Una valida alternativa all’attuale regime iraniano

Una valida alternativa all’attuale regime iraniano

La sollevazione nazionale degli ultimi dodici mesi in Iran ha lanciato un messaggio politico chiaro e inequivocabile, che non lascia dubbi sul reale desiderio della popolazione di un cambio di regime. Per tutta risposta funzionari governativi ai più alti livelli, incluso il capo supremo Ali Khamenei, si sono dimostrati particolarmente celeri nell’attribuire gli slogan come “morte al dittatore” e l’organizzazione della rivolta al Movimento PMOI/MEK, da sempre in prima linea per la fine del regime teocratico, dei controlli oppressivi e delle violente repressioni – messe in atto dall’apparato di sicurezza e di intelligence iraniano – e la liberazione immediata di tutti i prigionieri politici e per un Iran che rispetti pienamente i suoi obblighi internazionali e lo stato di diritto.

È importante sottolineare, a tal proposito, come la piattaforma politica del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (NCRI) guidata da Maryam Rajavi abbia ottenuto negli anni un sempre più ampio sostegno, sia a livello internazionale che tra il popolo iraniano, configurandosi come l’alternativa più valida, affidabile e democratica a un sistema di potere fallimentare, responsabile del disgregamento economico, la corruzione dilagante, le sanguinose repressioni in Iran – e altrove attraverso i “proxies” del regime – che sta decisamente alienando il popolo iraniano.

In tale contesto, dopo più di un anno di manifestazioni in tutto il Paese contro il corrotto e dispotico regime degli Ayatollah, il 15 dicembre scorso gli espatriati iraniani in 50 città del mondo si sono incontrati per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulla necessità di un profondo cambiamento in patria. Gli attivisti “pro-democrazia” hanno denunciato i recenti complotti terroristici contro gli oppositori del regime e hanno chiesto ai governi stranieri di impegnarsi in politiche più decise e impegni concrete contro i mullah.

Dovrebbe essere ormai chiaro alla comunità internazionale, che lo scontro tra il regime teocratico profondamente impopolare e la sempre più influente resistenza democratica è quanto mai vivo. Ho già avuto l’opportunità di scrivere come i politici occidentali abbiano per troppo a lungo ignorato la presenza di tali alleati “naturali” nella società iraniana, che ora non possono più farlo in modo credibile. L’Europa rischia davvero di mancare un’occasione d’oro per contribuire a un futuro migliore per il Medio Oriente, mentre le proteste continuano in forme diverse. Il miglioramento delle condizioni di vita per il popolo iraniano e la conquista di una piena libertà dovrebbero costituire un imperativo per i Paesi occidentali e una motivazione ulteriore nel delineare un orizzonte comune nei processi decisionali che prendono forma alle Nazioni Unite a New York e a Ginevra, nell’UE a Bruxelles e a Washington.

Nel corso degli anni Teheran è sempre stata freneticamente attiva nel diffondere una propaganda di odio contro la Resistenza, dipingendo il Movimento come un nido di “terroristi”: una pratica comune a tutti i regimi dittatoriali contro gli oppositori politici. A titolo di esempio, il modo in cui lo stesso argomento è stato utilizzato in Siria da Assad nel 2011, quando il sedicente Stato Islamico non era ancora nato. La verità è che il regime iraniano non ha solo tentato di delegittimare l’opposizione democratica del NCRI attraverso la diffusione di informazioni false, ma con una strategia di omicidi mirati, in atto da molti anni, ha percorso anche la via dell’eliminazione fisica di oppositori politici residenti all’estero.

La terribile storia di Camp Liberty e Campo Ashraf in Iraq è ben nota: decine di migliaia di rifugiati politici iraniani – ufficialmente sotto la protezione delle Nazioni Unite e degli Stati Uniti – sono stati ripetutamente massacrati dalle milizie inviate dai mullah. In Europa, negli ultimi vent’anni, numerosi omicidi e tentati attacchi terroristici hanno avuto luogo contro i dissidenti iraniani. Più recentemente, lo scorso marzo, alcuni agenti di Teheran sono stati arrestati in Albania mentre pianificavano l’attacco al quartier generale del PMOI/MEK, dove sono presenti oltre 2.000 membri in esilio.

A giugno, una efficace collaborazione tra le autorità di diversi Paesi europei è riuscita a sventare un attentato dinamitardo nei pressi di Parigi in occasione del raduno annuale del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana. Se l’attacco avesse avuto successo, non è immaginabile quanti dei 100.000 partecipanti sarebbero stati uccisi, o se il bilancio delle vittime avrebbe incluso anche le centinaia di rappresentanti politici di alto profilo da tutto il mondo che hanno preso parte all’evento.

