N22 – 22/4/2019

N22 – 22/4/2019

PRIMO PIANO

La manifestazione per Radio Radicale, per il diritto alla conoscenza
Il 21 aprile, nel giorno di Pasqua, centinaia di persone hanno partecipato alla manifestazione a Roma per la vita del servizio pubblico offerto da 43 anni da Radio Radicale che, a seguito dei tagli decisi dal governo, in particolare dal Sottosegretario all’editoria Vito Crimi, rischia l’imminente chiusura il prossimo 21 maggio. La manifestazione si è aperta con la voce di Massimo Bordin, di cui è stato trasmesso l’ultimo intervento pubblico, quello dello scorso 22 febbraio, all’VIII Congresso italiano del Partito Radicale.

Tra i molti partecipanti, oltre ai dirigenti del Partito Radicale Maurizio Turco, Rita Bernardini, Sergio D’Elia, sono intervenuti il deputato liberale eletto nella Lega, On. Giuseppe Basini, che ha raccolto le firme di colleghi del suo partito a sostegno di Radio Radicale; gli On. Filippo Sensi e Roberto Giachetti per il Partito Democratico, con il primo che si è appellato al M5S per approvare un emendamento che permetta una proroga della Convenzione con Radio Radicale; l’On. Federico Mollicone di Fratelli d’Italia ha ricordato come l’emittente radicale fosse l’unico media in cui la destra del Movimento Sociale abbia potuto trovare la libertà di espressione; l’On. Vincenzo Vita ha portato il suo sostegno al servizio pubblico che offre; il Presidente dell’Unione Camere Penali Giandomenico Caiazza: “non posso non essere qui oggi”. Ha chiuso il direttore di Radio Radicale, Alessio Falconio, che ha dichiarato: “non puntiamo a vincere spaccando il governo, bensì con-vincere che, come diceva Marco Pannella, è un vincere con”.

Prosegue inoltre la raccolta firme online alla petizione indirizzata al Governo Conte per salvare Radio Radicale, che è prossima al superamento delle 70.000 firme.

Ciao Massimo
Lo scorso 17 aprile, a Roma, si è spento Massimo Bordin, già direttore di Radio Radicale e curatore della nota rubrica quotidiana “Stampa e Regime”. I compagni e le compagne del Partito Radicale sono vicini alla famiglia per la scomparsa di Massimo Bordin. Massimo ha dato voce, cuore e cervello alla vita radicale della Radio e del Partito, riuscendo in modo sublime a superare il divorzio tra cultura e politica.

I messaggi che stanno giungendo in queste ore al Partito e alla Radio legano in modo indissolubile il cordoglio per la scomparsa di Massimo alla vita di Radio Radicale, a ulteriore riscontro del fatto che Massimo ha legato la sua vita a quella della Radio. In un trentennio di attività ha lasciato a Radio Radicale un’impronta umana e professionale indelebile. Il funerale si è svolto il 19 aprile presso la facoltà di teologia dell’università valdese a Roma.

Regioni e Comuni a sostegno di Radio Radicale e del diritto alla conoscenza
Continuano a giungere i sostegni a Radio Radicale da parte di Comuni e Regioni attraverso l’approvazione di mozioni con cui viene chiesto al Governo di riconsiderare la decisione di tagliare i fondi alla Convenzione che permette a Radio Radicale di svolgere il servizio pubblico offerto da 43 anni.

Alle 43 delibere approvate a favore del riconoscimento in sede ONU del “diritto alla conoscenza” di cui il governo italiano si era fatto portatore, nelle ultime settimane ad esse si sono affiancate nuove proposte di delibera, specifiche per salvare Radio Radicale. Nella home page del sito del Partito Radicale è possibile trovare il testo della mozione che è possibile proporre al proprio Consiglio comunale o regionale, e l’elenco di Sindaci, Comuni e Regioni che si sono già mobilitati in favore di Radio Radicale.

Il Venezuela muore, ma il narcotraffico vola: su aerei “usa e getta”
Il 19 aprile, Luca Marfè è tornato ad occuparsi di Venezuela sulle pagine del quotidiano di Napoli “Il Mattino”, con un’impietoso racconto della tragica vicenda di un paese la cui popolazione affonda sempre più nella miseria mentre una piccola parte dell’élite politica e militare vicina a Maduro continua a fare affari e a prosperare grazie al traffico di cocaina.

