della Corea del Sud è stata la rapida diffusione dei test. Secondo il governo, vengono testate quotidianamente 15.000 persone; dal 3 gennaio sono stati testati 210.000 sud-coreani, contro i 6.500 negli Stati Uniti al 10 marzo. Ovviamente, i test hanno prodotto un picco dei contagi confermati, che ammontano a 7.513 al 10 marzo. I decessi però sono solo 54, per un tasso di mortalità pari allo 0,71%.

Secondo il governo, il numero di contagi quotidiani confermati è in costante declino, da 686 il 2 marzo a solo 131 il 10 marzo. Le autorità hanno approntato 53 punti drive-in dove è possibile effettuare il test senza entrare in contatto con nessuno.

Il primo marzo, il Presidente Moon Jae-in ha dichiarato: “Il governo ha reagito con una risposta a tappeto dopo aver elevato l’allerta al massimo livello”. La società civile sudcoreana si è mobilitata volontariamente. Sono stati cancellati eventi pubblici, le messe sono state celebrate online e i cittadini si sono tenuti alla larga da Daegu – dove si è registrato il numero maggiore di contagi – senza trasformare la città in una prigione a cielo aperto.

Alcuni dei provvedimenti adottati sono stati controversi. Per esempio, chi è risultato positivo al test sul coronavirus viene geolocalizzato con il GPS e una mappa che ne indica la posizione (ma non il nome) è consultabile da tutti cosicché chi lo vuole può evitare di incontrarli. Potrà sembrare intrusivo, ma è molto meglio dei droni di sorveglianza che raccolgono la temperatura delle persone o che spruzzano disinfettante dappertutto, come accade in alcune zone della Cina.

Per bloccare la trasmissione del virus oltre i confini, all’Aeroporto Internazionale Incheon è stato installato un sistema di rilevamento in tre fasi, con una serie di misure aggiuntive per i passeggeri diretti negli Stati Uniti. Seoul vuole che gli altri Paesi continuino a commerciare con la Corea del Sud e a far entrare i sudcoreani. Si concentrano sulla trasparenza e l’apertura, non sul modello di distorsione e distrazione di Pechino.

Al governo cinese dobbiamo riconoscere il merito di aver fatto alcune cose giuste. Un rapporto pubblicato il 28 febbraio dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in collaborazione con la Missione della Cina attribuiva a Pechino il merito di aver mobilitato le agenzie governative e di aver consacrato la dovuta attenzione scientifica alla questione. Non c’è ragione alcuna di non cooperare con Pechino, se da parte di questa vi è volontà di farlo onestamente.

Tuttavia, come si legge nel rapporto stesso, è il popolo cinese, non il governo a meritare il riconoscimento: “Ottenere la straordinaria copertura e il rispetto delle misure di contenimento in Cina è stato possibile solo grazie al profondo impegno collettivo dei cinesi di fronte a questa minaccia comune.”

Immaginiamo se Pechino fosse rimasta aperta, se avesse agito con trasparenza e avesse informato correttamente la popolazione sette o otto settimane prima. Probabilmente l’epidemia non avrebbe raggiunto il livello di gravità che ha raggiunto. Le misure draconiane da stato-polizia funzionano? Soltanto se si ignora la grande sofferenza di cui sono causa senza necessità.

La risposta della Corea del Sud è più efficace perché aperta a critiche ed analisi. Per lo stesso motivo è plausibile che l’economia sudcoreana recuperi rapidamente, così come la salute pubblica. Sta anche funzionando politicamente per il Presidente Moon. Trump farebbe bene a pensarci due volte prima di dire che il coronavirus “se ne andrà” come ha fatto il 10 marzo.

Le democrazie sono un compromesso tra libertà personale e responsabilità governativa. I nostri cittadini vivono meglio perché è promessa la loro dignità e perché possono ricercare la verità. I nostri valori non ci rendono vulnerabili, ci rendono forti. L’unica cosa che dobbiamo fare è esserne all’altezza.

Josh Rogin

Traduzione: Matteo Angioli

Leggi l’articolo originale sul sito del Washington Post

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