N 79 – 1/6/2020

N 79 – 1/6/2020

FOTO DELLA SETTIMANA – Coral Gables, Florida, 31 maggio 2020: poliziotti di diversi dipartimenti inginocchiati in segno di solidarietà durante una manifestazione dopo l’uccisione di George Floyd

PRIMO PIANO

Parlamentari italiani a sostegno di un appello internazionale per Hong Kong
Lord Chris Patten, l’ultimo governatore britannico di Hong Kong, ha chiesto oggi, 29 maggio, che venga nominato un inviato speciale delle Nazioni Unite per difendere i diritti umani in città di fronte ad una crescente protesta internazionale contro la mossa della Cina di imporre una controversa legge sulla sicurezza nazionale intesa a reprimere il dissenso.

“L’istituzione di un gruppo di contatto internazionale per coordinare una risposta globale sarebbe un passo in avanti positivo. Anche la creazione di un inviato speciale delle Nazioni Unite per Hong Kong contribuirebbe sia a monitorare il rispetto dei diritti umani, sia a incoraggiare il dialogo e la riconciliazione. Molti stati membri delle Nazioni Unite lo vedrebbero come una proposta costruttiva meritevole di sostegno”, ha affermato Lord Patten il 29 maggio.

Hong Kong: oltraggiose le dichiarazioni del Ministro degli Esteri tedesco
Venerdì 29 maggio, l’UE si era già dimostrata deludente nella sua risposta alla minaccia concreta e immediata ai cittadini di Hong Kong, da mesi impegnati in una lotta nonviolenta per la democrazia e le libertà e i diritti umani. Gli annunci pervenuti dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel circa la ricerca di una “terza via” europea equidistante tra Washington e Pechino, ribaditi lunedì 1 maggio a Funke dal Ministro degli Esteri Heiko Maas fanno presagire ancora peggio in vista dell’assunzione tedesca della Presidenza dell’UE il 1 luglio prossimo.

Maas ha confermato la tenuta del dialogo 27+1 (UE + Cina) a settembre prossimo – nonostante le numerose e accorate richieste di cancellarlo o almeno di rinviarlo, per evitare che si traduca in un’improvvida “legittimazione” di quanto sta facendo Pechino a Hong Kong – e ha sottolineato la volontà della Presidenza tedesca di riportare il mondo ad un multilateralismo ben funzionante, in cui il dialogo con la Repubblica Popolare Cinese su temi come i target climatici e una concorrenza globale equa sono ritenuti centrali. In una serie di tweet sull’intervista del German Foreign Office, salta agli occhi non solo l’enfasi messa sui temi citati, ma soprattutto l’assenza di una menzione esplicita di temi fondamentali secondo i Trattati europei nelle azioni dell’Unione europea dentro e fuori i suoi confini: le libertà democratiche e i diritti umani. Quell’assenza è ancora più lampante nel tweet conclusivo: “Deve sempre essere chiaro che l’Europa rappresenta certi valori e principi, che guideranno anche il nostro dialogo con la Cina.”

Norman Baker: con la Cina non abbiamo altra scelta che rispondere
“Questo è il modo per combattere Pechino: in pochi capiscono il disprezzo della Cina per il nostro modo di vivere e la determinazione a distruggerlo”, scrive in un articolo pubblicato il 1° giugno sul Daily Mail, l’ex Vice Ministro degli Interni britannico e membro onorario del Comitato Globale per lo Stato di Diritto Norman Baker.

Nei miei rapporti con la Cina, nel corso di molti anni, ho imparato qualcosa di innegabile: non rispettano le stesse regole degli altri paesi. Giocano sporco. Quando sono andato a Pechino, da Ministro dei Trasporti, sono stato avvertito dal Ministero degli Esteri di non prendere il mio telefono o il mio portatile perché si presumeva che, se l’avessi fatto, i cinesi avrebbero rubato tutte le informazioni dal dispositivo. Nella residenza dell’Ambasciatore britannico, ho rivolto all’ambasciatore una domanda sulla situazione politica. Mi ha accompagnato il giardino e, a bassa voce, mi ha riferito che la residenza era piena di spie e che sarei dovuto stare molto attento a quello che dicevo.

