N 24 – 6/5/2019

N 24 – 6/5/2019

PRIMO PIANO

Tutti uniti per Radio Radicale
Domenica 5 maggio si è tenuta in Piazza Mattei a Roma una maratona oratoria promossa da Articolo 21, FNSI, Associazione Stampa Romana, Comunità Ebraica di Roma, Comunità di Sant’Egidio, alla quale hanno partecipato diverse associazioni territoriali, parlamentari, scrittori e giornalisti per salvare Radio Radicale. La manifestazione è nata dopo l’appello del 25 aprile della Presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello che aveva chiesto una mobilitazione generale per evitare la chiusura dell’emittente fondata 43 anni fa.

I partecipanti, tra cui il direttore di Radio Radicale Alessio Falconio, Rita Bernardini giunta al 26° giorno di sciopero della fame, Maurizio Bolognetti al 68° giorno di sciopero della fame, Stefano Fassina, Federico Mollicone, Filippo Sensi, Luca Barbareschi, Atos De Luca e molti altri ancora hanno ribadito la richiesta al Governo e alle istituzioni di evitare la cessazione del servizio pubblico fornito dalla storica emittente prevista per il prossimo 20 maggio a causa della scadenza della convenzione che regola le trasmissioni dei lavori parlamentari.

E’ possibile contribuire alla campagna per la vita di Radio Radicale sostenendo la raccolta firme online, lanciata da Rocco Papaleo, Alessandro Haber, Luca Barbarossa, Jimmy Ghione e Alessandro Gassmann. La petizione sta per raggiungere e superare le 100.000 firme. Firma e fai firmare visitando questa pagina.

Giulio Terzi: non è un semplice “attacco cyber” la risposta israeliana ad Hamas
Domenica 5 maggio gli Stati Uniti hanno preso l’importantissima decisione di inviare la portaerei Lincoln e una squadra di cacciabombardieri in Medio Oriente. Questo schieramento navale USA, con elevate capacità di attacco, intende lanciare un avvertimento chiaro e netto al regime teocratico iraniano, e segue l’inserimento del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (IRGC) nella lista delle entità terroristiche, quali realmente essi sono. La reazione di Hamas, con il lancio di razzi da Gaza verso Israele, effettuati nonostante le coraggiose proteste di cittadini palestinesi stufi degli abusi che devono subite dai capi di Hamas, sono una dimostrazione della pressione a cui è sottoposto il regime iraniano.

A seguito della risposta militare israeliana, l’IDF ha annunciato l’uccisione, tra gli altri, del comandante di Hamas Hammed al-Ghudari, 34 anni, colpito in un raid mirato contro di lui. Il portavoce dell’esercito israeliano, Ronen Manelis, ha detto che al-Ghudari era “responsabile del trasferimento di denaro dall’Iran alle organizzazioni terroristiche della striscia di Gaza”. Di fatto, gli attacchi terroristici contro Israele da Gaza hanno comportato il lancio di oltre 600 missili indirizzati sulla popolazione civile, provocando almeno quattro vittime israeliane. Sembra dunque difficile poter definire ciò un semplice “attacco cyber”, come qualcuno aveva definito la causa della reazione militare di Israele.

Consiglio d’Europa: 70 anni tra successi e sfide
Domenica 5 maggio è stato il 70° anniversario della fondazione del Consiglio d’Europa. L’Istituto Affari Internazionali ha ospitato un commento del Segretario del Global Committee for the Rule for Law “Marco Pannella” e membro della Presidenza del Partito Radicale, Matteo Angioli.

Era il 19 settembre 1946 quando Winston Churchill, vittorioso contro la tirannia nazista, senza perder tempo ad adagiarsi sugli allori, tracciò la via da seguire per mettere al sicuro quei valori di libertà e democrazia che avevano rischiato di soccombere. “Dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d’Europa. Il primo passo è formare un Consiglio d’Europa”, disse a Zurigo, auspicando invano, pochi mesi dopo, che anche la Germania partecipasse da subito a quel progetto. L’idea era evitare di ripetere l’approccio eccessivamente punitivo nei confronti dei tedeschi, come avvenne nel post Prima guerra mondiale, propiziando l’affermazione della follia hitleriana.

