La Francia incarcera ancora male

La Francia incarcera ancora male

Dieci anni dopo la sua creazione, il Controllore generale dei luoghi di privazione della libertà non deve più dimostrare né la sua legittimità né la sua indipendenza.
Jean-Baptiste Jacquin per Le Monde

Strano compleanno. Mentre il Controllore generale dei luoghi di privazione della libertà festeggia i suoi primi dieci anni, la Francia conosce nuovi record di sovraffollamento nelle sue prigioni. Con 69.307 persone detenute al primo novembre, per 59.151 posti regolamentari, la situazione non favorisce il rispetto della dignità che la giustizia riconosce agli individui condannati alla reclusione e a coloro che, sempre più numerosi, incarcera ancora prima di giudicare.

La Francia imprigiona male, ancora nel 2017. Troppi detenuti sono condannati all’ozio totale in una promiscuità tanto più scioccante quanto il fatto che i luoghi di detenzione siano a volte in uno stato molto degradato. Quante volte il Controllore generale ha denunciato violazioni di diritti fondamentali subite da persone private della libertà? Previsto prima in prigione e nei locali di custodia della gendarmeria e nelle stazioni di polizia, il controllo è stato poi esteso agli ospedali psichiatrici e ai centri di detenzione amministrativa per stranieri.

La squadra di «controllori», formata da professionisti di diversi ambienti (medici, commissari, educatori, magistrati, ecc.), offre uno sguardo esterno multidisciplinare. Dedicando due settimane al mese a queste visite, vengono ispezionati 150 luoghi di detenzione all’anno. Secondo Didier Fassin, sociologo, professore all’Università di Princeton, i rapporti stilati sulle visite costituiscono «una biblioteca di conoscenza delle illegalità dello Stato»,

Perciò, questo decennio non è un fallimento, finora. Il convegno «La legge del 30 ottobre 2007, dieci anni dopo», che si è tenuto il 17 e il 18 novembre al Senato e all’Ordine degli Avvocati a Parigi, ha dato la misura del cammino percorso. È stato solo tardivamente e sotto la pressione internazionale che la Francia ha creato il meccanismo nazionale di prevenzione previsto dal protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottato nel 2002 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Oggi, il meccanismo scelto ed il metodo con cui Jean-Marie Delarue, primo Controllore generale, e Adeline Hazan, che gli è succeduta nel 2014, hanno guidato questa autorità amministrativa indipendente vengono portati come esempio. «È un’istituzione di cui nel complesso dobbiamo essere fieri», afferma André Potocki, giudice francese della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La Corte di Strasburgo non manca, pertanto, di condannare la Francia per le condizioni di detenzione in alcuni istituti, e c’è il rischio di una «sentenza pilota» che obbligherà il Paese a prendere provvedimenti per regolarizzare la popolazione carceraria.

Il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa ha diradato le visite nelle prigioni francesi, tenuto conto della qualità del Controllore francese e delle informazioni che si scambiano. Il lavoro congiunto del Controllore, delle giurisdizioni amministrative, della CEDU e delle associazioni come L’Osservatorio internazionale delle prigioni o gli avvocati ha contribuito a smuovere le cose a Baumettes, a Marsiglia, oppure alla casa di reclusione di Troyes.

Non tutte le raccomandazioni di questa istituzione però producono risultati. Adeline Hazan si è detta «particolarmente indignata per il fatto che le donne partoriscano ancora in presenza della polizia penitenziaria, talvolta persino ammanettate». La Francia si distingue anche per un eccessivo ricorso all’isolamento temporaneo, dove il tasso dei suicidi è molto superiore al resto della detenzione. Un detenuto può esservi confinato per un massimo di trenta giorni nonostante il Consiglio d’Europa raccomandi di limitarlo a quattordici per i casi più gravi.

In riferimento all’ospedale psichiatrico, il rapporto 2016 della Hazan sulle pratiche di isolamento e contenzione di pazienti «che pregiudicano gravemente i diritti fondamentali e la cui efficacia terapeutica non è dimostrata», non è estraneo alla circolare ministeriale del 29 marzo 2017 «relativa alla politica di riduzione delle pratiche di isolamento e di contenimento». Ma anche lì, mentre il numero di ricoveri senza consenso aumenta regolarmente, restano da fare dei progressi perché «i malati, oggetto di cure, diventino soggetti con diritti».

Dieci anni dopo la sua creazione, il Controllore generale non deve più dimostrare né la sua legittimità né la sua indipendenza. Se i sindacati di vigilanza hanno ancora difficoltà ad accettare questo controllo intrusivo, l’istituzione penitenziaria sa che le condizioni di lavoro degli uni sono intimamente legate alle condizioni di detenzione degli altri. Al di là della denuncia delle mancanze e delle violazioni dei diritti, il lavoro di questa autorità amministrativa potrebbe senza dubbio essere una leva per il cambiamento. Per uno scambio di informazioni più fluido tra il Controllore e le amministrazioni interessate.

Il penitenziario non è responsabile né del soprannumero dei detenuti – sono i giudici che pronunciano le pene – né dell’evidente mancanza di mezzi di cui dispone, sono i parlamentari che votano il budget. Il Controllore generale e l’amministrazione penitenziaria dovrebbero essere alleati perché il paese compia una vera riflessione sulla politica carceraria e la persegua. Per fare questo occorre stabilire una relazione di fiducia o almeno di reciproco rispetto. È sintomatico che né il direttore dell’amministrazione penitenziaria, né i suoi collaboratori siano stati invitati a questo convegno. Resta ancora del cammino da fare.

Traduzione di Ilaria Saltarelli

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