Pieno sostegno a Hong Kong dopo la nuova ondata di arresti

Pieno sostegno a Hong Kong dopo la nuova ondata di arresti

Mai prima una pandemia sanitaria è stata così chiaramente accompagnata, e osiamo persino dire spronata, da una seconda pandemia: quella del virus autoritario. Siamo immersi in una tragedia di scala mondiale, che si è potuta diffondere nel mondo soltanto grazie alle inerenti carenze e debolezze di un regime dittatoriale e sanguinario, preoccupato e impegnato prima di tutto nell’assicurare la propria sopravvivenza e l’espansione del suo modello nel resto del mondo.

Il focolaio di questa seconda pandemia – causa e concausa del COVID19 – in queste ore si trova ancora una volta a Hong Kong, dove da anni, e in modo particolare e ammirevole, decine di migliaia di attivisti e cittadini lottano in modo pacifico non solo per la sopravvivenza del loro sistema di Stato di Diritto, garantitogli dalla Basic Law, ma per lo Stato di Diritto in tutto il mondo.

Hong Kong oggi rappresenta la prima linea in una guerra mondiale tra sistemi: quello dello stato di diritto democratico – per quanto imperfetto – da un lato, e quello dello stato del partito-unico socialista con caratteristiche cinesi dall’altro. Come riporta il South China Morning Post il 18 aprile, mentre il mondo combatte il virus sanitario, Pechino si è adoperata per arrestare 15 personalità di spicco del movimento per la democrazia a Hong Kong. Tra loro anche Martin Lee (81 anni), fondatore del Partito Democratico e co-autore della Basic Law di Hong Kong, concepita per garantire lo stato di diritto in un sistema molto diverso da quello della Cina continentale.

Questi arresti sono solo gli ultimi di una recente ondata di attacchi all’opposizione da parte dell’amministrazione di Hong Kong. Alla fine di febbraio di quest’anno, altri sostenitori del movimento democratico sono stati arrestati per aver preso parte ad una presunta manifestazione non autorizzata il 31 agosto scorso. Si sono susseguiti arresti di oltre un centinaio di persone con varie accuse, tra cui assemblee non autorizzate, possesso di armi, incendi dolosi, attacchi alla polizia e l’ostacolo all’esercizio delle funzioni di quest’ultima.

Nonostante le smentite da parte delle autorità, siamo fermamente convinti che questi arresti non siano altro che persecuzioni politiche a sangue freddo e un attacco diretto alle libertà fondamentali di espressione e riunione. L’amministrazione di Hong Kong è tenuta a rispettare tali diritti e garantirne il godimento ai suoi cittadini. Ma sotto pressione di Pechino, l’erosione di tali principi sembra ormai arrivare a compimento.

In tal senso, è di gravità inaudita la negazione avvenuta in queste ultime ore sull’applicabilità dell’articolo 22 della Basic Law alla Hong Kong & Macau Affairs Office e al Central Government’s Liaison Office, tassello primario del principio dello stato di diritto, secondo il quale nessuno è al di sopra della legge.

In tutto il mondo, la pandemia è sempre più utilizzata da regimi autoritari per centralizzare ulteriormente il potere politico e, nel processo, attaccare l’opposizione politica. L’amministrazione di Hong Kong, spronata dal governo del Partito Comunista Cinese a Pechino, è all’avanguardia di questo tracciato autoritario, deteriorando ulteriormente la sua già discutibile reputazione, sia a livello nazionale che internazionale, come una società governata dallo stato di diritto.

Pertanto, ribadiamo innanzitutto che in virtù degli Accordi internazionali che ne garantiscono lo status, è fondamentale che la Basic Law sia applicata a tutti i soggetti e uffici presenti sul suo territorio, e che i diritti di tutti i cittadini vengono garantiti.

Inoltre, per permettere il ripristino di un dialogo costruttivo, basato sulle cinque domande del movimento pan-democratico, l’amministrazione di Hong Kong deve, senza indugio, fermare la persecuzione politica lasciando cadere tutte le accuse contro gli arrestati in relazione alle recenti proteste, rilasciando immediatamente coloro che sono ancora in detenzione e cessando di compiere ulteriori atti che intimidiscono, molestano e minacciano l’opposizione politica. Soprattutto in vista delle elezioni legislative di settembre di quest’anno.

Infine, ma non meno importante, ci appelliamo a tutti i governi e parlamenti del mondo affinché denuncino urgentemente e in modo fermo e netto l’attacco evidente sullo stato di diritto a Hong Kong, e attraverso esso sui suoi cittadini. Come ripeteva Marco Pannella: “Dove vi è strage di legalità, vi è strage di popoli”.

Non c’è tempo da perdere. Il virus autoritario si sta espandendo anch’esso in modo esponenziale. Come tanti osservatori sottolineano in questo momento, e come i difensori dei diritti umani del Tibet, dello Xinjiang, di Taiwan, e di Hong Kong ci ammoniscono da tempo: il Partito Comunista Cinese non sta reprimendo la libertà soltanto Hong Kong. Sta applicando la comprovata strategia decennale contro il Tibet in Xinjiang, a Hong Kong, a Taiwan, in Kazakistan, in Africa, nell’Unione europea e persino negli Stati Uniti.

Ricordiamocelo ogni volta che sentiamo invocare il “modello cinese”! #StandwithHongKong

Laura Harth

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