N45 – 30/9/2019

N45 – 30/9/2019

PRIMO PIANO

Hong Kong e Pechino: due mondi sempre più lontani
Mentre è sufficiente l’annuncio della candidatura da parte del Segretario del partito Demosisto, Joshua Wong, alle prossime elezioni distrettuali di Hong Kong il 24 novembre per far vacillare la tenuta stessa delle elezioni, in vista delle celebrazioni del primo ottobre per il 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese e l’ascesa al potere del Partito Comunista Cinese, Pechino ha intensificato la censura online per evitare che anche i media ufficiali di Stato possano eludere controlli e divieti.

A parlare del rafforzamento del complesso sistema di blocchi e filtri, noto come “Great Firewall”, è Hu Xijin, direttore di “Global Times”, il tabloid legato all’organo di stampa ufficiale del partito al potere, il “People’s Daily”. “È sempre più difficile accedere a internet anche al di fuori della Cina con l’avvicinarsi della Giornata Nazionale. Perfino il lavoro al Global Times ne risulta influenzato”, ha detto Hu Xijin.

Giulio Terzi: “L’Europa riprenda a combattere l’antisemitismo”
Israele, un paese che è parte integrante dell’Europa e dei suoi valori, ha preso l’iniziativa di presentare al Parlamento europeo un rapporto-denuncia su quanto da anni sta nascendo “Dietro la Maschera” del Movimento “Boicotta Disinvesti e Sanziona– BDS” spiegando quanto muovono le campagne BDS sono il terreno sul quale cresce la pianta dell’odio antisemita, della radicalizzazione e persino del terrorismo. L’analisi di Giulio Terzi di Sant’Agata per Formiche.net

Nelle forme di democrazia rappresentativa, propria a tutti gli Stati dell’Unione Europea, il Parlamento Europeo esprime l’insieme di quelle volontà politiche, sensibilità valoriali, identità e interessi che riguardano tutti i cittadini europei. Non è riduttivo delle altre principali istituzioni dell’Unione Europea come sia soprattutto in seno al PE – dove le “voci” dei popoli europei si levano per spronare gli stati, le forze politiche e le società civili – che l’attenzione ai diritti umani , alle libertà e allo Stato di Diritto trovi una specifica risonanza e riceva un marcato impulso.

La definizione del fenomeno e la sua applicazione giuridica, il divieto di finanziare ONG (con i soldi dei contribuenti europei), note per posizioni e dichiarazioni antisemite, la rimozione dal web di contenuti che promuovano radicalizzazione e fondamentalismo, sono sin d’ora le linee sulle quali le Istituzioni Europee e gli Stati Membri devono muoversi rapidamente. Ricordiamo che un sondaggio in 12 Paesi EU ha recentemente rilevato la percezione di un netto aumento dell’antisemitismo da parte dell’89% di 16.000 europei di religione ebraica, mentre nella Repubblica Ceca un analogo sondaggio dello scorso luglio riferiva un aumento del 189% di incidenti antisemiti riferibili all’ultimo triennio. Tutto questo non è più accettabile.

La Corte Suprema britannica difende il primato del Parlamento
Il 24 settembre gli undici giudici della Corte Suprema britannica hanno stabilito all’unanimità che il Primo Ministro Boris Johnson ha agito illegalmente impedendo al Parlamento di svolgere le sue funzioni costituzionali. La Presidente della Corte, Brenda Hale, ha spiegato che date le circostanze straordinarie in cui doveva applicarsi la sospensione del Parlamento, ovvero nel periodo precedente all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, con le modifiche costituzionali che ne sarebbero conseguite, l’ordine di sospendere il Parlamento è “illegale, nullo e senza effetto” perché i parlamentari “in quanto rappresentanti eletti del popolo, hanno il diritto di esprimersi sul modo in cui tale cambiamento deve avvenire”.

I costi esorbitanti di Guantanamo
“È un orribile, catastrofico spreco di denaro” afferma l’avv. Michel Paradis parlando del centro di detenzione a Guantanamo, Cuba, dove difende Abd al-Rahim al-Nashiri, la presunta mente degli attentati alla nave da guerra navale USS Cole. “Non importa se pensi questi che detenuti debbano esser fucilati o se pensi che Guantanamo sia un’aberrazione che dovrebbe esser già stata chiusa: indipendentemente dall’obiettivo, le commissioni militari non sono riuscite a centrarlo”, dice Paradis. “Sono stati spesi inutilmente miliardi per questo centro di detenzione”, ha dichiarato Morris Davis, procuratore capo di Guantánamo dal 2005 al 2007, anno in cui si dimise per le pressioni subite dai suoi superiori che volevano utilizzare l’evidenza ottenuta con la tortura. Per Davis le commissioni militari sono “un fallimento totale”.

