N 80 – 9/6/2020

N 80 – 9/6/2020

FOTO DELLA SETTIMANA – Roma, 4 giugno 2020: manifestazione nel 31° anniversario del massacro di Piazza Tiananmen con esponenti di Associazione Italia-Tibet, Partito Radicale e Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella”

PRIMO PIANO

Intervento di Giulio Terzi nel 31° anniversario del massacro di Tiananmen
Pubblichiamo il testo dell’intervento da remoto di Giulio Terzi, ambasciatore e presidente del Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella”, alla manifestazione organizzata dall’Associazione Italia-Tibet a Roma il 4 giugno in occasione del 31 anniversario del massacro di Piazza Tiananmen a Pechino, per i diritti dei Tibetani, Uiguri, Falun Gong, per la gente di Hong Kong e Taiwan e contro la colonizzazione dell’Italia da parte della Cina. Alla manifestazione sono intervenuti anche il Sen. Rampi e Laura Harth. Il video dell’evento è disponibile qui.

Cari amici di tutte le popolazioni, e di tutte le identità nazionali, culturali, religiose oppresse dall’orribile e genocidaria dittatura del comunismo cinese e di tutti i totalitarismi violenti,

essere con Voi oggi significa essere parte di un impegno di fondamentale importanza per liberare il mondo dalla incombente minaccia di un “Quarto Reich”. E’ molto doloroso che molti continuino a non voler imparare nulla dalla Storia. E’ nostro dover lottare affinché la conoscenza di quanto sta avvenendo ed è accaduto si diffonda, si radichi nelle coscienze, nelle volontà di agire di tutti.

Le oltraggiose dichiarazioni del Ministro degli Esteri tedesco su Hong Kong
Il 29 maggio, l’UE si era già dimostrata deludente nella sua risposta alla minaccia concreta e immediata ai cittadini di Hong Kong, da mesi impegnati in una lotta nonviolenta per la democrazia e le libertà e i diritti umani. Gli annunci pervenuti dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel circa la ricerca di una “terza via” europea equidistante tra Washington e Pechino, ribaditi lunedì 1 maggio a Funke dal Ministro degli Esteri Heiko Maas fanno presagire ancora peggio in vista dell’assunzione tedesca della Presidenza dell’UE il 1 luglio prossimo.

Maas ha confermato la tenuta del dialogo 27+1 (UE + Cina) a settembre prossimo – nonostante le numerose e accorate richieste di cancellarlo o almeno di rinviarlo, per evitare che si traduca in un’improvvida “legittimazione” di quanto sta facendo Pechino a Hong Kong – e ha sottolineato la volontà della Presidenza tedesca di riportare il mondo ad un multilateralismo ben funzionante, in cui il dialogo con la Repubblica Popolare Cinese su temi come i target climatici e una concorrenza globale equa sono ritenuti centrali.

Il Ministro degli Esteri mente sulla posizione di Joshua Wong
Dopo essersi schierato al fianco di Joshua Wong nella battaglia contro la legge sull’estradizione chela Cina voleva imporre a Hong Kong, il 3 giugno il Ministro degli Esteri tedesco Heiko Mass ha detto in un’intervista alla rete TV ARD che il Segretario di Demosisto, il movimento democratico di Hong Kong, ha “un approccio separatista”. E’ un’affermazione priva di fondamento poiché a più riprese Joshua ha ribadito che il suo obiettivo è il mantenimento dell’autonomia dell’ex colonia britannica secondo il principio “Un Paese, due sistemi”. Così facendo, il Ministro Mass si pone al servizio della propaganda cinese, non degli interessi tedeschi né tantomeno europei.

“Il Partito parla per te”
Uno studio dell’Australian Strategic Policy Institute (ASPI), intitolato “The Party speaks for you” (Il Partito parla per te), mostra come il Partito Comunista Cinese (PCC) stia rafforzando la propria influenza cooptando rappresentanti di gruppi di minoranze etniche, movimenti religiosi e gruppi imprenditoriali, scientifici e politici arrogandosi il diritto di parlare a nome di tali gruppi e rivendicandone la legittimità. Alla base di questa strategia di Pechino vi è una rete di agenzie di partito ed altri attori statali il cui obiettivo è influenzare gruppi esterni al partito, in particolare quelli che affermano di rappresentare la società civile. Questo fronte unito che varca i confini della Repubblica Popolare Cinese mira ai partiti politici, alle comunità della diaspora, alle multinazionali. E’ un tentativo di esportare il sistema politico del PCC che indebolisce la coesione sociale, aggrava la tensione razziale, danneggia l’integrità dei media, facilita lo spionaggio e aumenta il trasferimento di tecnologia senza supervisione.