Cocaina che, come scrive Marfè, “vola su piccoli aerei che vengono utilizzati, addirittura una volta sola, per trasportare gli uni e gli altri lungo le rotte di giungle, Caraibi e Messico. Destinazione finale? A nord gli Stati Uniti, a sud le piazze ricche dell’America Latina. Sì, avete letto bene: «Aerei che vengono utilizzati una volta sola». Il business, infatti, è redditizio al punto che, giunti a destinazione, per evitare di lasciare tracce, i trabiccoli del cielo spesso vengono distrutti, dati in pasto alle fiamme. Una perdita marginale, evidentemente, se paragonata al colossale circuito degli incassi.”

Il tutto avviene con la complicità delle autorità locali, per cui spiega Marfè, “se prima era difficile distinguere Stato e partito socialista, adesso è difficile distinguere governanti e narcotrafficanti. Maduro e i suoi, insomma, non si limitano più soltanto a chiudere un occhio, ma praticamente vivono di questo.” E aggiunge: “La produzione della droga è certo un mostro ben più antico di questa cricca, un vero e proprio cancro che affonda le sue radici nel Novecento di un continente in cui qualcuno si è arricchito e tantissimi sono morti.”

IRAN E MEDIO ORIENTE

Giulio Terzi di Sant’Agata: “l’Europa apra gli occhi sull’Iran”
Il 16 aprile, l’Amb. Giulio Terzi di Sant’Agata presidente del Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella” è intervenuto in una conferenza al Senato in cui è stato presentato il rapporto della FIDU sulla situazione dei diritti umani in Iran. Domenico Letizia ne ha scritto sul Nuovo Corriere Nazionale, evidenziando in particolare quanto affermato dall’Amb. Terzi che ha ricordato che “gli esecutori dei 30.000 oppositori politici del 1988 si trovano ora al Governo dell’Iran con Hassan Rouhani, come il Ministro della Giustizia.”

L’Ambasciatore Terzi ha sempre richiamato l’attenzione sui pericoli dell’Iran per il Medio Oriente e per l’intero sistema delle relazioni internazionali. Nel 2018, scriveva: “La narrativa che ci viene propinata da molto tempo è che l’Iran è un Paese stabile, che guarda con fiducia al futuro e che vede nell’Italia la porta serena verso il mercato europeo. Questo dogma è stato diffuso senza vergogna. Invece ciò che dimostrano anche le recenti manifestazioni è che l’Iran è fortemente instabile e che il regime viene contestato anche al proprio interno.”

Gli Stati Uniti aumenteranno la pressione sulle esportazioni di petrolio iraniano
Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump aumenterà le pressioni sull’Iran, ha detto il 17 aprile il Segretario di Stato americano Mike Pompeo, senza però specificare se l’amministrazione concederà altre deroghe alle sanzioni per i paesi che importano petrolio iraniano. Durante un’audizione al Senato, Pompeo ha detto: “Posso assicurare che il Presidente Trump continuerà ad aumentare la pressione sulla Repubblica islamica dell’Iran. Il nostro obiettivo è chiaro, è di portare l’Iran a zero importazioni il più velocemente possibile e continueremo a farlo”.

Quando Trump ha ritirato gli StatiUniti dall’accordo sul nucleare, a novembre, ha concesso una deroga di sei mesi a otto nazioni, consentendo loro di importare petrolio iraniano fino all’inizio di maggio 2019. L’India, il principale cliente petrolifero dell’Iran dopo la Cina, ha potuto acquistare circa 9 milioni di barili al mese. La Reuters ha riferito martedì che i raffinatori indiani non hanno effettuato nessun ordine per maggio perché sono in attesa di conoscere la decisione statunitense sull’eventuale prolungamento delle deroghe.

Nuovo record negativo per le esportazioni di petrolio iraniano
Secondo fonti del settore, ad aprile le esportazioni iraniane di petrolio greggio hanno toccato il livello più basso per il 2019 e ciò confermerebbe che gli acquirenti stanno riducendo gli acquisti prima ancora che Washington intervenga sulle esportazioni iraniane il prossimo mese. Gli Stati Uniti hanno nuovamente introdotto le sanzioni contro l’Iran a novembre dopo essersi ritirato dall’accordo sul nucleare del 2015 tra Teheran e sei potenze mondiali, provocando un dimezzamento abbondante delle esportazioni iraniane, la principale fonte di entrate del paese.