Ad aprile, National Public Radio ha chiesto al Dipartimento della Difesa di conoscere il costo annuale del tribunale e della prigione militare di Guantanamo. Inizialmente la risposta è stata di 180 milioni di dollari all’anno. Tre mesi dopo, ha rivisto la cifra a 380 milioni all’anno. L’ammontare non include la spesa annuale di 60 milioni per la gestione della base navale di Guantanamo né gli stipendi del personale militare, tra cui i 1800 agenti del centro di detenzione. Aggiungendo i rapporti del Pentagono e le relazioni fornite al Congresso, il costo totale supera i 6 miliardi di dollari dal 2002.

Il colonnello dell’aeronautica, oggi in pensione, Gary Brown, afferma inoltre che sia lui che l’ex capo del tribunale militare sono stati licenziati perché stavano negoziando una controversa proposta di riduzione dei costi con gli avvocati della difesa: consentire ai prigionieri di Guantanamo di dichiararsi colpevoli ed esser condannati all’ergastolo piuttosto che alla pena di morte. Secondo Brown questo accordo “interromperebbe lo spreco di risorse”.

Dal 2002, dal carcere sono transitati 800 detenuti. Oggi ve ne sono 40. Tra essi ve ne sono alcuni trattenuti per quasi 18 anni senza essere accusati. È stata emessa una sola condanna. Gli altri casi sono praticamente bloccati da anni. Eppure il tribunale e il carcere continuano a spendere ogni anno una cifra esorbitante per manutenzione, viaggi, abitazioni, veicoli, sistemi informatici, linguisti, traduttori, investigatori, testimoni esperti, analisti, paralegali, giornalisti giudiziari, vari appaltatori e centinaia di avvocati.

Glenn Morgan, che perse il padre Richard l’11 settembre 2001 nel crollo del World Trade Center, è stato due volte a Guantanamo per assistere al processo. Spera che i cinque accusati degli attacchi dell’11 settembre vengano giustiziati, ma a questo punto dice che accetterebbe anche un patteggiamento per arrivare ad una conclusione dopo troppi anni di scarso progresso.

“Non è quel che voglio, ma quando un membro della tua famiglia viene ucciso così e tua madre rimane sola a combattere il cancro, la definizione di ‘soddisfatto’ cambia. Quindi sarei soddisfatto perché almeno raggiungeremmo una conclusione, e non voglio una non-conclusione.” Tuttavia, il rischio che non si giunga a nulla, ed è a questo scenario che Morgan si sta preparando: “La mia previsione è che i detenuti moriranno prima di essere giudicati colpevoli”, esito che lo farebbe sentire tradito perché “potrebbero non venir mai condannati, eppure hanno ucciso più di 2.900 persone. Sarebbe un’ingiustizia.”

La Presidente della sottocommissione per i diritti umani del Parlamento europeo allarmato per le possibili esecuzioni in Xinjiang
Il 27 settembre la Presidente Maria Alena ha dichiarato di essere allarmata dalla possibile imminente esecuzione di Tashpolat Tiyip, eminente accademico uiguro ed ex presidente dell’Università dello Xinjiang. È stato condannato in un processo segreto, dopo esser scomparso improvvisamente e detenuto in isolamento dal 2017. Dopo la “condanna a morte sospesa”, che include la possibilità di commutazione dopo due anni, secondo fonti informate ora rischia l’esecuzione imminente.

Alena si dichiara preoccupata per l’isolamento e la condanna pronunciata contro l’ex direttore dell’Ufficio di supervisione dell’istruzione dello Xinjiang Satar Sawut. Anch’egli potrebbe essere giustiziato, così come lo scrittore e critico Yalqun Rozi, che sta scontando un ergastolo con un’accusa poco chiara. Vista la loro detenzione arbitraria e ingiustificata, devono essere rilasciati. Lo stesso vale per il numero allarmante di intellettuali e cittadini uiguri attualmente in detenzione.

La Presidente della Sottocommissione per i Diritti Umani chiede alle autorità cinesi di sospendere immediatamente qualsiasi esecuzione programmata e di fornire informazioni credibili sul luogo in cui si trovano questi cittadini. Le autorità devono inoltre garantire l’assistenza legale che desiderano i detenuti e l’autorizzazione a vedere i familiari. Eventuali arresti e procedimenti giudiziari devono essere affrontati in modo pienamente coerente con gli standard internazionalmente riconosciuti sul processo equo e giusto.

