In Myanmar, con il divieto di voto si afferma un regime di Apartheid

In Myanmar, con il divieto di voto si afferma un regime di Apartheid

Proponiamo la traduzione di un estratto di un articolo del Japan Times del 25 ottobre sulla decisione della Commissione elettorale del Myanmar di escludere alcuni territori dal turno elettorale nazionale dell’8 novembre prossimo. Il divieto di voto imposto a circa il 5% della popolazione, per la maggioranza appartenenti a minoranze etniche, è una mossa ritenuta essenziale per assicurare la riconferma di Aung San Suu Ky che conferma e rafforza il regime di Apartheid instauratosi nel Paese sotto la guida dello stesso Premio Nobel per la Pace. Un Paese sotto accusa di genocidio presso la Corte penale internazionale dell’Aja.

Le elezioni nazionali del mese prossimo offrivano un barlume di speranza per molte minoranze etniche nelle regioni afflitte da conflitti del Myanmar. Ma la decisione di escludere dal voto parti delle loro terre d’origine – ufficialmente per ragioni di sicurezza – le ha invece riempite di rabbia e disperazione, con quasi 2 milioni di persone private del loro diritto di voto.

Sebbene si prospetti una conferma della National League for Democracy (NLD) di Aung San Suu Kyi dopo il turno elettorale dell’8 novembre – solo la seconda elezione da quando il Paese è uscito dalla dittatura militare – il suo partito patisce un forte calo dei consensi in molte aree delle minoranze etniche, dove il malcontento si è ora intensificato.

La scorsa settimana la Commissione elettorale ha annunciato un lungo elenco di collegi elettorali in cui non si procederà al voto, lasciando più di un milione di persone a Rakhine e altre centinaia di migliaia altrove senza diritto di voto.

Le tensioni a Rakhine erano salite anche prima di questa ultima decisione. Una guerra civile tra l’esercito del Myanmar e l’Arakan Army (AA) – un gruppo militante che lotta per maggiore autonomia nel Rakhine – ha ucciso e ferito centinaia di persone e costringendone circa 200.000 a lasciare le abitazioni. Entrambe le parti sono accusate di abusi, ma l’AA gode ancora di un ampio sostegno da parte di un popolo che si è sentito a lungo emarginato dalla maggioranza Bamar in uno degli stati più poveri della nazione.

Una brutale repressione militare nel 2017 – anno in cui Aung San Suu Kyi era già al potere – ha costretto 750.000 persone a fuggire dalle loro case per trovare rifugio nei campi profughi in Bangladesh, ragion per cui il Myanmar si ritrova accusato di genocidio dalla Corte Penale Internazionale. Ma altri 600.000 Rohingya vivono ancora in Myanmar, per la maggior parte nello stato di Rakhine, dove vivono sotto un regime descritto da organizzazioni per i diritti umani come un sistema di apartheid.

Nel corso di decenni, ai musulmani Rohingya è stata tolta la cittadinanza e i diritti. Ma ad esser intrappolate in combattimenti e travolte dalla conseguente privazione del diritto di voto sono una serie altre minoranze etniche, tra cui i Mro, Khami e Daingnet. In totale sono quasi 2 milioni le persone in età di voto che non potranno partecipare al turno elettorale, circa il 5% dell’elettorato. Anche altri stati nel Paese – in particolare Shan, Kachin e Karen – sono rimasti sconvolti dall’annuncio.

E’ stata messa in discussione l’imparzialità della Commissione elettorale, un organo interamente nominato dal governo. Gli osservatori stimano che questa ultima privazione dei diritti civili ha le sue conseguenze soprattutto nelle roccaforti delle minoranze etniche, probabilmente inclinando i voti di quelle aree a favore della NLD di Suu Kyi e sollevando timori per ulteriori conflitti e violenza politica. L’NLD ha negato di aver interferito presso la Commissione, mentre la stessa Commissione in settimana ha cercato di schivare ogni responsabilità, affermando che tutte le decisioni rispetto al voto erano state prese in consultazione con il governo, inclusi due ministeri controllati dai militari.

Traduzione: Laura Harth

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