È indubbio che il contributo fornito da 70 anni dal Consiglio d’Europa alle istituzioni preposte al rispetto dei diritti fondamentali sia risultato in un’accresciuta consapevolezza popolare circa l’importanza di questo strumento sovranazionale di giustizia. Ma non basta. I suoi successi attirano anche attacchi e minacce. Perciò è fondamentale onorarne la storia e proteggerlo soprattutto da chi, seguendo logiche nazionalistiche e protezionistiche, vuole sminuirlo o azzerarlo. In un’epoca priva di Churchill, Adenauer o De Gasperi serve lottare per lo stato di diritto democratico, federalista, laico.

Presentazione del libro “Cybercrime” alla Camera dei Deputati
Giovedì 9 maggio alle 15:30 presso la Sala Conferenze di Palazzo Theodoli Bianchelli (ingresso in Piazza del Parlamento 19) si terrà la presentazione del libro “Cybercrime”, realizzato dagli avvocati Alberto Cadoppi, Stefano Canestrari, Adelmo Manna e Michele Papa, edito da Utet Giuridica, la Casa Editrice del gruppo Wolters Kluwer Italia.

Dopo il saluto di benvenuto dell’On. Federica Zanella, interverranno Giulio Terzi di Sant’Agata, Ambasciatore e Presidente del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”; Karoly Dan, Ambasciatore, Rappresentante Permanente di Ungheria presso l’OSCE; Ludovica Rossi Purini, advisor al Center for Italian Studies della Stony Brook University; Adelmo Manna, Professore ordinario di Diritto Penale all’Università di Foggia; Guido Di Donato, Responsabile Funzione Tutela Aziendale SDA – Poste Italiane. Concluderà Michele Papa, Professore ordinario di Diritto Penale all’Università degli Studi di Firenze e Componente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa. L’incontro è moderato da Stefano Dambruoso, magistrato presso la Procura della Repubblica di Bologna.

Per informazioni: zanella_f@camera.it

IRAN E MEDIO ORIENTE

L’Iran continuerà l’arricchimento dell’uranio
Il 4 maggio la TV di stato iraniana ha detto che il presidente del parlamento Ali Larijani ha affermato che grazie all’accordo nucleare del 2015 tra l’Iran e le potenze mondiali, Teheran ha il diritto di continuare a sviluppare programmi per l’arricchimento dell’uranio e a produrre acqua pesante. “Stando all’accordo, non abbiamo fatto nulla di sbagliato. Continueremo ad arricchire l’uranio”, ha detto Larijani.

Gli Stati Uniti hanno detto di non rinnovare due deroghe sulle sanzioni: la prima consentiva all’Iran di immagazzinare l’acqua pesante in eccesso prodotta nel processo di arricchimento dell’uranio in Oman; la seconda consentiva di scambiare l’uranio arricchito con la Russia. Lo scopo di questa decisione era costringere l’Iran a cessare i programmi per l’arricchimento dell’uranio, che ha potuto fare entro certi limiti previsti dall’accordo nucleare. L’uranio altamente arricchito può essere utilizzato come carburante per le armi nucleari.

Le esportazioni di greggio iraniano continuano a diminuire, ma…
Le esportazioni di greggio e condensato dai paesi OPEC del Golfo Persico, che rappresentano circa il 75% della produzione totale dell’OPEC, sono diminuite per il terzo mese consecutivo raggiungono ad aprile al livello più basso da quando il gruppo di paesi OPEC + ha avviato i tagli alla produzione a gennaio 2017.

L’ultimo sviluppo è stato determinato da un crollo del volume di petrolio esportato dall’Iran, a causa della scadenza delle esenzioni sulle vendite petrolifere iraniane del paese a inizio maggio. Anche Giappone e Corea del Sud hanno bloccato le importazioni ad aprile, causando a un calo del 50% del flusso di greggio e condensato dal paese del Golfo Persico.

E’ interessante poi osservare la situazione rispetto alla Cina, le cui importazioni sono diminuite di oltre 1 milione di barili al giorno tra febbraio e aprile, con forti cali di flussi provenienti sia da Iran che Iraq. Tuttavia queste cifre devono essere prese con le molle, poiché ad aprile sono stati caricati circa 28 milioni di barili di greggio iraniano su petroliere con sconosciuta destinazione finale. E’ assai probabile che una buona parte di quel petrolio sia diretto in Cina, riducendo dunque l’entità del calo apparente dei flussi, ma non eliminandolo del tutto.

