Relazione di Giulio Terzi di Sant’Agata al 41° Congresso del Partito Radicale

Relazione di Giulio Terzi di Sant’Agata al 41° Congresso del Partito Radicale

Venerdì 5 luglio, Giulio Terzi di Sant’Agata, Presidente del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella” è intervenuto nella fase di apertura del 41° Congresso del Partito Radicale a Roma con una relazione sui rischi per lo stato di diritto e gli equilibri mondiali provenienti dalla Cina.

La Cina di Xi Jinping è il punto di arrivo di un sistema di potere centralizzato, assoluto, imperniato sul PCC. Quel sistema aveva origine nella Lunga Marcia della Rivoluzione Maoista di settanta anni or sono. Lo stesso sistema evolveva negli anni Sessanta in senso ancor più repressivo attraverso la Rivoluzione Culturale. Ed era ancora lo stesso sistema a, per così dire, rigenerarsi nell’89, alimentandosi ancora una volta nel sangue; nella repressione di un movimento giovanile che invocava libertà e riforme, ma che veniva massacrato a piazza Tienanmen. Bieco paradosso della storia, nel momento in cui le tirannidi comuniste erano spazzate via da altre parti del mondo.

La Cina di Xi Jinping rivendica orgogliosamente tutto il suo passato comunista e maoista come una legacy di valori e di principi politici da perseguire e sottoporre al mondo.

La Cina si dichiara tenace sostenitrice della libertà degli scambi, intendendola come libertà di invadere i mercati estesi, ma tenendo rigidamente controllato, protetto e -quando ritenuto utile- isolato il proprio mercato. La Cina pretende di investire e acquisire il pieno controllo nelle reti strategiche dell’energia, dei trasporti, della economia digitale in Europa e in America, ma vieta investimenti stranieri nelle stesse reti in Cina; Pechino esige che Huawei entri nel nostro 5G, una dimensione che aumenta di mille volte il potere di internet, per dominare gestione e flusso dei nostri dati, mentre blinda rigorosamente tutto il cyberspazio cinese alle società e negli operativi delle telecomunicazioni europei e americani. Un senso della situazione viene fornito dalla ONG americana Freedom House, nel rapporto annuale sullo stato della libertà in Internet “Freedom on the Net 2018”, dei 65 paesi valutati ha piazzato la Cina all’ultimo posto.

Vuole avere “diritti esclusivi” e il Governo Italiano più di ogni altro Governo europeo si precipita a darle, vuole diritti esclusivi per la sua propaganda sui nostri media, previsti nel MOU irresponsabilmente sottoscritto lo scorso marzo dal Governo (su impulso del Movimento 5Stelle), nella scuola, nelle centinaia di Istituti Confucio che Pechino da anni ha piazzato nelle migliori università occidentali, e direttamente da Pechino; gestiti nei minimi dettagli, nei curricula di insegnamento, nell’insegnamento della storia raccontata attraverso il filtro del Partito Comunista Cinese. Il “principio di reciprocità”, fondamentale nelle relazioni internazionali dal tempo del Trattato di Westfalia, è anatema per i cinesi. Per Xi Jinping è la “peculiarità” della Cina che deve essere, prima di ogni altra cosa, riconosciuta, e osannata.

Pechino la afferma orgogliosamente l’unicità e la superiorità del proprio modello politico, culturale, economico, e la impone a Paesi che sono in una fase di sviluppo economico meno avanzata della Cina. Afferma modelli, regole alternative alla nostra democrazia liberale, allo Stato di Diritto, a quei principi di Libertà ai quali in assoluto teniamo. Xi Jinping lo ha ufficialmente dichiarato. In un manifesto politico diffuso poco dopo il suo insediamento alla Presidenza, che demonizzava “i sette indicibili principi” da combattere perché si tratta di valori Occidente. Tra questi: democrazia liberale, diritti umani, libertà dei media, il diritto alla critica. In questo quadro un invito a riflettere seriamente sulla grave situazione in cui versa la libertà di espressione è rappresentato nel censimento operato dal “Comitato per la protezione dei giornalisti”: per l’anno 2018 si contano almeno 47 giornalisti in prigione, ma non si fatica a credere che il numero sia molto più alto.