Dal Russiagate all’Ucrainagate
Cambia dunque la geografia, ma non il registro dei democratici che alla politica continuano a preferire il Congresso, la Corte Suprema e l’impeachment. Difficile arginare un presidente che ha dalla sua almeno mezza America, una comunicazione arrembante, un’economia che galoppa e una disoccupazione che non esiste neanche più. E allora via alla scorciatoia giudiziaria con un’unica grande certezza: al di là degli eventuali sviluppi dell’inchiesta sulle pressioni esercitate su Kiev, i numeri per inchiodare The Donald non ci sono e non ci saranno. Uno dei passaggi obbligati, infatti, è la maggioranza dei due terzi di un Senato attualmente in mano ai repubblicani che già fanno quadrato attorno alla ‘loro’ Casa Bianca.

E allora perché? Perché inventare un procedimento là dove non ci sono prove né possibilità di successo? La risposta è paradossalmente semplice nonché evidente: perché il vicolo cieco del tribunale può fare comunque comodo al percorso della campagna elettorale. Prima il Russiagate per giustificare la sconfitta, ora l’Ucrainagate per sognare la vittoria. Dopo mesi di tentennamenti sul fronte Mosca, la sinistra americana sceglie la sua nuova narrativa del fango da qui al 2020, costringendo Trump nell’angolo di ombre e sospetti che da sempre caratterizzano la sua presidenza, ma contestualmente esponendo se stessa a uno scenario infarcito di rischi.

Sam Rainsy illustra ad Al Jazeera il suo piano di rientro in Cambogia
Il leader in esilio dell’opposizione cambogiana chiede una rivolta popolare e una ribellione dell’esercito contro il governo. Il partito al potere del paese sta minacciando condanne a 30 anni di carcere per chiunque risponda alla chiamata di Sam Rainsy. Al Jazeera lo ha intervistato a Washington DC, dove sta avendo una serie di incontri affinché il governo degli Stati Uniti lo sostenga quando rientrerà in patria il 9 novembre.

Rampi e Angioli: “Ecco perché accompagneremo Sam Rainsy in Cambogia”
Dopo che Sam Rainsy, presidente ad interim in esilio del principale partito dell’opposizione democratica cambogiana (Cambodia National Rescue Party, CNRP) e presidente onorario del Partito Radicale, ha annunciato l’intenzione di fare ritorno in Cambogia il giorno dell’indipendenza, il 9 novembre, il governo guidato da 34 anni dall’ex Khmer rosso Hun Sen ha messo in moto la macchina governativa istruendo ogni legale, ogni poliziotto, ogni militare a neutralizzare il piano dell’ex presidente. Alla luce delle condanne politicamente motivate subite in contumacia a più riprese, con accuse che vanno dal tradimento alla diffamazione, Rainsy rischia l’arresto immediato non appena varcato il confine.

Per questo saremo al fianco di Sam Rainsy e di tutta la leadership dell’opposizione democratica quando, con il Partito Radicale e con il più alto numero possibile di colleghi parlamentari provenienti da più paesi, si presenterà alla frontiera cambogiana. Accompagnare Rainsy il 9 novembre significa accompagnare la democrazia e il diritto affinché raggiungano il cuore di questo Paese del sud-est asiatico martoriato e troppo spesso dimenticato.

A Napoli il Congresso del Partito Radicale
Da giovedì 31 ottobre alle ore 15 a sabato 2 novembre, si terrà a Napoli il Congresso degli iscritti italiani al Partito Radicale. Domenica 3 novembre si terrà la riunione del primo Consiglio generale. L’evento avrà luogo presso la FOQUS Fondazione Quartieri Spagnoli, grazie alla presidente Rachele Furfaro che ha messo a disposizione la struttura dove ha sede la fondazione. FOQUS è un centro di aggregazione e formazione non convenzionale. Un tempio laico di cultura, informazione, formazione e lavoro che vive nel cuore dei quartieri spagnoli.