Secondo l’ASPI, i governi dovrebbero impedire al PCC di utilizzare figure e gruppi di primo piano per veicolare la loro influenza e ottenere il trasferimento tecnologico. Inoltre devono sviluppare una capacità analitica per saper identificare le interferenze straniere e su tale base rilasciare dichiarazioni che rivelino le influenze esterne. Le contromisure dovrebbero consistere nell’applicazione della legge, in riforme legislative, nella deterrenza e nello sviluppo di competenze in aree strategiche del governo. Infine dovrebbero contrastare l’influenza sulle comunità della diaspora attraverso un attento uso del linguaggio.

I democratici americani presentano un disegno di legge sulla riforma della polizia
In risposta alle manifestazioni che stanno scuotendo gli Stati Uniti dopo la morte di George Floyd, lunedì 8 giugno i leader parlamentari del Partito Democratico hanno presentato un disegno di legge di riforma della polizia. La legge prevede profondi cambiamenti alle pratiche degli agenti di polizia in tutto il Paese dato che annullerebbe leggi decennali che ritenute alla base dei comportamenti che hanno portato alla morte uomini e donne neri per mano di ufficiali di polizia.

Mentre il disegno di legge propone una revisione radicale delle leggi attuali, inclusa una messa al bando della presa al collo del sospetto e la semplificazione delle azioni legali contro agenti di polizia che ingiustamente feriscono o uccidono cittadini, esso non propone però la richiesta più aggressiva dei liberal di “togliere i fondi alla polizia”.

IBM esce dal settore del riconoscimento facciale e chiede la riforma della polizia
L’8 giugno l’International Business Machines Corp (IBM) ha annunciato, in una lettera inviata al Congresso statunitense e firmata dal CEO Arvind Krishna, che non fornirà più tecnologia ai fini della sorveglianza di massa e della profilazione razziale e chiederà nuove regole a livello federale per responsabilizzare gli agenti di polizia. “IBM si oppone fermamente e non asseconderà l’uso di nessun tipo di tecnologia, inclusa quella per il riconoscimento facciale, ai fini della sorveglianza di massa, la profilazione razziale, le violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali”, ha scritto Krishna, aggiungendo che “la tecnologia può aumentare la trasparenza e aiutare la polizia proteggere le comunità, ma non deve promuovere discriminazioni o ingiustizie razziali”.

I tempi in cui IBM cesserà effettivamente di sviluppare tecnologia per il riconoscimento facciale non sono stati indicati, ma Krishna ha dichiarato che “ora è il momento di iniziare un dialogo nazionale per comprendere se e come la tecnologia di riconoscimento facciale debba essere impiegata dalle forze dell’ordine”.

Il Belgio condannato dalla CEDU per le condizioni delle prigioni
Il 4 giugno la Corte EDU ha condannato il Belgio per le pessime condizioni di detenzione inflitte ai detenuti durante uno sciopero degli agenti penitenziari nel 2016. Il tribunale di Strasburgo aveva già condannato il Belgio l’anno scorso in un caso simile e ha stabilito che mancanza di attività fisica, ripetute violazioni delle norme igieniche, mancanza di contatto con il mondo esterno, incertezza sul soddisfacimento di esigenze basilari e assenza di un rimedio efficace ai reclami hanno causato ai detenuti un disagio eccessivo. Il Belgio dovrà pagare un risarcimento di 3.500€ più altri 1.500€ per i costi e le spese a ciascuno dei 25 detenuti che hanno presentato ricorso. La Corte d’appello di Bruxelles aveva precedentemente respinto le richieste dei detenuti avendo stabilito che lo Stato belga non poteva essere ritenuto responsabile di uno sciopero in prigione che sfuggiva al suo controllo. La CEDU ha stabilito che “circostanze eccezionali, come scioperi o coronavirus, non danno la licenza di violare i diritti fondamentali dei detenuti”.

