Resoconto della missione del Partito Radicale in Cambogia

Resoconto della missione del Partito Radicale in Cambogia

Il 29 luglio si sono svolte le elezioni legislative in Cambogia, una monarchia costituzionale parlamentare del sud-est asiatico, governata da 33 anni dall’ex Khmer Rosso Hun Sen con il suo Partito Popolare Cambogiano (PPC).

Le urne hanno consegnato una scontatissima vittoria al PPC ed altri cinque anni di governo ad Hun Sen. Esito previsto dopo la repressione attuata dal regime e culminata il 16 novembre 2017 con una sentenza politicamente motivata della Corte Suprema, presieduta da un membro del PPC, che ha bandito l’unico vero partito di opposizione in grado di essere alternativa, il Partito Cambogiano di Salvezza Nazionale (CNRP).

L’opposizione, raccoltasi principalmente attorno a Sam Rainsy e Kem Sokha, aveva proposto il boicottaggio delle elezioni per delegittimarne il risultato. A seggi chiusi il governo ha annunciato in pompa magna il dato sull’affluenza: 82%. Per il CNRP l’affluenza non ha raggiunto il 50%. Occorre ricordare che nel febbraio 2017 Rainsy aveva subito l’ennesimo provvedimento ad personam che lo aveva costretto a tornare in esilio a Parigi. Kem Sokha, il successore, è stato incarcerato il 3 settembre 2017 con l’accusa di tradimento e collusione con potenze straniere per rovesciare il governo. Da allora attende di essere giudicato.

Per il governo è stata una grande prova democratica confermata dall’alta affluenza e dalla massiccia presenza di osservatori internazionali. Secondo la National Election Commission erano 50.000, provenienti da Cina, Russia, Kazakistan, Iran, India, Singapore, Vietnam, Laos, Thailandia, Filippine, Myanmar. All’indomani del voto, i governi di quasi tutti questi paesi hanno salutato le elezioni come un successo democratico. Stati Uniti, UE, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Regno Unito, Francia, Germania e Svezia ribadendo la decisione di non inviare alcun osservatore, le hanno invece definite “né libere né corrette”.

I risultati definitivi ancora non si conoscono, ma è irrilevante se, dei 125 seggi in Assemblea Nazionale, 5 o 10 andranno a partiti minori. Quasi tutti i venti partiti sulla scheda elettorale erano infatti “firefly parties” (partiti lucciola) fabbricati per l’occasione per mantenere la goffa illusione di una competizione multipartitica. Il partito-stato, il partito unico esiste già e si rafforza. Basti pensare che il Senato, eletto indirettamente lo scorso febbraio, è monocolore.

In questo contesto, dal 26 luglio al 5 agosto, una delegazione del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito (PRNTT) si è recata in missione a Bangkok, Phnom Penh e Sihanoukville. La delegazione era composta, oltre a chi scrive, dal Senatore Roberto Rampi e dal corrispondente dall’Asia di Radio Radicale Francesco Radicioni, ai quali si è affiancato il Senatore giapponese Yukihisa Fujita.

Essendo infatti Sam Rainsy iscritto al Partito Radicale da molti anni, esiste una forte collaborazione con l’opposizione. L’intera ex opposizione parlamentare e circa 200 attivisti della diaspora cambogiana si sono poi iscritti al PRNTT. Nel 2003 e 2008 Marco Pannella stesso andò a Phnom Penh per sostenere la campagna elettorale di Rainsy. La nostra presenza dunque voleva ribadire il sostegno al CNRP nel momento più buio per l’opposizione e per la democrazia e documentare le condizioni generali del paese incontrando politici, diplomatici, giornalisti, membri di ONG locali e cittadini comuni.

A Bangkok abbiamo incontrato alcuni rifugiati Montagnard in fuga dalle violenze del governo del Vietnam e, prima di recarci a Phnom Penh, due membri del CNRP: l’ex deputato Long Ry e l’ex candidato al Senato Mounh Sarath. Sono due dei sei ex parlamentari fuggiti e rimasti in Thailandia nonostante i pedinamenti e le pressioni con cui devono convivere anche a Bangkok. Entrambi ritengono che per indebolire Hun Sen siano necessarie sanzioni mirate che penalizzino soltanto i singoli membri del governo.