Non molto tempo dopo, al termine di un’indagine condotta negli Stati Uniti un cittadino iraniano e un americano di origine iraniana sono stati incriminati per attività di spionaggio per conto di Teheran. Dalla denuncia è emerso che gli attivisti del PMOI/MEK erano l’obiettivo principale, con una elevata probabilità di attacchi terroristici nei loro confronti da condursi negli Stati Uniti.

Infine, a ottobre scorso, le autorità danesi hanno annunciato l’arresto di un potenziale assassino inviato da Teheran per eliminare gli attivisti dell’opposizione ivi residenti. Ciò ha portato il governo di Danimarca ad operare un forte richiamo alle istituzioni europee e agli altri Stati membri ponendo all’attenzione di tutti la reale pericolosità della minaccia terroristica proveniente da Teheran. Quasi contemporaneamente, dopo un’indagine approfondita sui fatti di Parigi del giugno scorso, il governo francese ha imposto unilateralmente sanzioni al Ministero dell’Intelligence iraniano e alcuni suoi ben noti agenti. Questa rappresenta senza dubbio alcuno, la giusta linea di condotta.

I dissidenti, però, non sono gli unici obiettivi delle trame del terrore di Teheran. Matteo Salvini, vice Primo Ministro e Ministro dell’Interno italiano, ha recentemente sottolineato la natura terroristica degli Hezbollah libanesi. Hezbollah, finanziato e sostenuto dalle Guardie Rivoluzionarie iraniane, opera come braccio armato del regime iraniano in tutto il mondo, con azioni in Europa e in America Latina nel corso di oltre tre decenni.

A questo punto della narrazione, rimane sempre più difficile comprendere il motivo per il cui l’UE si dimostra così titubante di fronte questa gran mole di evidenze. Parte della spiegazione senza dubbio implica una miope avidità. Molte nazioni europee e aziende con sede in Europa sono desiderose di mantenere l’accesso al petrolio iraniano e ai mercati iraniani ancora inesplorati, una sorta di nuovo “Eldorado” del tutto irreale e illusorio. Italia e Spagna, ad esempio, hanno resistito energicamente alle richieste danesi, così come agli impegni di Francia, Germania e Regno Unito di sanzionare l’Iran per le chiare violazioni della Risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che invita la Repubblica islamica ad evitare lo sviluppo e test di missili balistici e altri armi nucleari.

Ma anche un altro fattore incide pesantemente nel processo decisionale collettivo dell’UE: le politiche nei confronti di Teheran da parte dell’Occidente sono state a lungo paralizzate da un malinteso di fondo sulla reale situazione politica interna alla Repubblica Islamica. I responsabile delle politiche attuali tendono a considerare, erroneamente, stabile la tenuta del potere da parte degli Ayatollah e considerano qualsiasi tentativo di interrompere questa situazione come inefficace, se non dannoso. Ciò che invece ci mostra la realtà dei fatti è un regime sempre più vulnerabile, anno dopo anno, e questo dato non può continuare ad essere ignorato a lungo.

Fortunatamente, ad imprimere uno scossone a una così pericolosa “impasse”, contribuiscono numerose eccezioni nel panorama politico europeo, all’interno del Parlamento Europeo e dei Parlamenti di molti Stati membri, tra cui l’Italia, attraverso una serie di appelli urgenti affinché Teheran venga posta di fronte alle responsabilità del proprio atteggiamento. Trentatre Senatori italiani hanno recentemente firmato una dichiarazione di sostegno per il popolo iraniano nella loro rivolta anti-regime, elogiando la Resistenza iraniana come principale interlocutore per portare la libertà e la democrazia in Iran. Un’altra iniziativa è stata intrapresa da 310 parlamentari, esponenti di tutto l’arco politico, per chiedere al governo italiano di condannare ufficialmente i massacri nel 1988 di 30.000 prigionieri politici e di condizionare le relazioni con Teheran, a tutti i livelli, all’abolizione definitiva delle esecuzioni.

Sulla stessa linea, 197 membri del Parlamento Europeo hanno fatto appello alle istituzioni europee per sostenere un’inchiesta internazionale e indipendente sul massacro del 1988 ordinato dal regime, con il contributo personale di alcuni personaggi che detengono ancora importanti posizioni governative. Solo per citare, i Ministri di Giustizia scelti dal “moderato” Presidente Rouhani nei suoi due dirigenti altrettanto “moderati”: l’attuale Alireza Avaie e il suo predecessore Mostafa Pourmohammadi.

Giulio Terzi di Sant’Agata

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