Secondo i dati di Refinitiv Eikon, per il mese di aprile, le spedizioni hanno una media inferiore a 1 milione di barili al giorno (bpd), una cifra inferiore di almeno 1,1 milioni di bpd. L’ultimo calo accresce le perdite di fornitura derivanti da un accordo globale guidato dall’OPEC per ridurre la produzione di petrolio e le sanzioni statunitensi su un altro membro dell’OPEC, il Venezuela. In virtù di questo, nel 2019 i prezzi del petrolio sono aumentati del 30%, assestandosi sui 71 dollari al barile.

“Il collasso della produzione di petrolio venezuelano e le esportazioni dell’Iran sanzionate hanno messo in discussione l’offerta”, ha detto Norbert Ruecker della banca svizzera Julius Baer. Invece, rispetto ad altri possibili acquirenti che beneficeranno di deroghe statunitensi sulle sanzioni, Sara Vakhshouri, consulente energetico SVB Energy International, ritiene “probabile che Cina, India e forse Turchia riceveranno nuove deroghe, ma con ulteriori tagli”.

Le sanzioni statunitensi colpiscono le relazioni tra Iran e Siria
Il 17 aprile un articolo pubblicato dal giornale siriano Al-Watan controllato dal governo ha rivelato che la grave carenza di carburante che affligge la Siria deriva dall’interruzione, avvenuta il 15 ottobre 2018, della “linea di credito” iraniana sotto la pressione delle sanzioni statunitensi. Nessuna petroliera ha raggiunto i porti siriani negli ultimi sei mesi, anche per il ruolo dell’Egitto che nega alle petroliere iraniane il permesso di attraversare il Canale di Suez verso la Siria.

Non è chiaro quale sia la “linea di credito” iraniana. Se negli ultimi sei mesi l’Iran ha comunque fornito una certa quantità di petrolio gratuitamente per soddisfare il fabbisogno siriano, ciò significherebbe che Tehran ha investito molto più denaro in Siria negli ultimi anni rispetto a quanto abbia ammesso. Secondo Al-Watan, la Siria dovrà cercare di ripristinare la linea di credito dall’Iran e identificare vie alternative per assicurare la liquidità finanziaria. Ma le sanzioni statunitensi restano l’ostacolo maggiore.

Iran e Russia hanno aiutato il regime di Assad a sopravvivere negli ultimi otto anni. L’Iran ha speso miliardi di dollari nella guerra civile siriana e ha continuato a coprire altri fronti con le guerre per procura in Iraq e in Yemen, prosciugando le sue risorse finanziarie. Allo stesso tempo, le sanzioni statunitensi hanno colpito pesantemente l’economia iraniana e le esportazioni di petrolio. E così, mentre la sua stessa esistenza è minacciata da sanzioni, alluvioni, crisi economica, corruzione e dissenso pubblico, sembra che l’Iran stia iniziando a liberarsi di alcuni fardelli, come la Siria.

La Turchia cerca un nuovo meccanismo commerciale con l’Iran per evitare le sanzioni statunitensi
Il 17 aprile il Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha detto che la Turchia sta esplorando nuovi meccanismi commerciali con l’Iran, simili al sistema INSTEX creato dai paesi europei per evitare le sanzioni statunitensi introdotte lo scorso anno sulle esportazioni di petrolio iraniano.

“Quel che conta è la solidarietà e la determinazione tra noi”, riferendosi al partner iraniano. Francia, Germania e Gran Bretagna hanno aperto un nuovo canale per gli scambi con l’Iran, con una valuta diversa dal dollaro. Cavusoglu non ha approfondito i dettagli del nuovo meccanismo, tuttavia in passato la Turchia ha già utilizzato valute nazionali nel settore del commercio internazionale. Nell’ottobre 2017, le banche centrali turche e iraniane hanno convenuto formalmente di attivare scambi commerciali impiegando valute locali, dopo aver fatto ricorso anche all’euro in precedenza.

Il Ministro della Sanità libanese si recherà negli Stati Uniti
Il 19 aprile, Jamil Jabaq, il nuovo Ministro della Sanità libanese vicino a Hezbollah, ha annunciato che si recherà a Washington “presto” per incontrare alcuni funzionari della Banca Mondiale. Scopo della visita è dare seguito ai 150 milioni di dollari in sovvenzioni a fondo perduto che la Banca Mondiale ha assegnato al Libano nel 2017 e che dovrebbe essere investito nei sistemi di assistenza sanitaria libanese.