IRAN E MEDIO ORIENTE

L’Iran intende designare UANI come organizzazione terroristica
Il senatore Joseph I. Lieberman, presidente di United Against Nuclear Iran (UANI) e l’Ambasciatore Mark D. Wallace hanno rilasciato oggi la seguente dichiarazione congiunta in merito all’annuncio del 24 settembre da parte della Repubblica islamica dell’Iran di designare UANI come organizzazione terroristica:

L’intenzione della Repubblica islamica di designare UANI come un gruppo terroristico è un palese tentativo di intimidazione che non fermerà il nostro impegno contro questo regime fuorilegge. Lo Stato iraniano è il principale sponsor mondiale del terrorismo e UANI ha lavorato instancabilmente per anni per far sì che le aziende di tutto il mondo cessino ogni attività con questo Stato canaglia. Non saremo dissuasi dall’impedire il cammino dell’Iran sulla proliferazione nucleare, il terrorismo e le violazioni dei diritti umani.

L’annuncio dell’Iran è giunto alla vigilia del vertice annuale sull’Iran organizzato da UANI nell’ambito del quale è intervenuto il Segretario di Stato Mike Pompeo ribadendo la campagna di massima pressione degli Stati Uniti sul regime di Teheran. Gli Stati Uniti hanno designato l’Iran come Stato sponsor del terrore 35 anni fa. Oltre a compiere attacchi diretti, Teheran ha compiuto atti di terrorismo per procura attraverso Hezbollah, Hamas, gli Houthi e le milizie in Iraq, Siria e Bahrein. Vi è una lunga storia di attacchi terroristici contro gli Stati Uniti e altri paesi occidentali, con bombardamenti, rapimenti e dirottamenti.

Sin dalla sua fondazione nel 2008, UANI ha avviato numerose campagne a livello internazionale per mettere in guardia le aziende di tutto il mondo sui rischi legali, politici, finanziari e di prestigio derivanti dall’entrare in affari con l’Iran.

UANI favorevole a nuove sanzioni sulla Banca centrale iraniana
Il 23 settembre, in risposta all’annuncio di nuove sanzioni contro la Banca centrale e il Fondo di sviluppo nazionale iraniani, il senatore Joseph I. Lieberman, presidente di United Against Nuclear Iran (UANI) e l’ambasciatore Mark D. Wallace, si sono detti soddisfatti per queste nuove sanzioni contro l’Iran, la principale fonte di preoccupazione mondiale relativa al riciclaggio di denaro. La Banca centrale iraniana e il suo Fondo di sviluppo nazionale hanno fornito miliardi di dollari alla Forza rivoluzionaria islamica Corps-Qods (IRGC-QF) e al suo principale delegato terroristico, Hezbollah. Per troppo tempo, questo regime ha utilizzato il suo sistema finanziario per sostenere il terrorismo e l’intreccio continuo di transazioni umanitarie e terroristiche dovrebbe ricordare al mondo che non si devono fare affari con la Repubblica islamica. Per questo, sin dalla sua fondazione nel 2008, UANI ha costantemente messo in guardia aziende, paesi ed esponenti politici che il sistema finanziario iraniano è troppo contaminato per avere successo. Il quadro Iran Risk Snapshot di UANI documenta questa dinamica con l’ausilio di dettagli grafici.

Il costo del petrolio potrebbe salire a livelli “inimmaginabili”
Il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman ha avvertito oggi 30 settembre che il prezzo del petrolio potrebbe salire livelli “inimmaginabili” a meno che non venga avviata un’azione contro l’Iran, il principale nemico del regno. Le parole del principe fanno seguito degli attacchi alle strutture petrolifere in Arabia Saudita che hanno eliminato il 5% dell’offerta globale. Il dito è puntato contro l’Iran che nega il coinvolgimento negli attacchi.

“Se il mondo non intraprende un’azione forte e ferma per fermare l’Iran, assisteremo ad ulteriori escalation che minacciano gli interessi mondiali. Le forniture di petrolio si interromperanno e i prezzi del petrolio aumenteranno a livelli inimmaginabili, mai visti finora”, ha detto MBS.

Trump e Rouhani potrebbero incontrarsi in futuro
I presidenti di Stati Uniti ed Iran, Donald Trump e Hassan Rouhani non si sono incontrati a New York in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Tuttavia, poco prima della partenza per Teheran tuttavia, Rouhani non ha categoricamente respinto l’idea che un incontro con Trump si possa fare, alle condizioni stabilite dagli iraniani. “Se verranno rimosse le condizioni preliminari”, ha dichiarato Rouhani riferendosi alle sanzioni sempre più pesanti che gli Stati Uniti hanno reimposto all’Iran, “i negoziati con gli Stati Uniti sono una possibilità”.

