Il messaggio del Cardinale Zen è stato ricevuto forte e chiaro dal Parlamento italiano

Il messaggio del Cardinale Zen è stato ricevuto forte e chiaro dal Parlamento italiano

La settimana scorsa Roma è tornata momentaneamente Caput Mundi nella lotta tra democrazia e diritti umani da un lato, e il modello autoritario propagato dal Partito Comunista Cinese dall’altro. Mentre il Cardinale Zen di Hong Kong è stato respinto da Papa Francesco così come l’appello del Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo a non rinnovare l’accordo segreto biennale tra il Vaticano e la Repubblica Popolare Cinese, parlamentari italiani di sei diversi partiti politici si sono riuniti con il Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella” e la Comunità Tibetana in Italia per difendere i diritti e la libertà di religione di tutti. Martedì 6 ottobre, il quotidiano di Hong Kong, Apple Daily, fondato e diretto da Jimmy Lai, ha pubblicato un articolo a firma di Laura Harth. Segue la versione in italiano:

Il messaggio del Cardinale Zen è stato ricevuto forte e chiaro dal Parlamento italiano

L’immagine solitaria del cardinale Joseph Zen in piazza San Pietro non sarà dimenticata alla leggera a Roma. In un Paese in cui la Chiesa cattolica grava ancora pesantemente sullo scenario politico quotidiano – si noti la recente controversa nomina di Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, a Presidente della Commissione per la riforma della sanità e dell’assistenza sociale alla popolazione anziana da parte del governo italiano, argomento ovviamente circondato da un pesante dibattito etico – e ogni parola pronunciata dal Papa è immediatamente utilizzata da una o dall’altra parte della politica, il suo silenzio di questi giorni sulla difficile situazione dei fedeli in Cina riverbera in tutto il paese e nelle aule del Parlamento.

La totale assenza di qualsiasi commento di condanna o appello del Pontefice nei confronti delle autorità cinesi  riguardo la repressione della libertà e della democrazia a Hong Kong, sulle atrocità – comprese le sterilizzazioni forzate, gli aborti e i chiari casi di stupro nel tentativo della assimilazione, temi in cui la Chiesa è tradizionalmente franca- contro le minoranze musulmane, sulla repressione in corso contro la popolazione tibetana e, ultimo ma non meno importante, contro la crescente persecuzione e oppressione di coloro che aderiscono alla fede cristiana all’interno della Repubblica Popolare Cinese, è in netto contrasto con l’attacco lanciato ancora una volta dall’ambasciata cinese a Roma nei confronti del Segretario di Stato americano Mike Pompeo durante la sua visita qui.

Il 1° ottobre, un giorno dopo il Simposio sulla libertà religiosa tenuto dall’Ambasciata degli Stati Uniti in Vaticano, il portavoce dell’ambasciata cinese si è scagliato contro il Segretario degli Stati Uniti con una breve nota:

“Mike Pompeo dovrebbe porre fine al suo spettacolo – Denuncia dal portavoce dell’Ambasciata cinese in Italia alle accuse del segretario di Stato Usa Pompeo sulla Cina: Il 30 settembre, durante la sua visita a Roma, il Segretario di Stato americano Pompeo ha ancora una volta diffamato il Partito Comunista Cinese, ha attaccato senza motivo le politiche interne della Cina e ha tentato di destabilizzare le relazioni tra Italia e Cina. Ci opponiamo fermamente e condanniamo tali atteggiamenti. Il signor Pompeo calunnia la Cina con la scusa di proteggere i diritti umani, la libertà di religione e la sicurezza informatica. Le sue dichiarazioni sono piene di pregiudizi ideologici e ignoranza sulla Cina. Nei 71 anni dalla costituzione della Repubblica Popolare, il popolo cinese, sotto la guida del Partito Comunista Cinese, ha seguito un percorso di sviluppo conforme alle esigenze nazionali, ottenendo risultati visibili a tutti. Oggi i cittadini cinesi, appartenenti a tutti i gruppi etnici, godono di un senso di soddisfazione, felicità e sicurezza senza precedenti. La valutazione se la situazione dei diritti umani, della libertà religiosa e della sicurezza informatica in Cina sia buona o meno spetta a chi ha il maggior diritto di intervenire in materia, ovvero 1,4 miliardi di cittadini cinesi e certamente non un certo politico straniero. In Italia vi è un proverbio che dice ‘chi semina vento, raccoglie tempesta’. Invitiamo il gracchiante signor Pompeo a porre fine al suo spettacolo il prima possibile.”

Sfortunatamente per l’ambasciata cinese, “certi politici stranieri” all’interno del parlamento italiano non hanno accolto bene la sua denuncia. Precedentemente insultati dall’ambasciatore cinese Li Junhua per aver tenuto un’audizione con Joshua Wong sulla repressione a Hong Kong, un gruppo di “irresponsabili” – come erano stati definiti da Junhua stesso lo scorso novembre, provocando una protesta inter-partitica in difesa delle prerogative parlamentari e mettendo la questione di Hong Kong saldamente all’ordine del giorno del Parlamento italiano -, ha tenuto una conferenza stampa alla Camera dei Deputati in occasione della “Giornata d’Azione Globale – Resist China”.