E’ ormai ampiamente ammesso da tutti, eccezion fatta per qualche “utile idiota” – o per i più numerosi personaggi che già si aspettano di trarre utili personali dalla dominazione politica, economica e culturale cinese – che l’ammissione della Cina all’OMC-WTO nel lontano ’99, sulla base di concessioni e aperture importanti e unilaterali da parte dell’Occidente, era fondata su un’illusione e su falso presupposto.

Molti fatti dovrebbero indurre alla più profonda vergogna i divulgatori della vulgata di una “potenzialità” democratica della Cina di questi ultimi decenni. L’illusione era – venti anni fa – che la crescita dell’economia avrebbe generato una parallela spinta verso l’apertura del sistema politico alla libertà e al rispetto dello Stato di Diritto. E come definire chi ha la sfacciataggine di sostenere ancora oggi questa vulgata, dinanzi a fatti come: la rivoltante situazione dei diritti umani; i campi di concentramento ovunque nello Xinjang; la brutale negazione della libertà religiosa, e del Cristianesimo – nonostante le concessioni unilaterali fatte dalla Santa Sede; la sparizione di migliaia di cittadini senza alcun processo; il ricorso abituale alla tortura, e alla violenza da parte della polizia; la totale soppressione di qualsiasi libertà personale e politica in uno Stato Orwelliano che criminalizza le opinioni, i pensieri, le parentele, i comportamenti e gli stessi sguardi, attraverso milioni di sofisticatissime telecamere e rilevatori dei comportamenti.

Potremmo suggerire a costoro alcuni esempi molto esplicativi. Il presidente del “Religious Freedom Institute”, Thomas F. Farr, in un’audizione del novembre 2018 alla Commissione esecutiva sulla Cina del Congresso USA, ha descritto la soppressione religiosa della Cina come “il più sistematico e brutale tentativo di controllare le comunità religiose cinesi dopo la Rivoluzione Culturale”. La brutale oppressione religiosa e culturale dei tibetani in Cina è in corso da quasi 70 anni, ma la Cina non ha solo cercato di distruggere la religione tibetana. Il cristianesimo, ad esempio, è stato sempre visto come una minaccia per la Repubblica Popolare Cinese quando fu istituita nel 1949. La Cina ha chiuso le chiese e rimosso le croci . Sono stati sostituiti con la bandiera nazionale e le immagini di Gesù sono state sostituite con le immagini del presidente Xi Jinping! Drammatica è anche la tremenda repressione nei confronti degli Uiguri, una popolazione che comprende circa 11 milioni di persone per lo più musulmane, mandati nella provincia occidentale della Cina dello Xinjang e rinchiusi nei campi di internamento per “rieducazione politica”.

Sul piano economico nel 1999 c’era poi un presupposto rivelatosi, anche questo, del tutto falso. Che oggi la crescita delle esportazioni cinesi verso occidente sarebbe stata equilibrata dallo sviluppo di una gigantesca domanda interna, a beneficio delle esportazioni e degli investimenti occidentali. Invece, l’enorme ricchezza accumulata dalla Cina attraverso il suo immenso, crescente attivo commerciale , e l’abissale deficit USA e UE verso la Cina dimostrano da anni la gravità dell’errore. Con la conflittualità che tutto ciò determina, non si risolvibile certamente nel breve o medio periodo.

Perché è oggi così necessario porre interventi ben più drammatici per la “questione cinese”?

La questione della “cinesizzazione” economica, politica ,culturale del mondo attraverso le Vie della Seta e la “One Belt One Road Initiative” non può più essere, ridimensionata, e tanto meno elusa.

E’ una questione urgente. Non è ulteriormente sostenibile la pressione che Pechino concentra sull’Europa, e su quello che Xi Jinping ritiene essere l’anello debole -l’Italia- dell’ancoraggio europeo, per principi essenziali di libertà.