La nuova rassegna stampa di Luca Marfé
Lunedì 8 giugno, Luca Marfé, giornalista de Il Mattino, ha inaugurato una nuova rubrica sul suo blog: “La contro rassegna stampa del lunedì”. Proponiamo qui il primo numero.

Se la destra scende in piazza, è scandalo assembramento; se la sinistra scende in piazza, è festa democratica. Se in America muore George Floyd, l’Italia finge di scendere in piazza contro il razzismo, ma in realtà strumentalizza l’episodio per rilanciare lo ius soli. Se la cassa integrazione di marzo non arriva, guai invece a scendere in piazza; se lo fai notare, sei populista. Se Powell si schiera contro Trump, è apocalisse Casa Bianca; se Powell si era già schierato contro Trump nel 2016, non se lo ricorda o finge di non ricordarselo nessuno perché l’importante è sparare titoloni contro Trump. Se il coronavirus continua a mietere vittime negli USA, siccome c’è Trump allora è emergenza; se il coronavirus continua a mietere vittime in Italia, siccome c’è Conte (PD) allora è “modello Italia”. Se avessimo un’informazione seria, questa contro rassegna stampa non avrebbe ragione di esistere. E invece è disperatamente necessaria.

IRAN E MEDIO ORIENTE

Accesso negato ad ispettori dellAIEA in Iran
Il 5 giugno l’Agenzia atomica delle Nazioni Unite si è detta “seriamente preoccupata” per il rifiuto di cooperare in una perlustrazione su materiale nucleare non dichiarato dal Paese, avvicinandosi così agli oppositori dell’accordo nucleare del 2015 con Teheran che vogliono stracciare l’accordo. In due rapporti inviati agli Stati membri dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), visionati dal Wall Street Journal, l’organizzazione con sede a Vienna ha affermato che l’Iran ha negato agli ispettori dell’AIEA l’accesso a due siti che l’agenzia voleva visitare.

Nuovo appello di Macron per liberare un ostaggio franco-iraniano
Il 5 giugno il presidente Emmanuel Macron ha rinnovato l’appello alle autorità iraniane perché rilascino immediatamente la ricercatrice franco-iraniana Fariba Adelkhah. In un tweet in occasione del primo anno trascorso dall’arresto di Macron ha dichiarato che “è inaccettabile che sia ancora in prigione”. Fariba è stata condannata a maggio a sei anni di reclusione per aver minacciato la sicurezza nazionale. A marzo era stato effettuato uno scambio di prigionieri tra Iran e Francia, quando il ricercatore Roland Marchal era stato liberato e riportato in Francia in cambio dell’ingegnere Jalal Ruhollahnejad. Il governo iraniano non sembra intenzionato ad affrontare questo caso in maniera simile, o almeno non ancora.

Ahmadinejad pronto a tornare in politica?
Secondo alcuni osservatori, l’ex Presidente del governo iraniano Mahmoud Ahmadinejad sarebbe pronto a candidarsi alla presidenza nel 2021. Ahmadinejad ha negato il suo coinvolgimento in future campagne elettorali, anche perché per motivi legali, fare campagna elettorale è illegale. In parlamento comunque siedono già diversi sostenitori e alleati dell’ex presidente, tra cui due vicepresidenti dell’Assemblea.

ONU: lo Yemen è appeso a un filo
La conferenza di Paesi donatori allo Yemen tenutasi il 2 giugno non è riuscita a raccogliere il necessario per fronteggiare quella che il Segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha definito la “più grande crisi umanitaria del mondo”. Questo nonostante l’Arabia Saudita abbia contribuito con 500 milioni di dollari.

Guterres ha affermato che lo Yemen è “appeso su un filo”, è “quasi al collasso” e l’economia è “a brandelli”. Su una popolazione di circa 30 milioni, 24 milioni hanno bisogno di assistenza. Quattro milioni sono sfollati. Proprio quest’anno 110.000 yemeniti hanno contratto il colera e inondazioni stagionali potrebbero scatenare anche focolai di malaria. Quasi la metà della popolazione ha meno di 15 anni.

Il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite e co-organizzatore della conferenza, Mark Lowcock, ha detto che il coronavirus si sta diffondendo rapidamente. Benché finora ci siano solo 453 casi registrati di COVID-19 nello Yemen, i decessi sono 103, con un tasso di mortalità del 22,7% (rispetto al 5,8% in tutto il mondo). Molto probabilmente, il numero di contagiati è ben più elevato.

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