Il Primo Ministro pakistano tenta di mediare con Rouhani
Il Primo Ministro del Pakistan, Imran Khan, ha dichiarato martedì 24 settembre che il Presidente Trump ha chiesto il suo aiuto per disinnescare le tensioni con l’Iran e che a tal fine ha avvicinato il Presidente iraniano Rouhani nel tentativo di mediare. “Ho parlato immediatamente con il Presidente Rouhani dopo l’incontro con il presidente Trump e al momento non posso dire altro. Stiamo provando a mediare”, ha detto Khan ai giornalisti alle Nazioni Unite, aggiungendo di essere stato in Arabia Saudita prima di New York e di aver parlato con il principe Mohammed bin Salman, il quale ha anch’egli chiesto di parlare con Rouhani.

Regno Unito, Germania e Francia condannano l’Iran per gli attacchi in Arabia Saudita
Il 24 settembre il Regno Unito, Germania e Francia si sono unite agli Stati Uniti nell’indicare l’Iran come responsabile degli attacchi alle strutture petrolifere saudite. Il Ministro degli Esteri iraniano ha risposto addossando la responsabilità ai ribelli Houthi yemeniti affermando che “se l’Iran fosse dietro questo attacco, non sarebbe rimasto nulla di quelle raffinerie.”

I leader dei tre paesi europei hanno rilasciato una dichiarazione in cui ribadiscono il sostegno all’accordo nucleare JCPOA del 2015 posto che l’Iran cessi di violarlo. Nel comunicato si legge che “non c’è altra spiegazione plausibile” se non che “l’Iran è il responsabile di questo attacco.”

L’UE potrebbe ritirarsi dall’accordo nucleare JCPOA
L’Unione europea ha avvertito informalmente gli iraniani che sarà costretta a ritirarsi dall’accordo nucleare JCPOA a novembre, se Teheran proseguirà con le minacce di violazione dell’accordo. L’Iran ha violato l’accordo già in tre occasioni e si sta preparando alla quarta a meno che gli Stati Uniti non revochino le sanzioni economiche. Una fonte europea ha dichiarato che “la difficoltà deriva al fatto che l’Iran afferma che i passaggi sono reversibili, e se sono volti ad acquisire la bomba nucleare, il processo diviene irreversibile”. Una volta attivato il meccanismo di contestazione dell’accordo, entrambe le parti hanno 30 giorni per dimostrare una non conformità significativa e, se necessario, scatterà il ritorno alle sanzioni.

La petroliera britannica sequestrata lascia l’Iran
Il 26 settembre il governo iraniano ha reso noto che la petroliera Stena Impero, battente bandiera britannica, sequestrata dall’Iran due mesi fa, era entrata in acque internazionali e si stava dirigendo verso Dubai. Lo ha confermato il proprietario della nave. L’imbarcazione e l’equipaggio sono stati protagonisti della più ampia disputa tra Iran e Occidente, scatenata dal sequestro di una nave cisterna iraniana da parte delle forze britanniche vicino a Gibilterra a luglio carica di petrolio e diretta in Siria, in violazione delle sanzioni dell’Unione europea contro la Siria. L’Iran aveva dunque sequestrato la Stena Impero il 19 luglio, apparentemente per rappresaglia ma anche, secondo gli analisti, per dimostrare che Teheran può interrompere il traffico attraverso lo stretto vitale. Circa un quinto della fornitura mondiale di petrolio passa attraverso lo Stretto di Hormuz.

La Turchia continua ad importare petrolio dall’Iran
Il 27 settembre il presidente turco Erdogan ha dichiarato che, nonostante la minaccia delle sanzioni statunitensi, è impossibile per la Turchia interrompere le importazioni di petrolio e gas naturale dall’Iran, aggiungendo che dunque il commercio tra i due paesi continuerà. Parlando con i giornalisti sul volo di ritorno dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, Erdogan ha affermato che la Turchia non teme le possibili sanzioni statunitensi e che Ankara non vuole interrompere la cooperazione con Teheran.

Una delegazione della FIFA vigilerà sulla presenza di donne allo stadio
Il 26 settembre la FIFA ha annunciato l’invio di una delegazione a Teheran per assicurarsi che le donne siano ammesse allo stadio per assistere alla partita di qualificazione ai Mondiali tra Iran e Cambogia il 10 ottobre. La delegazione includerà l’ex calciatore francese Youri Djorkaeff in quanto Amministratore delegato della Fondazione FIFA. Uno degli obiettivi della fondazione è rendere il calcio più accessibile alle donne in Medio Oriente e la presenza di una delegazione è importante “per dimostrare che la FIFA vuole intervenire con convinzione”, ha detto l’ex centrocampista.