L’Italia è il boccone grosso che il Dragone cinese vuole divorare, dopo che ha digerito le sue prede in Grecia, con il Porto del Pireo, in Portogallo, con l’acquisto a condizioni stracciate nel post crisi 2012, della rete elettrica portoghese, con importanti diramazioni nelle rinnovabili in Europa. Le sue grosse zampe il Dragone le ha piantate da tempo in alcune imprese strategiche italiane. Ma il vero problema è ora il salto in avanti che, con volontà incredibilmente suicida, il Governo Conte ha incoraggiato il regime cinese a fare con l’Italia, sottoscrivendo il famoso MOU, un assai impegnativo documento politico, con la superpotenza cinese. Il Governo ha venduto al pubblico la sciocchezza che non era poi un documento importante trattandosi “solo ” di un documento politico, senza una chiara natura giuridica, che il MoU non era un Trattato ratificato dal Parlamento- cosa che peraltro avrebbe portato dritta dritta l’Italia dinanzi alla Corte di Giustizia per violazione dei Trattati Europei e delle competenze commerciali esclusive della Commissione.

Il Governo Conte si è mosso quasi interamente su impulso e volontà del M5S, e ha assunto impegni politici in modo irresponsabile. Non si siglano impegni – tanto meno con una superpotenza assertiva come la Cina di oggi, neo-imperiale, impegnata allo spasimo a promuovere principi e regole in netta contrapposizione con quelli Europei e atlantici – e ancor meno si sottoscrivono questi tipi di impegni se sono “solo” politici .

Ve lo immaginate il momento in cui dovessimo svincolarci dalla gabbia nella quale ci siamo rinchiusi con il Dragone cinese, ad esempio nella collaborazione per il Satellite BeiDou, o Yeasong, che ha natura anche militare, e appartiene alle Forze Armate e all’Intelligence cinese? O il momento in cui non potessimo assolutamente onorare, senza cambiare alleanze, la nostra promessa “solo politica” di conformarci agli obiettivi di Pechino ad esempio, nell’occupazione e militarizzazione del mar della Cina, o su Taiwan e su Hong Kong,?

Se solo accennassimo a farlo, verremmo immediatamente castigati, con estrema durezza. attraverso ritorsioni economiche, come è toccato a molti Paesi- Canada, Corea del Sud, Filippine, e altri – che negli ultimi anni, pur avendo investimenti cinesi, si sono permessi di dissentire e criticare i misfatti di Pechino al Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu, o in Consiglio di Sicurezza o nell’Assemblea Generale dell’ONU.E si a trattava di Paesi che si erano ben guardati dal firmare demenziali MOU, come fatto da noi.

Viene da sorridere quando si sente la tesi dell’impegno “solo politico” di un Paese come il nostro, con popolazione pari al 4% di quella cinese, PIL pari a 1/8, Bilancio Difesa e Forze Armate che sono complessivamente meno 1/20 di una Cina Potenza nucleare, Membro Permanente del CdS dell’Onu, sempre più protagonista in tutte le Organizzazioni Internazionali indiscusso, a fronte di un’America sempre meno multilateralista. Ma di cosa parla il Governo Conte, quando pensa di ridimensionare l’atroce errore fatto firmando quel MOU “solo politico”? Fatto di impegni di vastissima portata, assunti da uno gnomo, con un Gigante che non è certo meno scaltro, spietato, esigente e attento dell’improvvido gnomo entrato tutto contento nella gabbia.

Discettare sul come ciò sia potuto avvenire è forse superfluo, come spesso accade quando si cerca di trovare un filo di razionalità nella linea del M5S. Innegabilmente, stereotipi, ideologismi, carenza di informazione oggettiva entrano nel conto. Nel mondo occidentale il M5S può vantare il primato di essere l’unica grande forza politica e parlamentare che appare attratta più di ogni altra, irresistibilmente attratta, da tutto ciò che nel mondo continua a profumare di “comunismo”. La Cina rappresenta un'”attrazione fatale” per l’establishment 5S, cosi come lo sono, nelle loro sventurate realtà, il Venezuela di Maduro, la Cuba Castrista e i paesi del gruppo Alba in America Latina. Ma anche sulla Cina, che ora il M5S vuole in tutto e per tutto in Italia, il Movimento fondato da Beppe Grillo di sfacciate piroette ne ha fatte diverse. Ignorando – per quali interessi? – i gravi danni che tutto questo procura al Paese.

