N 28 – 3/6/2019

N 28 – 3/6/2019

PRIMO PIANO

Si può sanzionare la menzogna in politica?
A stabilirlo sarà un tribunale britannico. In un articolo del 29 maggio, il Guardian riporta la decisione di un giudice del tribunale distrettuale di Westminster di confermare che la denuncia contro Boris Johnson per aver mentito può proseguire. Il candidato alla leadership del Partito Conservatore è stato infatti convocato in tribunale per rispondere dell’accusa di “condotta scorretta in pubblico ufficio” per alcune dichiarazioni rese prima del referendum sull’adesione all’UE, in particolare sul risparmio di circa 350 milioni di sterline che il Regno Unito avrebbe potuto ottenere.

Il caso è nato da un crowdfunding lanciato dall’imprenditore Marcus Ball che ha raccolto oltre 200.000 sterline per formare un team di legali che hanno presentato il caso davanti al giudice distrettuale (district court), Margot Coleman, che ha deciso di convocare Johnson con la seguente motivazione: “Avendo preso in considerazione tutti i fattori rilevanti, sono convinto che in questo caso sia appropriato chiedere la convocazione per i reati così esposti. Le accuse sono perseguibili. Ciò significa che l’imputato è tenuto a comparire in questo tribunale per un’udienza preliminare; il caso verrà poi rinviato al tribunale della corona (crown court) per il processo”.

Le Monde: “Radio Radicale pilastro della Repubblica italiana”
Mentre la petizione online per salvare Radio Radicale e indirizzata al Governo Conte ha superato le 166.000 sottoscrizioni, dopo la manifestazione del 28 maggio organizzata dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana a Piazza Montecitorio, e dopo la pubblicazione di un articolo sul Guardian, anche Le Monde torna sulla vicenda con un articolo del 31 maggio intitolato: “Radio Radicale: pilastro della Repubblica italiana, rischia la chiusura”.

“Si tratta infatti di niente meno che uno dei pilastri della Repubblica italiana, che potrebbe benissimo crollare nei prossimi giorni. Radio Radicale è, bisogna ammetterlo, una strana istituzione. Ed è questa stranezza che impedisce di percepire, oltre i confini dell’Italia, l’importanza della posta in gioco”, scrive il corrispondente di Le Monde da Roma, Jerome Gautheret, che illustra anche la figura chiave del co-fondatore di Radio Radicale, Marco Pannella, come strumento per offrire al paese quel “servizio pubblico” che la RAI non ha mai assicurato.

Firma la petizione nel trentennale del massacro di Piazza Tiananmen
Il 4 giugno ricorre il trentennale del massacro compiuto nel 1989 a Piazza Tiananmen, Pechino. L’immagine simbolo della lotta per la democrazia repressa all’improvviso nel sangue dalle autorità cinesi è quella di un uomo con un sacchetto in mano davanti a una lunga fila di carri armati. Il carro armato cerca di aggirarlo ma lui non molla.

Mentre iniziano a trapelare le cifre degli studenti uccisi quel giorno (migliaia, non centinaia) e mentre il 2 giugno il governo cinese ha difeso la decisione di 30 anni fa definendola “giusta”, Jianli Yang, membro onorario del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”, ha lanciato una petizione online indirizzata al governo di Pechino per sapere cosa ne è stato sia del ragazzo che ebbe il coraggio di opporsi al carro armato, sia del soldato alla guida di esso. “Se il governo cinese dirà la verità su cosa ne è stato dei due ‘tank men’, ci avvicineremo ad una vera riforma democratica”, sostiene Jianli Yang.

Il Rapporto annuale del Mediatore europeo
Il 14 maggio, presentando il Rapporto annuale 2018, il Mediatore europeo, Emily O’Reilly, scrive: “poiché l’opinione pubblico ha il diritto di sapere in che modo i suoi governi contribuiscono all’elaborazione della legislazione dell’UE, ho chiesto al Parlamento europeo di sostenere le mie proposte volte a migliorare la trasparenza legislativa in seno al Consiglio.”

La O’Reilly segnala un forte aumento delle denunce da parte di cittadini, associazioni, imprese e media; aumento dovuto secondo lei ad una maggiore conoscenza dell’esistenza del suo ufficio e dei risultati che riesce ad ottenere. Il Rapporto descrive l’azione del Mediatore compiuta a seguito di denunce su molti fronti: dai diritti fondamentali al diritti delle minoranze etniche, dai rapporti con le istituzioni europee ai temi etici.