Gli Stati Uniti pronti alla reazione iraniana dopo l’offensiva sul mercato petrolifero
Gli Stati Uniti sanzioneranno paesi alleati e non che importeranno petrolio iraniano a partire dal 2 maggio, data in cui sono scadute le esenzioni dalle sanzioni statunitensi. La Casa Bianca potrebbe comunque avere più difficoltà del previsto nell’azzerare le esportazioni petrolifere iraniane e infatti l’amministrazione Trump si sta preparando alla risposta di Teheran, che potrebbe prendere di mira le risorse statunitensi in Medio Oriente e intensificare le tensioni con gli Stati Uniti e nel regione. Il governo statunitense è consapevole che vari paesi tenteranno di aggirare possibili sanzioni, attraverso il contrabbando e impiegando società con scarsi collegamenti con il sistema finanziario statunitense.

Secondo Henry Rome, analista di Eurasia Group, l’Iran non risponderà con la violenza perché spera di avviare una forma di negoziazione con gli Stati Uniti oppure di resistere in attesa di un successore di Trump. Dice Rome: “Se sbagliamo e gli iraniani scelgono di rispondere a queste sanzioni petrolifere in modo aggressivo, penso che la minaccia numero uno sia quella cyber, che si tratti di demolire una raffineria petrolifera saudita o di inseguire le banche in Medio Oriente, io penso che sia la loro strada più probabile. E’ un’azione che permette di celarsi meglio, mette meno pressione sul presidente Trump, e quindi riduce il rischio di escalation”. Nel frattempo, si prevede che gli iraniani continuino a contrabbandare il petrolio, grazie a Pakistan, Iraq e Afghanistan.

Rispetto all’amministrazione Obama poi, ha detto Rome, “l’amministrazione Trump ha eliminato più barili iraniani in un breve lasso di tempo con meno cooperazione internazionale” e ha aggiunto che “il modo in cui si è proceduto, e continueremo a procedere, è molto stressante per i mercati petroliferi internazionali e per le relazioni bilaterali con i principali importatori di petrolio dell’Iran”.

Il Qatar evidenzia i problemi creati dalle sanzioni ai paesi importatori di petrolio
Il Qatar, che ospita la più grande base aerea degli Stati Uniti in Medio Oriente, si è detto contrario alla decisione di Washington di bloccare tutte le esportazioni di petrolio iraniano, affermando che le sanzioni unilaterali danneggiano i paesi importatori. “In Qatar, non crediamo che le sanzioni unilaterali portino effetti positivi perché le crisi devono essere risolte solo e soltanto con il dialogo”, ha detto il Ministro degli Esteri del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thanin il 3 maggio durante una conferenza stampa a Doha, alla quale ha partecipato la sua controparte iraniana.

Il Qatar, il principale esportatore mondiale di gas naturale liquefatto, non condivide la posizione degli altri stati arabi del Golfo, sostenitori dell’inasprimento delle sanzioni statunitensi contro l’Iran. L’Arabia Saudita e i suoi alleati accusano il Qatar di sostenere il terrorismo per ingraziarsi Teheran.

La Casa Bianca e sta lavorando con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti per garantire la tenuta del mercato del petrolio, che già quest’anno sono stati inaspriti a causa di tagli di forniture guidati dall’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC). Il Qatar che, rispetto al gas esportato, esporta poco petrolio, ha lasciato l’OPEC a dicembre. Una mossa vista come un colpo al leader de facto dell’organizzazione, l’Arabia Saudita.

Due minori giustiziati in Iran
Secondo alcune organizzazioni per i diritti umani, il 2 maggio due giovani diciassettenni sarebbero stati giustiziati per dei reati commessi quando avevano ambedue 15 anni. Sohrabifar e Sedaghat, che erano cugini, sarebbero stati impiccati nella prigione di Adel Abad nella città meridionale di Shiraz. Amnesty International ha dichiarato di aver ricevuto informazioni che suggeriscono che gli adolescenti non erano nemmeno a conoscenza di essere stati condannati a morte fino a pochi istanti prima di morire.

