N 73 – 20/4/2020

N 73 – 20/4/2020

FOTO DELLA SETTIMANA – Taipei, 15 aprile 2020: il Grand Hotel Taipei celebra il primo giorno con zero casi di coronavirus

 

PRIMO PIANO

Quando l’OMS era un’organizzazione seria
Era il 6 aprile 2003 quando la BBC rendeva note le critiche rivolte apertamente dall’allora Direttrice Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’ex Primo Ministro norvegese, Gro Harlem Brundtland, alle autorità cinesi per non aver segnalato tempestivamente i primi casi di “una malattia simile alla polmonite nota come Sindrome respiratoria acuta grave, la SARS”. La Brundtland ha anche messo in evidenza la mancanza di cooperazione della Cina con la comunità internazionale nelle prime fasi dell’epidemia che ha ucciso oltre 90 persone, la maggior parte delle quali nella Cina continentale e Hong Kong.

La DG ha inoltre detto che, nei suoi cinque anni a capo dell’OMS, era la prima volta che una malattia si diffondeva a livello internazionale in un simile modo. La SARS ha avuto origine infatti nel sud della Cina nel novembre 2002, e già in quell’occasione (17 anni fa) le autorità cinesi hanno permesso ad un team di esperti dell’OMS di recarsi a Pechino, per intervenire solo a livello centrale, soltanto il 23 febbraio 2003.

Pieno sostegno a Hong Kong dopo la nuova ondata di arresti
Mai prima una pandemia sanitaria è stata così chiaramente accompagnata, e osiamo persino dire spronata, da una seconda pandemia: quella del virus autoritario. Siamo immersi in una tragedia di scala mondiale, che si è potuta diffondere nel mondo soltanto grazie alle inerenti carenze e debolezze di un regime dittatoriale e sanguinario, preoccupato e impegnato prima di tutto nell’assicurare la propria sopravvivenza e l’espansione del suo modello nel resto del mondo.

Il focolaio di questa seconda pandemia – causa e concausa del COVID19 – in queste ore si trova ancora una volta a Hong Kong, dove da anni, e in modo particolare e ammirevole, decine di migliaia di attivisti e cittadini lottano in modo pacifico non solo per la sopravvivenza del loro sistema di Stato di Diritto, garantitogli dalla Basic Law, ma per lo Stato di Diritto in tutto il mondo.

Sosteniamo l’appello perché Taiwan partecipi ai lavori dell’OMS
Il 3 aprile, André Gattolin, Senatore francese membro del Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella” ha lanciato un appello per una maggiore inclusione di Taiwan nell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Mentre l’epidemia di coronavirus contamina rapidamente il mondo intero, Taiwan riesce a contenere drasticamente la sua diffusione, su un territorio insulare appena più grande del Belgio ed una popolazione di 23 milioni d’abitanti. Nonostante gli stretti legami economici e commerciali con la Cina continentale, Taiwan ha raggiunto zero contagi il 15 aprile e ha registrato, ad oggi 20 aprile, soltanto sei decessi. Tassi di contagio e mortalità per abitante molto inferiori a quelli che si osservano nel resto del mondo. Ciononostante, Taiwan rimane ancora esclusa dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).

L’appello integrale e il formulario per sottoscriverlo sono disponibili a questa pagina.

Lettera aperta ai cittadini cinesi e agli amici della Cina in patria e all’estero
Il Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella” è onorato di affiancare il MacDonald Laurier Institute, la Henry Jackson Society e lo European Values Center for Security Policy nel diffondere la seguente lettera aperta, lanciata dal Dr. Andreas Fulda dell’Università di Nottingham, a cui aderisce.

L’attuale crisi globale è stata causata dal regime che tanti di voi hanno tollerato o sostenuto per decenni. Il 2 aprile 2020 un gruppo di cento accademici dell’establishment cinese ha scritto una lettera aperta denunciando “le molte voci critiche che politicizzano la pandemia del COVID-19”. Hanno affermato che “(in) questo stadio della pandemia, la fonte e l’origine esatte del COVID-19 rimangono indeterminate, ma non sono queste domande importanti, mentre puntare il dito è umiliante e dannoso per tutti”. Hanno inoltre anche reagito contro quel che definiscono come la politicizzazione dell’epidemia.

La lettera aperta esemplifica ciò che l’intellettuale indipendente, il Professore Xu Zhangrun, ha chiamato “la ridicola ‘Cultura Rossa’ e la nauseabonda adulazione che il sistema produce fine a se stesso tramite i sostenitori spudorati del Partito che lo osannano in ogni dove”.

E’ possibile sottoscrivere l’appello a questa pagina.

Discussione online tra il Senatore Rampi e il deputato tedesco Schwabe su democrazia, Europa, ecologia, diritto alla conoscenza
L’emergenza COVID-19 sta cambiando il vocabolario e le priorità della politica nazionale e internazionale, termini come “quarantena”, “distanziamento sociale” o “pandemia” fanno ormai parte di un lessico quotidiano. Resta la necessità di familiarizzare con altri termini altrettanto importanti, quali “unità” e “solidarietà”, propri del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea. Mercoledì 15 aprile 2020, il senatore Roberto Rampi e il deputato del Bundestag Frank Schwabe hanno colto questa opportunità in una diretta streaming su Instagram rassicurando i propri followers sulla continuità dei lavori dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE) e del gruppo dei Socialisti, dei Democratici e dei Verdi di cui fanno parte.