Il New Hampshire abolisce la pena di morte
Il 31 maggio lo Stato del New Hampshire ha abolito la pena di morte. il Parlamento lo aveva fatto anche l’anno scorso, ma il governatore Chris Sununu (44 anni, bianco, Repubblicano) aveva posto il veto. Come è noto, nel caso un governatore decida di non ratificare una legge votata dal Parlamento, se il Parlamento la vota di nuovo con una maggioranza di almeno 2/3, la legge entra in vigore ugualmente.

L’anno scorso il Senato aveva ri-approvato la legge con un voto 14-10, 2 voti in meno di quelli necessari. Quest’anno la stessa legge (HB 455) era stata riproposta, ed era stata approvata dalle due ali del Parlamento con una maggioranza ancora maggiore dell’anno scorso, 279-88 alla Camera e 17-6) al Senato. Il Governatore il 3 maggio aveva di nuovo posto il veto, superato dalla Camera il 23 maggio con un voto 247-123, e oggi (30 maggio) dal Senato con un voto 16-8. Il disegno di legge era stato presentato dal deputato Renny Cushing, democratico, che ha avuto sia il padre che il cognato uccisi in due diversi casi di criminalità. A favore ha votato anche la senatrice Ruth Ward, repubblicana, il cui padre è stato ucciso quando lei aveva 7 anni.

Il New Hamphire diventa così il ventunesimo stato Usa ad abolire la pena di morte, e il 9° a farlo negli ultimi 15 anni. Il DPIC valuta che tra stati che hanno abolito, e stati in cui è in vigore una moratoria, oggi metà degli Stati Uniti ha preso le distanze dalla pena di morte. La nuova legge non è retroattiva, e non si applica quindi all’unico detenuto nel braccio della morte dello stato, Michael Addison, condannato per l’omicidio di un poliziotto. Nessuno è stato giustiziato nel New Hampshire dal 1939, e da quando la pena di morte è stata reintrodotta nel 1991 quella di Addison è l’unica condanna a morte emessa.

Stati Uniti e Brexit: caos nel caos
Caos nel caos. Il primo è quello della Brexit e di un Regno Unito che non sa cosa fare né sa come farlo. Il secondo è quello di Donald Trump che sbarca a Londra come sempre preceduto dal suo bel vortice di polemiche. Gli occhi del mondo sono puntati sulla capitale inglese dove politica, economia, diplomazia e protocollo si incontrano alla corte della regina Elisabetta. Ed è proprio di tutta la sua esperienza che c’è bisogno per far sì che la Gran Bretagna stringa la mano agli Stati Uniti, mentre con l’altra continua la sua rissa con l’Unione Europea.

Se le relazioni con Bruxelles sono ridotte ai minimi storici, insomma, quelle con Washington devono necessariamente decollare o quanto meno funzionare. Nonostante la differenza estetica e sostanziale tra la sovrana 93enne, maestra di aplomb e di stile, e il tycoon furioso, agitatore di acque e di tweet. A proposito di “cinguettii”, tanto per non smentirsi, il presidente americano prima ancora di scendere dall’aereo si è scagliato via Twitter contro il sindaco di Londra che senza troppi giri di parole etichetta come “fallito” e “disgustoso”. Con il primo cittadino che dal canto suo, soltanto poche ore fa, aveva dato a Trump del “fascista”.

IRAN E MEDIO ORIENTE

Pubblicato il rapporto di UANI “Iran e il Consiglio di Cooperazione del Golfo”
In vista degli incontri del Gulf Cooperation Council (GCC) e della Lega araba, United Against Nuclear Iran (UANI) ha preparato un aggiornamento del Rapporto sul ruolo vitale che il mondo arabo svolge nell’affrontare l’aggressione iraniana.

E’ stato proprio il comportamento aggressivo ed espansionistico dell’Iran a portare alla creazione del GCC, un’alleanza politica, economica e di sicurezza nata nel 1981. Il Rapporto “L’Iran e il Consiglio di Cooperazione del Golfo” descrive, con esempi storici e contemporanei, i tentativi dell’Iran di esacerbare il divario settario interno, provocare disordini e rovesciare le monarchie arabe.

Per esempio, questo mese, l’Iran ha preso di mira l’Arabia Saudita fornendo agli Houthi in Yemen missili e droni impiegati per attaccare alcune infrastrutture petrolifere saudite. L’anno scorso, gli Houthi hanno sparato contro le petroliere saudite nel Mar Rosso, causando la sospensione delle spedizioni da parte di Riyad.