I familiari hanno appreso l’accaduto il giorno seguente, venerdì 3 maggio, con una telefonata dalla Iran’s Legal Medicine Organization. Amnesty ha affermato che dai segni sui corpi, i due ragazzi sono stati frustati prima dell’impiccagione.

“Non c’è alcuna giustificazione per l’esecuzione di minorenni”, ha detto Michael Page, vice direttore del Medio Oriente di Human Rights Watch. “Le autorità iraniane hanno trasferito Mehdi Sohrabifar e Amin Sedaghat da un istituto detentivo per minorenni direttamente alla forca”. Il Dipartimento di Stato americano si è detto “inorridito” per la vicenda che, purtroppo, “è coerente con la scandalosa situazione complessiva dei diritti umani in Iran”.

Arrestate decine di manifestanti nella festa dei lavoratori
Il primo maggio le forze dell’ordine iraniane hanno disperso violentemente una manifestazione tenuta da alcune organizzazioni sindacali e arrestato decine di manifestanti che protestavano in occasione della Giornata internazionale dei lavoratori davanti al palazzo del parlamento. Erano presenti anche insegnanti, pensionati e studenti si sono uniti alle proteste.

Gli organizzatori hanno fatto sapere che la manifestazione era per protestare contro “l’instabilità del lavoro, salari bassi e pagamenti in ritardo, privatizzazioni, imprese infruttuose e pressioni su sindacati e attivisti indipendenti”. Un’altra precedente protesta sindacale, svoltasi il 26 aprile a Teheran, è stata violentemente dispersa dalle forze di sicurezza con arresti di attivisti e organizzatori.

Secondo Amnesty International, dal maggio 2018 ad oggi sono 20 gli insegnanti finiti in carcere per aver partecipato a manifestazioni come quella del primo maggio. Ormai le proteste vengono represse con maggior forza dalle autorità. Probabilmente a causa della crescente pressione economica nel paese e dell’impatto dei social media nel raccontare e diffondere fatti come questi.

La Camera Penale di Velletri in sciopero della fame per Nasrin Sotoudeh
Da alcuni giorni gli avvocati della Camera di Velletri (RM) hanno iniziato uno sciopero della fame a staffetta a sostegno dell’avvocatessa iraniana condannata a 33 anni di reclusione e 148 frustate.

In un comunicato del 28 aprile del Consiglio Direttivo degli avvocati si legge: “Le accuse contro di lei soo conseguenza del suo pacifico lavoro i favore dei diritti umani, inclusa la sua difesa delle donne che protestano contro l’obbligo di indossare il velo in Iran e la sua pubblica opposizione alla pena di morte. La condanna è divenuta definitiva perché l’attivista ho ha proposto appello contro la sentenza”.

La Turchia non interromperà le importazioni di petrolio iraniano
Il 2 maggio il Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha detto che la Turchia non è in grado di diversificare rapidamente le importazioni di petrolio iraniano dopo la fine delle esenzioni degli Stati Uniti. Questo commento avvicina i turchi ai cinesi che hanno dichiarato chiaramente di voler proseguire una cooperazione “razionale e legale” con l’Iran. Altri importanti acquirenti, come India, Giappone e Corea del Sud, hanno comunicato l’intenzione di accettare le pressioni degli Stati Uniti.

Il Ministro Cavusoglu ha detto che la Turchia ha ridotto la forte dipendenza dal greggio iraniano lo scorso anno, ma le raffinerie non sono adatte a trattare petrolio proveniente da altri paesi. “Dobbiamo rinnovare dal punto di vista tecnologico affinché sia possibile importare petrolio da paesi terzi. Ciò significa che le nostre raffinerie dovrebbero essere chiuse per un po ‘di tempo e ciò, ovviamente, ha un costo”, ha detto il Ministro.

La Turchia, che dipende quasi completamente dalle importazioni per soddisfare il proprio fabbisogno energetico, ha importato in media 912.000 tonnellate di petrolio al mese dall’Iran fino a maggio 2018, una cifra che costituisce il 47% del fabbisogno totale di petrolio.