IRAN E MEDIO ORIENTE

L’Iran prolunga le licenze ai detenuti per arginare il coronavirus nelle carceri
Il 19 aprile il Presidente iraniano Hassan Rouhani Iran ha annunciato di aver esteso di un mese la durata delle licenze dei detenuti. La Repubblica islamica è impegnata ad arginare la diffusione del coronavirus nelle affollatissime carceri. Rouhani ha anche annunciato che le moschee e i luoghi sacri in Iran rimarranno chiusi almeno fino al 4 maggio.

La liberazione provvisoria di 100.000 prigionieri effettuata a febbraio – inclusi prigionieri di coscienza e cittadini stranieri o con doppia cittadinanza – è stata accolta dalle Nazioni Unite come un buon passo, ma che deve essere ampliato. Tuttavia, in una nota firmata da esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite, tra cui il Relatore Speciale sull’Iran, Javaid Rehman, affermano che “la maggior parte dei prigionieri di coscienza, difensori dei diritti umani, ambientalisti e cittadini stranieri o con doppia cittadinanza restano in carcere”.

Manifestazione con distanziamento sociale a Tel Aviv in difesa della democrazia
Domenica 19 aprile, circa 2000 persone si sono radunate in piazza Rabin a Tel Aviv per manifestare contro le misure approvate durante la crisi del coronavirus dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu. Alla presenza di un cospicuo numero di agenti di polizia, i manifestanti hanno mantenuto il distanziamento social in vigore anche in Israele. Hanno preso la parola i principali legislatori del blocco del centrosinistra, tra cui ex co-leader di Kahol Lavan di Benny Gantz. “È così che muoiono le democrazie nel 21° secolo. Non muoiono con i carri armati schiacciano il Parlamento, muoiono dall’interno”.

A marzo, un corteo di centinaia di automobili si era recato a Gerusalemme per protestare contro le misure antidemocratiche anti-coronavirus, inclusa l’approvazione del monitoraggio telefonico dei civili da parte di Shin Bet. “Tutto è iniziato con il coronavirus, quando ha iniziato a approvare le leggi antidemocratiche. Mi sono svegliato e mi sono reso conto che non ci sono alternative, domani sarà troppo tardi”, ha dichiarato Tamir Hefetz, uno degli organizzatori della protesta.

Ayman Odeh, presidente della Joint List, alleanza dei principali partiti politici a maggioranza araba, ha dichiarato: “Condividiamo un destino. Stiamo combattendo l’epidemia crudele di coronavirus – medici, guardiani e farmacisti arabi ed ebrei. Continueremo a combattere e vinceremo. Questo destino condiviso rientrano tutte le questioni che ci sono care: pace, democrazia, uguaglianza e giustizia sociale”. Poi ha affermato: “Stasera non è facile per me parlare accanto ad alcuni dei relatori, ma dobbiamo vedere il punto principale – solo attraverso una lotta comune arabo-ebraica possiamo vincere. Questa crisi rappresenta un’enorme opportunità per creare un ampio fronte ebraico-arabo e per conquistare pace e democrazia”.

Pompeo chiede alle Nazioni Unite di estendere l’embargo sulle armi all’Iran
Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha sollecitato il Consiglio di Sicurezza ONU a estendere l’embargo internazionale sulle armi all’Iran, che scadrà ad ottobre. In un tweet del 18 aprile, Pompeo ha scritto che la revoca delle sanzioni imposte a Teheran potrebbe scatenare violenze in Medio Oriente.

Ha affermato: “L’embargo sulle armi all’Iran – il principale sponsor statale mondiale del terrore – scade tra sei mesi da oggi. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve estendere l’embargo prima che la violenza iraniana si intensifichi e abbia inizio una nuova corsa agli armamenti in Medio Oriente. Il tempo sta finendo. Nell’ultimo anno, l’Iran ha lanciato missili contro i Paesi vicini, ha assaltato e sequestrato navi petroliere, ha trafficato clandestinamente armi in zone di conflitto e abbattuto un aereo di linea civile. Non possiamo rischiare che l’Iran acquisisca armi ancor più avanzate e trasferisca il suo arsenale ad altri pericolosi attori nella regione”.

Imbarcazioni iraniane e statunitensi si incrociano durante un’esercitazione
Il 19 aprile la Guardia rivoluzionaria paramilitare dell’Iran ha reso noto di aver avuto un incontro non privo di tensioni con navi da guerra degli Stati Uniti nel Golfo Persico la scorsa settimana, e ha affermato, senza offrire prove, che sono state le forze americane ad aver creato l’incidente.

L’incidente è avvenuto mercoledì 15 aprile. Un video diffuso dalla Marina degli Stati Uniti mostra piccole navi veloci iraniane avvicinarsi alle navi da guerra americane mentre operavano nel nord del Golfo Persico vicino al Kuwait, con elicotteri Apache dell’esercito americano.

Secondo quanto riferito dalla Guardia, gli statunitensi stavano conducendo un’esercitazione e gli iraniani hanno dovuto far fronte alle “azioni non professionali e provocatorie degli Stati Uniti nonostante avessero lanciato avvertimenti”. Sempre secondo gli Iraniani le navi statunitensi hanno poi deciso di lasciare l’area.

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