In un post dei parlamentari grillini del luglio 2014 sull’ingresso cinese in Terna, si legge: “Quando si parla di sovranità, si parla anche degli asset strategici più delicati e delle attività chiave di un Paese”. Poi continua attaccando direttamente Pechino: “Eppure stavolta la cosa è quanto mai scandalosa: non solo si svende una parte di un asset strategico energetico, non solo tale asset è in attivo e porta denaro nelle casse del Paese, ma sapete a chi lo si svende? Ai cinesi”. Dicevano anche: “Il governo si è convinto che serve anche un socio forte, forse perché tanta sovranità rimane davvero troppo indigesta”. E attaccavano il ministro Pier Carlo Padoan colpevole di essere “andato in pellegrinaggio a Pechino per chiudere l’accordo con i cinesi di State Grid Corporation of China”. Quindi Padoan andava in “pellegrinaggio”, mentre Luigi Di Maio no. C’è anche dell’altro. “Governi stranieri sulla rete elettrica italiana, sulle informazioni che su essa viaggiano, e anche sui dati sensibili della clientela, che riguardano tutta la comunità nazionale. Normale amministrazione: il Paese e i suoi abitanti hanno da tempo perso ogni valore, mentre le loro ricche proprietà vengono svendute a destra e a manca”. Insomma, lo stesso discorso fatto oggi da chi si oppone, a Huawei in Italia per la rete 5G. Stando al Governo, forse, conta più il “lucro emergente” che non la sicurezza e la sovranità nazionale.

In conclusione è il caso in questa sede ricordare le parole e l’impegno diretto di Marco Pannella in occasione, qualche anno fa, della marcia con i Falun Gong e per la libertà in Cina. “Basterebbe constatare che i Falun Gong sono repressi, oppressi, torturati impediti nella loro libertà perché il Partito Radicale, ognuno di noi, sia un Falun Gong”. Con queste parole Marco ha motivato la sua presenza alla marcia dopo aver ricordato la tradizione di battaglie radicali sulla questione cinese: Tibet, Formosa, ma soprattutto per la libertà dei cinesi. Essi sono “le prime vittime di questo sistema che sta mettendo in una crisi profonda il pianeta e l’intera umanità, perché il regime comunista cinese toglie agli uomini la capacità di vivere e di lottare. Erano anche gli anni della grande “coalizione contro il terrorismo” promossa da Bush, che includeva proprio la Cina.

All’insegna della lotta al terrorismo “i paesi dittatoriali, autoritari e fondamentalisti possono fare i loro regolamenti di conti nei confronti degli oppositori politici, religiosi, di qualsiasi forma di espressione libera al proprio interno”. La richiesta è dunque quella di maggiore “coerenza alla comunità internazionale, all’Unione Europea, agli Stati Uniti per evitare quei peccati originali per cui in passato si è data forza in passato agli anti-regime che erano già l’annuncio di un nuovo regime, è già successo con gli afgani e può succedere ancora”.

Alcuni anni dopo, lanciando un appello per rispondere alla repressione in Tibet, Pannella ha ricordato che «la carta delle Nazioni Unite è chiarissima e occorre rispettare i diritti umani e politici».

«Tibet libero», ha proseguito Pannella, «significa anche Cina libera, mentre a Pechino sta prevalendo una parte del gruppo di potere che ha paura della libertà: si sentono deboli», ha aggiunto «e diventano vili, schiacciano popoli inermi». “la via della crescita della Cina passa attraverso questa nostra azione e non attraverso la prepotenza del potere statuale a Pechino”.

Vi sono state stagioni nella politica estera italiana ben diverse in cui non ci si è piegati allo “spauracchio” delle ricadute negative sulla bilancia commerciale. Il riferimento è al 1994 quando, sotto l’impulso di Marco Pannella, l’allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, compì un gesto di grande importanza ricevendo il Dalai Lama, primo Capo di Governo italiano a farlo, in un periodo in cui i rapporti politici economici con la Cina erano già di grande rilievo sul piano bilaterale e nei vari consessi multilaterali, come il “Coffe Club” in sede ONU per la riforma del Consiglio di Sicurezza. Ciò non impediva di mantenere delle relazioni proficue sotto tutti gli aspetti, cosa che negli ultimi anni è andata sparendo, con una propensione invece a chinare la testa di fronte ai desiderata di tutti gli interlocutori. Può sicuramente tornare utile a questo proposito il monito lanciato da Marco proprio in quella occasione “che il governo italiano abbia la fierezza delle proprie azioni e non si facciano passi indietro”!

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