Il Ministro ha sottolineato di non essere un membro di Hezbollah e ha anche negato di essere il medico personale del capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Replicando al Sottosegretario americano Mike Pompeo, recentemente in visita in Libano, che ha denunciato il ruolo di Hezbollah nella politica libanese, Jabaq ha affermato che il suo Ministero è un “Ministero della Sanità del Libano, non di Hezbollah. Non nego che io tratti molte persone che hanno un legame con Nasrallah, dato che sono sciita e vivo nel quartiere sud di Beirut”.

Il Bahrain incarcera 138 sospetti per “terrorismo”
Il 16 aprile il Bahrain ha incarcerato 138 persone e ne ha revocato la cittadinanza con l’accusa di aver complottato contro lo Stato mediante la formazione di un gruppo “terrorista” con legami con il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica. Il verdetto è stato prontamente condannato dall’opposizione del Bahrain, mentre il gruppo per i diritti umani Amnesty International ha criticato “la beffa della giustizia” e la detenzione arbitraria di massa.

Il tribunale, le cui sentenze possono essere impugnate, ha condannato gli imputati a tre anni di carcere per aver tentato di formare un Hezbollah del Bahrain, simile alle milizie sciite attive in Libano. Il Procuratore, Ahmad al-Hammadi, ha spiegato che alcuni membri arrestati hanno ricevuto un addestramento militare in Libano, Iran e Iraq. Il processo “dimostra come le autorità del Bahrain si affidino sempre più alla revoca della nazionalità come strumento per attuare la repressione”, ha affermato Lynn Maalouf, uno dei responsabili di Amnesty in Medio Oriente. Secondo l’Istituto Bahrein per i Diritti e la Democrazia, dal 2012 Manama ha rimosso la nazionalità di 990 persone, di cui 180 nel 2019.

Dalle rivolte del 2011 nel mondo arabo, il Bahrain ha reagito mettendo al bando tutti i gruppi di opposizione. Nel 2018 il re ha firmato un decreto che permette ai tribunali militari di processare civili accusati di “terrorismo” e sempre l’anno scorso, a giugno, è stata emendata la legge sui diritti politici, che vieta a leader e membri di associazioni politiche dissolte di candidarsi alle elezioni legislative.

14,3 milioni di dollari in sostegno militare dagli USA al Libano
Il 16 aprile gli Stati Uniti hanno consegnato radio, dispositivi per la visione notturna e altre attrezzature per un valore totale 14,3 milioni di dollari all’esercito libanese. La consegna fa parte di un accordo militare teso a sostenere le forze armate di Beirut contro Hezbollah. In due consegne precedenti, effettuate all’inizio di aprile e a febbraio, l’esercito libanese ha ricevuto sei droni, per un valore di circa 11 milioni di dollari, e missili di precisione laser-guidati per un valore di 16 milioni di dollari. Infine, a giugno 2018, gli Stati Uniti hanno fornito una flotta di aerei d’attacco all’aeronautica libanese. Dal 2005, gli Stati Uniti hanno fornito al Libano assistenza militare per un valore di oltre 2,3 miliardi di dollari.

Lo Yemen vuole designare ufficialmente i ribelli Houthi come terroristi
Il parlamento dello Yemen ha presentato un progetto di legge per designare i ribelli Houthi come un “gruppo terrorista”. I parlamentari fedeli al presidente Abdrabu Mansur Hadi si sono riuniti in una sessione parlamentare (la prima volta da quattro anni) a Sayoun, città nella provincia di Hadramawt, dato che i ribelli Houthi controllano la capitale Sanaa, per discutere dio come contrastare i ribelli sostenuti dall’Iran.

“Chiediamo alla comunità internazionale di assumersi la responsabilità di sostenere il governo legittimo dello Yemen e di costringere gli Houthi ad attuare l’accordo di pace delle Nazioni Unite senza ulteriori ritardi”, ha affermato un portavoce del Parlamento, aggiungendo: “Gli Houthi non stanno solo ostacolando l’attuazione dell’accordo mediato dall’ONU, ma si stanno anche rifiutando di attuare l’accordo sulla liberazione di prigionieri e detenuti”.

La guerra di quattro anni in Yemen ha creato una delle peggiori crisi umanitarie del mondo. L’ONU stima che 10 milioni di persone siano sull’orlo della carestia, mentre i morti superano i 10.000.