Il rapporto include raccomandazioni dettagliate, tra le quali la possibilità di designare più paesi del GCC come principali alleati non-NATO, il rafforzamento dei legami del GCC con alleati degli Stati Uniti nella regione come l’Egitto e Israele, la creazione di un meccanismo formale per la consultazione del GCC durante i negoziati per un nuovo accordo sul nucleare con l’Iran. Rinsaldare l’alleanza tra Stati Uniti e il Consiglio dovrebbe essere un punto di forza della politica degli Stati Uniti in Medio Oriente per contrastare l’instabilità che ha colpito la regione negli ultimi anni.

Gli Stati Uniti pronti a negoziare con l’Iran senza precondizioni
Il primo giugno il Segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato che l’amministrazione Trump è pronta a negoziare con i leader iraniani “senza precondizioni”, non appena inizieranno a comportarsi “normalmente”. La dichiarazione segue quella del Presidente Trump di pochi giorni prima, in cui affermava la volontà di negoziare senza perseguire con ciò il cambiamento di regime.

Il linguaggio meno acceso della diplomazia non significa che gli Stati Uniti rivedranno la loro posizione sulle sanzioni economiche contro l’Iran, o che non invieranno 1.500 soldati nel Golfo Persico. Anche il contrasto al sostegno iraniano a gruppi terroristici attivi in Medio Oriente rimarrà invariato. Le autorità iraniane hanno fatto sapere di trovare il tutto inaccettabile.

Per il Ministro Zarif e sanzioni sono terrorismo economico
Il 2 giugno, il Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ha detto che “l’Iran non si farà intimidire dall’arte del ‘negoziato sotto pressione’ del Presidente Trump, che impiega le sanzioni economiche per spingere l’Iran a negoziare un nuovo accordo nucleare”, aggiungendo che, al contrario, “ci saranno conseguenze” se gli Stati Uniti continueranno con la pressione economica contro il popolo iraniano.

Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’economia dell’Iran è diminuita del 3,9%, mentre l’inflazione ha raggiunto il 31% nel 2018 e le previsioni prefigurano un ulteriore aumento al 37% quest’anno. I prezzi della carne rossa e del pollame sono aumentati del 57%, gli ortaggi del 47%, latte, formaggio e uova del 37%, secondo il Centro Statistico dell’Iran.

Zarif ha definito le nuove sanzioni statunitensi come un atto di “terrorismo economico” che “prende di mira i cittadini iraniani” perché anche se il cibo e i medicinali non sono oggetto dalle sanzioni, le transazioni finanziarie ad essi associati lo sono. Nell’intervista a ABC News poi ha affermato: “Non facciamo distinzioni tra guerra economica e guerra militare. In guerra, ognuno perde ma per qualcuno la sconfitta sarà maggiore di altri.”

Alla domanda su cosa intendesse per “conseguenze”, Zarif ha spiegato che si riferiva all’autodifesa: “Quello che diciamo è che noi esercitiamo la nostra legittima difesa. La legittima difesa è permessa. Il Presidente Trump ha annunciato di essere impegnato in una guerra economica, una guerra contro l’Iran, dunque abbiamo l’obbligo di difendere il nostro popolo da quella guerra economica.”

Un parlamentare iraniano propone di vietare lo sviluppo di armi nucleari
Il 2 giugno Mahmoud Sadeghi, un parlamentare “riformista” iraniano, ha annunciato che presenterà una proposta di legge che vieta lo sviluppo di armi nucleari in Iran. Sadeghi ha giustificato la sua proposta con una dichiarazione pubblica del leader supremo Ayatollah Ali Khamenei del 29 maggio in cui ha affermato che le armi nucleari sono una violazione della legge della Sharia.

“Sulla base della Fatwa del Leader Supremo sul divieto religioso rispetto alle armi nucleari, presenterò una proposta di legge in Parlamento che ne vieta la produzione”, ha twittato Sadeghi. Khamenei aveva dichiarato: “La nostra forza è nelle scienze nucleari e non siamo all’inseguimento di armi nucleari. Non a causa delle sanzioni o delle pressioni degli Stati Uniti, ma a causa della nostra ideologia che ritiene le armi nucleari vietate dal punto di vista della Fiqh e della religione”. Inoltre fronte alle pressioni per produrre, ma non usare, le armi nucleari, Khamenei ha aggiunto che “anche questo è sbagliato: spenderemmo molto per produrle, e se non le impiegassimo il nemico saprebbe che non le useremmo mai, quindi sarebbero inutili.”