L’evento, avvenuto in rispetto delle restrizioni COVID-19, è stato organizzato dal Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella”, fondato dal defunto leader nonviolento Marco Pannella, un difensore secolare per tutta la vita dei diritti umani e della libertà religiosa e amico di lunga data delle minoranze religiose nel mondo. A presiedere l’evento è stato l’ex Ministro degli Esteri italiano Amb. Giulio Terzi di Sant’Agata in collaborazione con la Comunità tibetana in Italia e il deputato italiano dell’IPAC Paolo Formentini – Vicepresidente della Commissione Affari Esteri alla Camera. L’evento è stato sostenuto da parlamentari di quasi tutti i partiti politici rappresentati in Parlamento: Enrico Borghi, Matteo Luigi Bianchi, Roberto Giachetti, Alessandro Giglio Vigna, Sen. Lucio Malan, Federico Mollicone, Sen. Roberto Rampi e Lia Quartapelle Procopio.

Tutti sono stati unanimi nel condannare l’attacco al segretario Usa Pompeo e, come ha detto il deputato Federico Mollicone: “L’ambasciata cinese deve astenersi dal trattare l’Italia come una colonia cinese. Non spetta a loro rispondere per noi alle osservazioni fatte da un dignitario straniero ai suoi omologhi italiani durante una visita ufficiale in Italia”.

In effetti, le sue parole riflettono una crescente consapevolezza all’interno dello spettro politico italiano sul rapporto con la Cina. Essendosi risvegliata più tardi, rispetto a molti altri paesi occidentali, alla minaccia rappresentata dal Partito Comunista Cinese non solo per la sua stessa popolazione ma per il mondo, l’opposizione alla politica aggressiva del Drago non è iniziata veramente fino a dopo la firma del Memorandum d’intesa tra il governo italiano e quello cinese sulla Belt and Road Initiative – iniziativa di cui molte parti rimangono segrete anche agli stessi parlamentari – nel marzo 2019.

Da allora, la consapevolezza e l’opposizione al Drago sono lentamente cresciute tra i partiti, guadagnando ulteriore trazione attraverso il lancio della Alleanza Inter-Parlamentare sulla Cina alla quale hanno prontamente aderito i parlamentari italiani. Le richieste di abrogazione dall’accordo sono diventate più comuni e sono diventate più frequenti le udienze sulle atroci violazioni dei diritti umani in Cina, come dimostra l’audizione della Commissione per gli Affari Esteri, lo stesso 1° ottobre, del presidente Uigura mondiale Dolkun Isa, che, soli tre prima, era stato trattenuto per quattro ore dalla polizia antiterrorismo per impedirgli di entrare a parlare al Senato italiano. Anche il riluttante e filo-cinese Ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha dovuto parlare pubblicamente dei diritti umani e delle libertà a Hong Kong durante la visita a sorpresa del FM cinese Wang Yi lo scorso agosto, grazie all’azione coraggiosa di Nathan Law e al sostegno trasversale dei membri del Parlamento.

In tutto questo, la richiesta in Parlamento dell’attivista tibetano Nyima Dhondup durante la conferenza stampa di giovedì non è rimasta inascoltata. Egli – appartenente a quei gruppi etnici che l’ambasciata cinese ha così prontamente definito come “felici, soddisfatti e sicuri” – ha sottolineato l’oppressione decennale attraverso la quale il Partito comunista cinese ha ottenuto così tanti dei “grandi risultati” che oggi pubblicizza in tutto il mondo, e ha chiesto specificamente ai parlamentari di schierarsi insieme agli oppressi in difesa dei loro diritti più basilari: la vita e la libertà, inclusa la libertà di religione.

Quella stessa libertà di religione che il cardinale Zen è venuto coraggiosamente a difendere a Roma, per poi essere respinta da un establishment vaticano desideroso di rinnovare il suo accordo segreto – denominatore comune a tutti i rapporti con il PCC – con la RPC, che secondo il segretario di Stato vaticano Parolin “riguarda esclusivamente la nomina dei vescovi in ​​Cina”. Peccato che proprio su questo punto il cardinale Zen, fedele servitore della Chiesa, abbia cercato di raggiungere Colui che ne funge da pastore. Durante la conferenza stampa alla Camera, diversi parlamentari hanno ricordato l’immagine suggestiva dell’88enne che umilmente si è recato a Roma per cercare l’appoggio del suo Pontefice nella difesa del cuore e dell’anima della Chiesa, e hanno sottolineato – in tutto e per tutto – il loro forte sostegno al suo messaggio di difesa della libertà di religione nel mondo, inclusa la Repubblica Popolare Cinese. I parlamentari hanno chiesto al Vaticano di rinunciare al proprio silenzio e di unirsi al mondo per denunciare gli atroci crimini del Partito Comunista Cinese.

Cardinal Zen’s call may not have breached the walls of Saint Peter’s, but it has been received loud and clear within the walls of the Italian Parliament. His mission to Rome may therefore not have yielded the immediate result one may have hoped for, but his message has further invigorated Italian MPs to stand with the people of Hong Kong, Xinjiang, Tibet, Southern Mongolia, Taiwan and all those oppressed by the Communist regime.

Le richieste del cardinale Zen potrebbero non aver fatto breccia tra le mura di San Pietro, ma la sua chiamata è stata accolta forte e chiara tra le mura del Parlamento italiano. La sua missione a Roma potrebbe quindi non aver dato il risultato immediato che si poteva sperare, ma il suo messaggio ha ulteriormente rinvigorito i parlamentari italiani a schierarsi con il popolo di Hong Kong, Xinjiang, Tibet, Mongolia meridionale, Taiwan e tutti coloro che sono oppressi dal regime comunista.

Laura Harth
Attivista per i diritti umani, coordina attività con il Comitato Globale per lo Stato di diritto “Marco Pannella” . Agisce anche come Rappresentante presso le istituzioni delle Nazioni Unite per il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (NRPTT) e come collegamento regionale per l’Alleanza interparlamentare sulla Cina (IPAC)

Traduzione: Asia Jane Leigh

Leave a Reply