I finanziamenti del Qatar alla Fratellanza Musulmana in Europa
Due giornalisti francesi George Malbrunot e Christian Chesnot hanno pubblicato il libro “Qatar Papers: How the State Finances Islam in France and Europe” con cui hanno dimostrato che il 90% dei fondi del Qatar verso l’UE sono diretti a sostenere progetti della Fratellanza Musulmana. George Malbrunot, parlando a Gulf News, ha dichiarato: “Questa non è fantasia. Le prove che abbiamo pubblicato si basano su trasferimenti bancari, assegni e lettere ufficiali. È una prova che semplicemente non è possibile contestare”.

I due giornalisti hanno iniziato a lavorare al libro di 295 pagine alla fine del 2016, dopo aver ricevuto una chiavetta USB da un whistleblower anonimo, contenente documenti del database della Qatar Foundation, diretta da Shaikha Moza Bint Nasser Al Misned la consorte dell’ex emiro del Qatar, e della Qatar Charity, diretta da un parente di suo figlio, l’emiro, lo sceicco Hamad Bin Nasser Al Thani.

Gran parte del finanziamento proveniva dalla Qatar Charity, una ONG creata nel 1992 per aiutare gli orfani della guerra afghana, poi estesasi in tutto il mondo, ma particolarmente attiva in Europa. Malbrunot ha detto che “un totale di 140 progetti diffusi in Europa – principalmente moschee e centri islamici – sono stati finanziati direttamente dal Qatar negli ultimi otto anni”. Le attività si estendono su tutto il territorio, dal nord della Norvegia alla Francia, per un totale di 90 milioni di euro.

La spartizione della ricostruzione siriana tra Russia, Iran e Cina
Nell’incontro del 10 aprile a Damasco tra il Ministro dei Trasporti siriano Ali Hammoud e l’Ambasciatore cinese in Siria Qi Qianjin a Damasco, Hammoud ha sottolineato l’importanza che l’iniziativa cinese One Belt, One Road approdi in Siria. Gli investitori cinesi sono stati invitati a partecipare a progetti commerciali sul suolo siriano, a stabilire nuovi percorsi sulla costa tra Latakia e Tartus, a sviluppare nuove rotte internazionali, e a lanciare progetti ferroviari nelle zone rurali di Damasco.

In precedenza, il 25 febbraio, il presidente siriano Bashar al-Assad si era recato a Teheran per incontrare il capo supremo Ali Khamenei e il presidente Hassan Rouhani. La visita è avvenuta alla luce degli intensi scambi tra le delegazioni commerciali iraniana e siriana ed è stata l’occasione per discutere del ruolo dell’Iran nella ricostruzione della Siria.

Infine dal 17 al 20 aprile la Russia ha ospitato il 5° Forum economico internazionale di Yalta dove la Siria è stata nominata membro onorario del forum a seguito all’accordo di mutua cooperazione firmato la Repubblica di Crimea e la Siria l’anno scorso. La Russia si è assicurata una presenza all’interno delle forze armate e dell’intelligence siriane dal settembre 2015, mediante l’apporto militare alla guerra e con un sostegno finanziario al regime siriano.

I cinesi, a loro volta, hanno mirato, fin dai primi anni 2000, a creare relazioni influenti con diverse strutture governative e aziende locali del settore pubblico, considerando la Siria un punto di accesso ai mercati libanese e iracheno. La Cina si è dunque concentrata su progetti di cooperazione bilaterale nel settore del petrolio, del gas e dell’elettricità.

Oggi, l’incertezza sulla crescente rivalità economica tra Iran, Russia e Cina in Siria, Mosca e Teheran stanno cercando di dividere le loro sfere di interesse e costruire relazioni da governo a governo, da governo ad azienda e da azienda ad azienda con partner siriani. Mentre i russi sono più concentrati sulle risorse minerarie, le infrastrutture di trasporto e la produzione di fertilizzanti, gli iraniani danno priorità al commercio, al settore immobiliare e ai settori agricolo ed edilizio. I cinesi, da parte loro, continuano a limitare i loro sforzi al settore dell’elettricità e ad alcune industrie manifatturiere.

FOTO DELLA SETTIMANA
Roma, 21 aprile 2019: manifestazione organizzata dal Partito Radicale per la vita del servizio pubblico di Radio Radicale

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