Le differenze tra i test Covid-19 in Svezia e altri Paesi europei

Le differenze tra i test Covid-19 in Svezia e altri Paesi europei

Proponiamo un intervento del membro onorario del Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella”, Sam Rainsy, presidente ad interim del Cambodia National Rescue Party, principale partito di opposizione cambogiana, pubblicato il 23 aprile sul Brussels Times.

L’approccio della Svezia alla pandemia di coronavirus è stato insolito. Il Paese ha evitato l’isolamento; scuole e ristoranti sono rimasti aperti. La densità di popolazione molto più bassa rispetto ai Paesi dell’Europa continentale rende il distanziamento sociale più praticabile ed è quindi più semplice evitare l’isolamento.

Il sistema politico svedese, in cui l’autonomia delle agenzie governative è sancita dalla Costituzione, ha consentito tale approccio. E’ l’Agenzia pubblica per la sanità, piuttosto che i politici, a decidere cosa fare. Il livello di fiducia della popolazione in questo sistema depoliticizzato è estremamente elevato.

Il Paese sta concentrando i suoi test per il coronavirus su persone con un ruolo essenziale per la società, come polizia, vigili del fuoco e chi lavora in case di cura per anziani.

Il 17 aprile, il Primo Ministro Stefan Löfven ha dichiarato che il Paese intende aumentare ulteriormente il livello dei test, portandoli da 50.000 a 100.000 alla settimana, e focalizzandosi su chi di recente ha avuto sintomi da COVID-19. Da tali sintomi è possibile dedurre che le persone in questione hanno contratto il COVID-19, sono guarite e ora sono immunizzate, quindi non riprenderanno più la malattia.

Per il momento, la Svezia effettuerà test sul coronavirus e non per gli anticorpi che mostrano immunità. L’immunità può essere dimostrata solo con un test sierologico che provi la presenza di anticorpi nel sangue. Questi test di immunità aggiungerebbero un’importante strumento all’arsenale del Paese, che vedrebbe ridursi il rischio di dover ricorrere all’isolamento generale. I test virologici e sierologici non si escludono a vicenda, sono complementari.

Come ho scritto il 12 aprile sul Brussels Times, il passaporto di immunità, rilasciato sulla base di un test sierologico di successo per l’immunizzazione al coronavirus, può aiutare a mantenere operativa la società e contenere l’impatto economico della pandemia identificando coloro a cui è consentito muoversi liberamente e lavorare senza rischi. Non è ancora possible conoscere la durata dell’immunità acquisita, ma i lavoratori in settori chiave potrebbero essere ripetuti i test sierologici per verificarne l’esistenza.

Protocollo a due fasi

In tutti i Paesi, una fetta sempre crescente della popolazione si è immunizzata al coronavirus venendo in contatto con la malattia per la quale il sistema immunitario ha prodotto anticorpi – in molti casi senza che la persona si ammalasse.

I test di immunità sierologica eviterebbero il pericolo di far tornare erroneamente al lavoro chi pensavano di avere i sintomi ma che in seguito è risultato negativo al test diagnostico. I test di immunità permetterebbero anche di rilevare i portatori asintomatici di COVID 19. Uno studio del British Medical Journal ha stimato che il 78% di tutti i casi può essere asintomatico.

L’immunità che tali casi generano è una risorsa umana cruciale per rimettere in piedi la società. Non possiamo permetterci di continuare a ignorarla concentrandoci esclusivamente sui test virologici. Un protocollo articolato su due fasi che prevede test diagnostici e sugli anticorpi eviterebbe questo spreco.

In parole semplici, ci sono due tipi di anticorpi da esaminare nei test sierologici: le IgM che mostrano un’infezione recente o in corso e le IgG che mostrano una vecchia infezione e presentano immunità alla malattia in questione.

La tabella mostra che è insufficiente e pericoloso fare affidamento solo sui test virologici. L’approccio svedese indica il pericolo o l’incoerenza di tornare al lavoro nei casi 2 e 3, oltre ad ignorare i portatori asintomatici guariti e immunizzati nei casi 4 e 5.

Tre scienziati belgi della Université Libre de Bruxelles (ULB) hanno confermato la validità di questo approccio. L’epidemiologo Marius Gilbert, lo specialista immunologo Michel Goldman e il professore emerito Nathan Clumeck sostengono che effettuare due tipi di test, uno virologico e uno sierologico, contribuisce a mantenere i servizi essenziali e accelerare il riavvio dell’economia, riducendo al contempo il rischio di una ripresa della pandemia una volta terminato l’isolamento generale.

Immunizzazione sconosciuta

Per i Paesi con una densità di popolazione più alta rispetto alla Svezia, il problema consiste nel terminare l’isolamento facendo attenzione ad evitare il virus torni ad diffondersi soprattutto tra i più vulnerabili.

Germania e Lussemburgo hanno inserito il test di immunità nelle loro rispettive strategie. Il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, ha appena proposto che il governo francese faccia dei test sierologici e dei certificati di immunità un passaggio fondamentale verso la fine dell’isolamento nella capitale.

Una dato che è stato misurato è l’impatto dell’isolamento sul tasso di immunizzazione. Da qui la proposta di Hidalgo di test sierologici su larga scala per stabilire il livello di immunizzazione. La specificità dei test di immunità rimane un problema. Al momento, esiste il pericolo che i test non siano in grado di distinguere l’immunità a una delle malattie all’interno del gruppo coronavirus, dall’immunità al COVID-19 stesso.

La comunità scientifica sta lavorando per migliorare la precisione dei test. Serve ogni strumento possibile per sostenere questo lavoro e la distribuzione di test perfezionati nel modo più ampio e rapido possibile. Alcuni hanno fatto notare che la possibilità di ottenere un certificato comporta un rischio morale: i giovani, essendo più sani, potrebbero essere disposti a rischiare di entrare in contatto con il virus, ritenendo che di essere in grado di produrre anticorpi per superarlo. Confido nella capacità delle autorità di dare priorità ai test di immunità dei lavoratori essenziali e nella responsabilità dei nostri concittadini nell’evitare di procurarsi la certificazione in maniera incosciente.

Altri ancora hanno affermato che dividere la società in due gruppi, tra chi è in possesso del certificato di immunità e chi no, minerebbe la coesione sociale proprio quando è più necessaria. A mio avviso, questo rischio è superato dalla necessità di avere sia servizi essenziali, sia un’economia che torni a funzionare nuovamente, nella misura in cui ciò può avvenire senza rischi: potrebbe essere il segnale forte che il nostro tessuto sociale è sopravvissuto.

Sam Rainsy

Traduzione: Matteo Angioli

Leggi l’articolo originale in inglese sul sito del Brussels Times

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