Hong Kong vieta la veglia annuale del massacro di Tiananmen per la prima volta
Con la motivazione delle restrizioni pubbliche per contenere il nuovo coronavirus, la polizia di Hong Kong ha vietato per la prima volta in 30 anni la veglia annuale che ricorda il massacro di Piazza Tiananmen del 1989. In una comunicazione inviata a Richard Tsoi, vicepresidente dell’Alleanza di Hong Kong per i Movimenti Democratici Patriottici in Cina e organizzatore dell’evento, la polizia scrive: “Le assemblee pubbliche sono un’attività ad alto rischio per le folle che creano. La polizia ritiene che l’evento non solo aumenti le possibilità di diffusione de l virus, ma che minacci la vita e la salute stesse dei cittadini, mettendo in pericolo la sicurezza pubblica e compromettendo i diritti degli altri”.

In risposta all’obiezione della polizia anticipata, l’Alleanza ha invitato i cittadini a prendere parte a una veglia online, in cui l’organizzatore accenderà candele a Victoria Park e osserverà un minuto di silenzio alle 20:09. “Piangeremo singolarmente. Speriamo che ci siano candele accese in vari quartieri della città. Ogni veglia a lume di candela sarà spontanea e non costituisce un’assemblea”, ha detto Tsoi. Intanto anche a Bangkok, la polizia vieta la veglia per ricordare il massacro del 1989.

Joshua Wong: “La mia Hong Kong in ostaggio”
Il 29 maggio Joshua Wong, in un’intervista video con Luca Marfé per Il Mattino, spiega come la nuova legge sulla sicurezza nazionale preparata da Pechino per Hong Kong metta fine al modello in vigore dal 1997 “un Paese, due sistemi” soppiantandolo con “un Paese, un sistema” violando l’accordo sino-britannico sullo status dell’ex colonia britannica.

Il Congresso statunitense vuole ridurre il flusso di attrezzature militari alla polizia
Su spinta bipartisan, il Congresso americano ha iniziato l’esame di una proposta per porre fine a un programma di trasferimento di attrezzature militari in eccesso dal Pentagono ai dipartimenti di polizia. Mentre le proteste dopo la morte di George Floyd diventano sempre più violente in tutto il Paese, i legislatori stanno esaminando l’iniziativa del Dipartimento della Difesa che fornisce ai dipartimenti di polizia attrezzature come baionette e lanciagranate. L’iniziativa è nata dopo quattro notti di scontri in cui agenti in assetto antisommossa hanno usato spray al pepe e proiettili di gomma contro manifestanti, passanti e giornalisti, spesso senza preavviso e senza che vi fosse, almeno apparentemente una provocazione.

E’ una mossa in netto contrasto con la risposta di Trump che, scrive il New York Times ha spesso incoraggiato tattiche approssimative da parte delle forze dell’ordine e si è lamentato privatamente con i governatori per non aver trattato i manifestanti in modo abbastanza aggressivo. “I sindaci e i governatori devono stabilire una presenza schiacciante fino a quando la violenza non sarà repressa. Se una città o uno Stato rifiuta di intraprendere le azioni necessarie per difendere la vita e la proprietà dei loro cittadini, dispiegherò l’esercito degli Stati Uniti e risolverò rapidamente il problema al posto loro”, ha dichiarato Donald Trump.