Nei giorni precedenti, Gianni Infantino, presidente della FIFA, aveva dichiarato di aver ricevuto la conferma dalle autorità iraniane che le donne saranno autorizzate ad entrare allo stadio. La decisione è scaturita dopo la morte di una donna, Sahar Khodayari, nota come “Blue Girl” che si era data fuoco dopo esser stata arrestata e processata per aver tentato di entrare allo stadio travestendosi da uomo.

Le iraniane sono state bandite dagli stadi con l’avvento della Rivoluzione Islamica nel 1979. I leader religiosi sostengono che debbano essere protette dall’“atmosfera maschile” e dalla “vista di uomini seminudi”.

I familiari di detenuti “ostaggi” in Iran chiedono all’ONU di attivarsi
Il 24 settembre un gruppo di familiari di detenuti iraniani con doppia cittadinanza, tra cui il marito inglese di Nazanin Zaghari-Ratcliffe, ha chiesto all’ONU di intervenire con determinazione rispetto a Teheran la cui impunità su questo punto ha incoraggiato altri paesi a seguirne l’esempio. La comunità internazionale ha permesso all’Iran di “aggredire e persino intensificare” questa pratica perché non ha affrontato seriamente il regime clericale. La condanna degli attacchi alle navi e agli impianti petroliferi non è stata accompagnata da una condanna altrettanto forte delle violazioni dei diritti umani.

Secondo il Center for Human Rights in Iran, quattordici cittadini stranieri con doppia nazionalità sono attualmente detenuti in Iran, anche se il numero potrebbe essere più elevato. I detenuti hanno subito un lungo isolamento e sono stati processati segretamente per essere poi utilizzati come moneta di scambio nella contrattazione dei rapporti tra l’Iran e altri paesi.

Nuovo codice comportamentale in Arabia Saudita
Il 28 settembre le autorità saudite hanno annunciato la creazione di 19 reati in materia di “decenza pubblica” che entreranno in vigore mentre il regno musulmano apre ad un flusso maggiore di turisti stranieri. Sarà vietato indossare abiti immodesti, lasciarsi a manifestazioni di affetto in pubblico, sporcare, sputare, saltare la coda, scattare fotografie e video senza permesso, suonare o riprodurre musica nei momenti di preghiera. Le multe vanno da 50 riyal ai 6.000 riyal (dai 13 ai 1600 dollari).

Israele ancora alla ricerca di un governo
Benjamin Netanyahu leader del Likud e Benny Gantz leader del partito Blu and White hanno in programma di incontrarsi mercoledì 2 ottobre per un ultimo disperato tentativo di formare un governo di unità nazionale. Un portavoce del Likud ne ha dato annuncio poco dopo la fine di un incontro tra le due rispettive delegazioni domenica 29 settembre che non ha fatto segnare alcun progresso. In precedenza Netanyahu aveva dichiarato che avrebbe rimesso il mandato ricevuto dal Presidente Reuven Rivlin di formare il governo nelle mani del presidente stesso se domenica se non ci fossero state svolte nei negoziati.

“Il Likud è molto deluso dal fatto che Blue e White non siano disposti a scendere a compromessi”, ha detto un portavoce del partito dopo l’incontro di domenica. Mentre Blue and White ha addossato al Likud la responsabilità dell’assenza di progressi perché il partito di Netanyahu non rinuncia alla volontà di negoziare non come Likud ma come blocco di destra che conterebbe su 55 parlamentari.

Gli Houthi catturano migliaia di soldati sauditi in Yemen
I ribelli Houthi nello Yemen affermano di aver catturato circa 2000 soldati sauditi dopo un attacco avvenuto al confine tra i due paesi. Un portavoce degli Houthi ha riferito alla BBC che tre brigate saudite si sono arrese vicino alla città saudita di Najran. Sarebbero migliaia i soldati catturati e molti altri quelli uccisi. Ad oggi, il governo saudita non ha confermato né smentito. Il colonnello Yahiya Sarea ha affermato che le forze saudite hanno subito “enormi perdite di uomini e armi” e ha aggiunto che i prigionieri sarebbero stati costretti a sfilare sulla rete televisiva Al Masirah diretta dagli Houthi il 28 settembre.

FOTO DELLA SETTIMANA
Hong Kong, 28 settembre 2019: Joshua Wong, segretario di Demosisto, annuncia la propria candidatura alle elezioni distrettuali il 24 novembre

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