Il Bahrain si schiera con gli Stati Uniti rispetto allo Stretto di Hormuz
Il 3 maggio il Ministro degli Esteri del Bahrain ha affermato che all’Iran “non sarà permesso di chiudere nemmeno per un giorno lo Stretto di Hormuz” e ha invitato Teheran a riconsiderare le sue politiche regionali. In un’intervista con Asharq Al-Awsat, lo sceicco Khalid bin Ahmed Al Khalifa ha indirettamente criticato l’accordo sul nucleare con l’Iran, perché inadeguato rispetto alla questione del programma missilistico e all’azione nella regione.

“La situazione attuale deriva dall’accordo nucleare da cui Washington si è ritirata. Quell’accordo riguardava il programma nucleare iraniano e non considerava né i programmi balistici né la politica egemonica iraniana”, ha detto Sheikh Khalid.

Successivamente, dopo l’annuncio degli Stati Uniti di porre fine alle esenzioni offerte sull’acquisto di petrolio iraniano nonostante le sanzioni statunitensi, Teheran ha intensificato le minacce per chiudere lo Stretto di Hormuz. In proposito, il 27 aprile, il capo Comando Centrale statunitense, il Generale Kenneth McKenzie ha affermato che gli Stati Uniti dispiegheranno le risorse necessarie per contrastare qualsiasi azione pericolosa da parte dell’Iran.

Il Ministro degli Esteri del Bahrain ha anche suggerito all’Iran di riconsiderare la posizione nei confronti della regione e degli Stati Uniti: “Teheran ha l’opportunità di cambiare linea, dato che quella seguita finora l’ha condotta sull’orlo dell’abisso”.

Amnesty chiede ai ribelli Houthi in Yemen di liberare 10 giornalisti accusati di spionaggio
Il primo maggio Amnesty International ha chiesto al movimento yemenita degli Houthi, che controlla la capitale Sanaa dopo aver spodestato nel 2014 il governo legittimo, di liberare 10 giornalisti detenuti da quasi quattro anni per “spionaggio”. Alcuni giornalisti lavoravano per agenzie di stampa online affiliate al partito Islah, componente del governo di Hadi. Nessuno ha idea di quando, se e dove si terrà un processo.

“È assolutamente scandaloso che questi prigionieri rischino la pena di morte semplicemente per aver svolto il loro lavoro. Le accuse contro sono una montatura”, ha detto Rasha Mohamed, ricercatrice sullo Yemen di Amnesty che ha aggiunto: “Dopo aver subito una sparizione forzata, i prigionieri sono stati detenuti in isolamento, sono stati privati ​​dell’accesso alle cure mediche e sono stati torturati”, ha detto la Mohamed.

Il capo del Comitato Rivoluzionario Supremo degli Houthi, Mohammed Ali al-Houthi, ha risposto così via Whatsapp a una richiesta di chiarimenti della Reuters: “Non c’è alcuna verità su ciò che alcuni vanno dicendo… Provatelo che queste persone esistono e sono giornalisti”.

SPAGNA

Carles Puigdemont potrà candidarsi alle europee
Dopo il giudizio favorevole del Procuratore generale, domenica 5 maggio anche la Corte Suprema spagnola ha stabilito che Carles Puigdemont e altri due candidati di “Lliures per Europa” possono candidarsi alle elezioni europee del 26 maggio, ribaltando così la decisione della Giunta Elettorale Centrale che aveva accolto un ricorso del Partito Popolare (PP) e di Ciudadanos (Cs) ed escluso i tre candidati della formazione indipendentista catalana. Nel suo comunicato, la Corte Suprema ha affermato all’unanimità che l’esclusione dei tre candidati è “infondata” e ha chiesto al tribunale amministrativo di Madrid di dare “immediatamente” seguito alla decisione.

Occorre disinnescare lo scontro tra nazionalismi e proporre, soprattutto in Catalogna, dove già si chiede un’Europa federale e un esercito europeo anziché la difesa comune europea, una riflessione sullo Stato di Diritto e sulla Repubblica europea dei cittadini come nuovo spazio di maggiore democrazia e diritto. Per questo accogliamo con favore l’autorizzazione a candidarsi di Carles Puigdemont, una decisione giusta che inoltre mostra la vacuità dei “radicali” e dei “liberali” di Più Europa, alleati a doppio filo, nell’ALDE, con la formazione spagnola di Ciudadanos all’origine del tentativo di censurare in ogni modo e in ogni dove chi ha un’idea diversa, dimostrando una cultura tutt’altro che liberale.