Mahmoud Sadeghi è noto come critico dell’ala più conservatrice iraniana. Nel dicembre 2018, il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione Islamica dell’Iran (GC) aveva denunciato il parlamentare che aveva accusato il Consiglio di “corruzione finanziaria” e di aver escluso candidati capaci dalle elezioni parlamentari. Pochi giorni dopo, Sadeghi ha ribadito di credere “nel diritto del Consiglio di selezionare i candidati presentabili”.

L’ONU afferma che l’Iran rispetta ancora l’accordo sul nucleare
In un rapporto trimestrale riservato distribuito il 31 maggio agli Stati membri e visionato dalla Associated Press, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica dell’ONU (AIEA) ha affermato che l’Iran continua ad agire entro i limiti chiave stabiliti nel cosiddetto Piano d’azione globale congiunto, noto come JCPOA e siglato nel 2015, sebbene le scorte di uranio a basso arricchimento e di acqua pesante stiano crescendo.

Di recente, l’Iran aveva annunciato che se non sarà possibile trovare un modo entro 60 giorni per proteggere l’economia e le esportazioni petrolifere dalle sanzioni americane, sarebbe tornato ad arricchire l’uranio oltre i limiti consentiti dal JCPOA. Effettivamente una settimana fa, le autorità iraniane hanno annunciato l’aumento della capacità di produzione di uranio arricchito.

L’AIEA ha rilevato che l’Iran continua ad essere conforme al JCPOA e che ai suoi ispettori è stato dato libero accesso agli impianti nucleari. “La cooperazione tempestiva e proattiva da parte dell’Iran nel fornire tale accesso facilita l’attuazione del protocollo aggiuntivo e aumenta la fiducia”, afferma il rapporto, riferendosi alla procedura che descrive le garanzie e gli strumenti per la verifica.

In Medio Oriente numerose manifestazioni anti Israele nel “Quds Day”
Migliaia di iraniani, tra cui il Presidente Hassan Rouhani e il Ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif e altri membri del governo, si sono radunati a Teheran il 31 maggio per celebrare il “Quds Day” (Giorno di Gerusalemme, celebrato ogni anno l’ultimo venerdì di Ramadan), una giornata di manifestazioni in tutto il Medio Oriente contro Israele e quest’anno in particolare contro il tentativo dell’amministrazione Trump di avviare un nuovo piano di pace israelo-palestinese. Nelle circa 950 città iraniane interessate, i dimostranti hanno bruciato bandiere americane e israeliane, immagini di Donald Trump e di Benjamin Netanyahu.

Il Quds Day fu istituito all’inizio della rivoluzione islamica del 1979 dall’allora leader supremo Ayatollah Ruhollah Khomeini. Al-Quds è il nome arabo di Gerusalemme e per le autorità iraniane la celebrazione è un’occasione per esprimere sostegno ai palestinesi che, con il leader di Hamas, Yahya Sinwar, hanno subito ringraziato l’Iran per la fornitura di missili utilizzati per colpire Israele.

“L’Iran ci ha fornito razzi e quando la nostra resistenza ha colpito Beersheva abbiamo sorpreso il mondo intero”, ha detto Sinwar in diretta televisiva riferendosi ai recenti attacchi di Hamas e della Jihad islamica palestinese hanno sparato quasi 700 razzi in Israele. “Se non fosse stato per l’Iran, la resistenza in Palestina non avrebbe avuto le sue attuali capacità”, ha detto Sinwar.

Ancora un avvocato condannato in Iran
Un avvocato iraniano è stato condannato a 30 anni di carcere e a 111 frustate per aver aperto un canale sulla popolare piattaforma di social media Telegram, evidenziando le violazioni dei diritti umani nella Repubblica Islamica. Amir Salar Davoudi è stato condannato da un tribunale rivoluzionario per “propaganda contro lo Stato” e per “insulti a pubblici ufficiali”. Il suo avvocato Vahid Farahani, ha riferito che Davoudi è stato anche accusato di “collaborazione con uno stato nemico” dopo aver rilasciato un’intervista alla televisione in lingua persiana Voice of America.

Un giornalista iraniano condannato a due anni di reclusione
Il 2 giugno la magistratura iraniana ha condannato Masoud Kazemi un giornalista a due anni di carcere per “disinformazione” e per “aver insultato” il Capo Supremo l’Ayatollah Khamenai e tutte le autorità del paese. A Kazemi è stato anche vietato di dedicarsi ad “ogni attività mediatica” per due anni.