IRAN E MEDIO ORIENTE

Teheran pronta ad inviare nuovi rifornimenti di carburante al Venezuela
Il primo giugno il portavoce del Ministero degli Esteri iraniano ha detto che l’Iran continuerà a rifornire di carburante il Venezuela se Caracas chiederà ulteriori forniture, anche se le due nazioni sono sotto le sanzioni statunitensi sul commercio di petrolio, suoi derivati ed altri prodotti ancora. “L’Iran esercita i suoi diritti di libero scambio con il Venezuela e siamo pronti a inviare altre navi se Caracas lo richiederà”, ha detto Abbas Mousavi durante una conferenza stampa settimanale trasmessa in diretta sulla TV di Stato. Nonostante le minacce degli Stati Uniti, la scorsa settimana Teheran ha inviato una flottiglia di cinque petroliere al primo Paese produttore di petrolio in Sud America, che soffre di carenza di benzina. Il giorno stesso, il Presidente Maduro ha dichiarato che visiterà presto l’Iran per firmare accordi di cooperazione nel settore energetico e in altri settori: “Sono obbligato ad andare a ringraziare personalmente la gente”, ha detto in un messaggio televisivo, senza specificare la data della visita.

L’amministrazione Trump chiude le esenzioni sull’accordo nucleare iraniano
Il 28 maggio l’amministrazione Trump ha annunciato che porrà fine alle esenzioni dalle sanzioni che consentono a società russe, cinesi ed europee di lavorare su siti nucleari iraniani sensibili. Secondo alcuni documenti ottenuti dal Washington Post si tratta di un altro duro colpo all’accordo nucleare iraniano.

I contrari alla mossa dicono che così facendo si incoraggia il progresso clandestino del programma nucleare di Teheran e aggiungono che viene ridotto l’incentivo all’Iran ad arricchire l’uranio a livelli più alti. Il Segretario di Stato Mike Pompeo e un gruppo di legislatori guidati dal senatore repubblicano dell’Arkansas, Tom Cotton, dicono invece che occorre esercitare una maggiore pressione su Teheran per sbarazzarsi dell’irrealizzabile obiettivo posto dall’amministrazione Obama.

Un nuovo focolaio di Covid19 in Israele
Dopo una parziale riapertura di ristoranti, oltre 200 tra studenti e personale sono risultate positivi al Covid19 il 30 maggio a seguito di alcuni test che hanno spinto le autorità a far tornare 10.000 persone in quarantena. Il nuovo focolaio è il Ginnasio Rehavia di Gerusalemme. Tutte le scuole nell’area saranno chiuse temporaneamente. Il Ministero della Salute ha registrato 32 scuole a livello nazionale in cui sono presenti contagi e, ad una riunione alla quale ha partecipato anche il Primo Ministro Netanyahu, è stata decisa la chiusura di 17 scuole. I Ministri hanno anche deciso di rafforzare l’applicazione delle direttive, prevedendo ulte più salate per le imprese e i cittadini che violeranno le misure anti-coronavirus.

ONU e Arabia Saudita cercano di raccogliere 2,4 miliardi di dollari per lo Yemen
L’Arabia Saudita, uno dei principali attori della guerra in Yemen, tiene oggi una conferenza assieme alle Nazioni Unite per una raccolta fondi urgente per sostenere le operazioni di soccorso nello Yemen devastato da cinque anni di guerra. Diverse organizzazioni di soccorso sono state costrette a interrompere il loro lavoro anche mentre il coronavirus miete vittime in tutto il Paese.

Le Nazioni Unite hanno dichiarato che circa 30 dei 41 programmi di aiuti chiuderanno nelle prossime settimane per mancanza di finanziamenti. Il World Food Program ha dovuto dimezzare le razioni, così come i servizi sanitari finanziati dalle Nazioni Unite sono stati ridotti in 189 dei 369 ospedali in tutto lo Yemen.

La conferenza, da cui le Nazioni Unite sperano di raccogliere 2,4 miliardi di dollari, è ospitata dall’Arabia Saudita ed è stata criticata dai ribelli Houthi, al soldo dell’Iran, come un tentativo di dare lustro alla propria immagine.

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