VENEZUELA

Guaidó e il golpe che non c’è stato
Il 2 maggio Luca Marfé è tornato ad occuparsi di Venezuela su Il Mattino con un articolo in cui parla di “un piano pronto per qualsiasi ipotesi” del Pentagono.

Giornate di rivolte e di rivolte mancate, con il leader dell’opposizione Juan Guaidó che prima suona la carica, poi ammette la caduta nel vuoto dell’appello rivolto ai militari che restano fedeli al regime, poi ancora insiste sulla necessità di una protesta permanente. Protesta che, giunta oramai nella sua fase finale, potrebbe assumere dei connotati di forte agitazione. Del resto, non sono mancate le violenze, come evidenziato dalle statistiche che tracciano un quadro di cento e più feriti e, soprattutto, dalle immagini che ritraggono i blindati dell’esercito venezuelano mentre fanno breccia tra le prime file dei manifestanti.

Un Paese in guerra contro se stesso al cospetto di un momento storico che si fa fatica a descrivere. Con il “vicino di casa” più ingombrante ogni giorno un po’ più spazientito. “È terribile. La gente ha fame, le persone stanno letteralmente morendo di fame. Non c’è cibo, non c’è acqua e qualcuno vorrebbe imputare la colpa a noi”. Le parole sono di Trump, il “qualcuno” è Maduro che come sempre grida al colpo di Stato orchestrato dalla solita, e soltanto perennemente presunta, regia a stelle e strisce.

Pur volendo dare credito alla stanca tesi anti-americana, il disastro socialista è cosa assai più antica dei tumulti di questi giorni. E affonda le sue radici in vent’anni di persone e di politiche sbagliate. Ma mentre l’erede di Chávez celebra l’ennesima vittoria farsa di un popolo oramai distrutto, il numero uno della diplomazia di Washington, quel Mike Pompeo che di diplomatico non ha nulla, agita lo spettro di un intervento militare: “Se sarà necessario, gli Stati Uniti andranno in guerra”.

E a lui fanno eco i vertici del Pentagono: “Abbiamo un piano pronto per qualsiasi ipotesi. Qualsiasi”. Alle scintille yankee corrispondono i fastidi russi. Con Putin che avverte: giù le mani da Caracas. L’effetto domino di un’eventuale iniziativa è oggettivamente incalcolabile e sarebbe in ogni caso drammatico. Il protrarsi (l’incancrenirsi) di questa situazione, però, potrebbe scavare una fossa ancor più profonda per un Venezuela quasi morto. In attesa di un peggio annunciato a scena aperta, colpisce infine il silenzio di Papa Francesco. Che certe latitudini dovrebbe averle cucite sul cuore.

CAMBOGIA

Sam Rainsy racconta lo spietato dominio cinese in Cambogia
Le ambizioni della Cina per il dominio del mondo sotto la presidenza di Xi Jinping sono ben note. Nel 2013 Xi Jinping, che punta al potere permanente, ha svelato il suo enorme progetto noto come la Nuova Via della Seta (o Belt and Road Initiative), che altro non è che il nuovo asse della conquista o penetrazione cinese in tutto il mondo, sotto le spoglie del commercio, di investimenti e di cooperazione economica.

L’allineamento della Cambogia ad una Cina aggressiva ed espansionistica comporta pericoli per la pace e la sicurezza regionali. Dopo aver messo l’economia del suo paese in ginocchio, la corruzione e le politiche irrazionali, Hun Sen è sempre più dipendente dalla generosità cinese per evitare la bancarotta nazionale. E’ dunque costretto a cedere rapidamente alle richieste della Cina, che vuole installare nel paese strutture militari per assumere il controllo del Mar Cinese Meridionale.

L’asse Cina-Cambogia disturba l’equilibrio regionale e minaccia la sicurezza di altri paesi, in particolare i membri dell’ASEAN, la cui posizione è indebolita dalla complicità di Hun Sen con l’espansionismo cinese. Il conto che la Cambogia dovrà pagare per l’eccessiva dipendenza dalla Cina è ancora da calcolare.

FOTO DELLA SETTIMANA
Roma, 5 maggio 2019: mobilitazione a Piazza Mattei promossa dalla Presidente della Comunità ebraica di Roma per la vita di Radio Radicale

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