Idlib: l’inferno dove si incontrano e scontrano siriani, russi, turchi e iraniani
Ankara e Mosca stanno di nuovo affrontando un’escalation di violenza nell’ultimo territorio ribelle siriano che mette alla prova la loro cooperazione nonostante sostengano le parti opposte nella guerra di otto anni che ha devastato la Siria. L’offensiva delle forze del governo siriano per catturare la città di Idlib, nella Siria nord-occidentale, potrebbe scatenare una crisi umanitaria senza precedenti.

In quell’area vivono circa 3 milioni di persone e la Turchia, che ospita già circa 3,6 milioni di rifugiati siriani, subisce la pressione di Siria, Iran e Russia per mantenere il proprio impegno a controllare le fazioni ribelli armate a Idlib. Al contempo però, la Turchia ha bisogno della Russia per tenere a bada il presidente siriano Bashar Assad affinché impedisca il massiccio flusso di rifugiati e per tenere al sicuro i soldati turchi a terra.

Le forze di terra siriane stanno avanzando dal sud della roccaforte ribelle con la copertura dei raid aerei siriani e russi. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha dichiarato che oltre 291 civili e 369 combattenti sono stati uccisi dal 30 aprile. Nello stesso periodo, i ribelli hanno ucciso 269 soldati regolari e 22 civili nelle aree governative. Secondo l’Unicef sono oltre 130 i bambini uccisi. Per il governo russo Idlib è un “terreno fertile per i terroristi”.

Libano e Israele negoziano i confini terrestri e marittimi
Il 31 maggio il Ministero degli Esteri libanese ha detto che il Libano e Israele sono prossimi a stabilire un quadro condiviso per i negoziati sulla demarcazione delle frontiere terrestri e marittime tra Libano e Israele. La dichiarazione è stata rilasciata dopo un incontro tra il Ministro degli Esteri libanese Gebran Bassil e il Segretario di Stato aggiunto americano David Satterfield. Il negoziato si terrà sotto gli auspici delle Nazioni Unite e con la supervisione degli Stati Uniti e dovrebbe aver inizio entro due settimane.

CAMBOGIA

Il Presidente dell’opposizione cambogiana ancora detenuto
In una nota diffusa alla stampa il 31 maggio, Sam Rainsy ricorda la detenzione di Kem Sokha, presidente del principale partito di opposizione cambogiano (il CNRP) incarcerato prima in un carcere e ora agli arresti domiciliari da quasi due anni. Hun Sen continua a dire cose inaccettabili sul caso di Kem Sokha poiché si rifiuta categoricamente di rilasciarlo dagli arresti domiciliari. Liberarlo significherebbe far cadere l’accusa di tradimento formulata nonostante l’assenza di qualsiasi prova credibile a sostegno di questa ridicola accusa. Significherebbe che lo scioglimento del principale partito di opposizione (CNRP), ordinato da Hun Sen nel 2017 con l’accusa al presidente del partito di tramare con potenze esterne, era infondato e che quindi il CNRP deve essere legalmente reintegrato. Ma questo è ciò che Hun Sen teme di più: una competizione elettorale libera ed equa con il CNRP. Adottando una posizione così rigida contro Kem Sokha e il CNRP Hun Sen mostra solo la sua debolezza, le insostenibili contraddizioni politiche e giudiziarie e il disprezzo per i principi democratici e lo stato di diritto.

Il regime di Hun Sen è illegittimo perché Hun Sen è un usurpatore che originariamente era arrivato – ed è riuscito a rimanere nel potere attraverso mezzi illegittimi o non democratici. È stato messo al potere da un esercito invasore straniero nel 1979. Ha perso le elezioni nazionali organizzate dalle Nazioni Unite nel 1993, ma con una truffa ha condiviso il potere condividendolo con i vincitori di quelle elezioni. Prese poi il potere pieno con un colpo di stato militare nel 1997. Nel 1998 ha istituito il Comitato Elettorale Nazionale (NEC), organo che gli ha permesso di manipolato tutte le elezioni successive per garantire la vittoria al suo partito, il CPP. Ha arbitrariamente bandito il CNRP che aveva quasi vinto le elezioni nazionali del 2013. Da allora ha attuato una politica sempre più repressiva per mettere a tacere i critici e rimanere al potere come un despota.

FOTO DELLA SETTIMANA
Pechino, 4 giugno 1989: trent’anni fa la repressione nel sangue delle manifestazioni per la democrazia a Piazza Tiananmen per mano dei carri armati dell’Esercito della Repubblica Popolare Cinese

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