Sbarcati a Phnom Penh, è stata subito evidente l’onnipresenza del partito di Hun Sen. Gli unici manifesti elettorali visibili erano quelli del PPC. Una rarità quelli degli altri partiti. L’incontro principale è stato con Teav Vannol, ex senatore, uno dei pochissimi oppositori a non lasciare la Cambogia. Accolti nella vecchia sede del CNRP, Teav si è detto intenzionato a ricostruire l’opposizione, senza entrare nei dettagli sul come, data la situazione assolutamente avversa creatasi nel paese.

Grazie al direttore Asia di Human Rights Watch Phil Robertson abbiamo appreso della presenza di un’altra delegazione composta da circa 50 attuali ed parlamentari europei, provenienti prevalentemente dai paesi del gruppo di Visegrad. Tra loro vi erano anche sette italiani, un francese e un britannico appartenenti a compagini di estrema destra e invitati dalla ONG filorussa “Kian”. Gli italiani erano, tra gli altri, Antonio Razzi, Andrea Delmastro, Fabrizio Bertot e Luca Bellotti. Ricevuti con tutti gli onori da Hun Sen, sguazzano in un mare d’ignoranza rispetto al paese e ai rapporti con l’UE e non hanno mancato di esprimere soddisfazione per il perfetto svolgimento delle elezioni. Effettivamente, i metodi approntati dal governo per incoraggiare la partecipazione e controllare che gli elettori votassero “correttamente” erano perfetti. Si andava dalla distribuzione di buste contenenti 5 dollari ai muratori e lavoratori del tessile, a sconti sull’acquisto di beni di uso quotidiano, a minacce di sospensione dello stipendio.

L’operazione di Hun Sen di sbarazzarsi dell’opposizione e consolidare il sostegno politico, economico e militare della Cina è riuscita in pieno. La Cambogia ha una Costituzione, la separazione dei poteri, un parlamento, una Corte Suprema, ma sono istituzioni e processi vuoti. Tutto dipende dalla famiglia di Hun Sen. Usando le parole del fondatore di Global Witness, Patrick Alley: “Non accade niente che sfugga al loro controllo, è la corruzione nella sua forma più alta. Questa è la Cambogia, uno stato mafioso”.

La Cambogia oggi è una cleptocrazia, in barba ai decenni di aiuti da Stati Uniti, UE, Giappone e Australia; aiuti che oggi Hun Sen può permettersi di snobbare avendo riportato il suo Stato a gravitare nella sfera d’influenza cinese. Lo dimostrano in particolare gli ingenti investimenti a Sihanoukville. Perciò occuparsi di Cambogia significa occuparsi del sud-est asiatico, un territorio cuscinetto attraversato da flussi di interessi politico-economici tra Occidente e Cina. Se è vero che la cooperazione ha permesso di liberare la popolazione dall’estrema povertà (il tasso di povertà è sceso dal 53% dei primi anni 2000, al 14% di oggi) e che la cooperazione ha contribuito affinché i democratici conquistassero spazi di lotta, è altrettanto vero che la Commissione europea sapeva che il vento sarebbe cambiato. Modificare lo status quo ora è maledettamente più complicato. Milioni di cambogiani sono divenuti strutturalmente dipendenti dai nostri aiuti e la loro sospensione sarebbe grave.

In conclusione, l’Asia del sud-est è una regione in cui per un Myanmar che sembra fare un passo verso la libertà, vi è una Cambogia che regredisce. Osservando i membri dell’ASEAN, notiamo che il trend non è promettente. Nessuno dei dieci membri può considerarsi uno stato di diritto. Alcuni analisti parlano di “democrazie guidate” che permetterebbero rapidità nel processo decisionale e un maggiore sviluppo. Ma a quale prezzo? Quello di vivere in assenza di stato di diritto, per cui un individuo o un gruppo sarà sempre al di sopra della legge.

Matteo Angioli



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