L’UE deve prendere atto della condotta nefasta dell’Iran

L’UE deve prendere atto della condotta nefasta dell’Iran

A luglio, gli attivisti iraniani per la democrazia hanno tenuto una conferenza, una delle tante che si è concentrata sulla “richiesta di giustizia” per le vittime di un massacro compiuto tre decenni fa contro prigionieri politici. Per alcuni lettori occidentali può essere difficile immaginare che passino più di 30 anni senza che nessuno venga ritenuto responsabile dell’omicidio di 30.000 prigionieri politici.

Ma è proprio questa la situazione che sta dando moto a queste richieste di giustizia. E’ una situazione che persiste in gran parte a causa del silenzio dei governi occidentali e della lunga serie di brutali leader iraniani che, beneficiando delle politiche di pacificazione, hanno incoraggiato Teheran nella sua nefasta condotta regionale arrivando persino a prendere in ostaggio cittadini con doppia cittadinanza, cittadini europei inclusi.

Nella conferenza di luglio, Maryam Rajavi, presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI), ha spiegato che la comunità internazionale era stata informata del massacro mentre era ancora nelle sue prime fasi. La resistenza iraniana, ha affermato Maryam, ha sollecitato una risposta in particolare da parte dei governi occidentali, raccogliendo solo silenzio.

Anzi, la signora Rajavi ha fatto presente come funzionari europei e americani avessero iniziato a garantire l’impunità alle loro controparti iraniane già all’inizio degli anni ’80. Ha aggiunto che i crimini del regime “hanno raggiunto nuovi traguardi durante il massacro del 1988 e sono continuati fino ad oggi”. Nel frattempo il CNRI ha continuato i suoi sforzi per focalizzare l’attenzione internazionale su un crimine contro l’umanità non segnalato e su una vasta gamma di minori violazioni dei diritti umani.

Il mondo avrebbe dovuto diventare sempre più ricettivo a quel messaggio mentre assisteva alla condotta pubblica del regime iraniano. Ma in qualche modo, quella condotta non ha mai spezzato l’ottimismo mal orientato del mondo occidentale riguardo al potenziale di riforma politica all’interno della Repubblica Islamica. Quell’ottimismo forse è tornato ad esser visibile solo dopo l’elezione del presidente Hassan Rouhani nel 2013, che ha aperto la strada alla firma dell’accordo sul nucleare iraniano e al Piano d’azione congiunto globale due anni dopo.

Non è chiaro se le nazioni europee, così orgogliose di difendere e sostenere i diritti umani, ritengano che una presidenza “moderata” possa condurre a indagini interne sui crimini rimasti impuniti così a lungo. Sembra che con così tanto tempo trascorso dal massacro del 1988, i politici europei abbiano deciso che non fosse rilevante per la politica moderna del regime iraniano.

Ovviamente, quest’ultima visione riduce gravemente l’immagine dell’Europa come impegnata per i diritti umani. Ignorando inoltre il fatto che il massacro rimane ovviamente rilevante per i sopravvissuti e per i parenti delle vittime. È improbabile che mettano da parte le loro richieste, soprattutto quando una cospirazione del silenzio li deruba sistematicamente dell’opportunità di andare avanti o del minimo senso di giustizia.

Come dimostrato dal duro lavoro del CNRI, il regime iraniano insabbia ogni anni di più le prove dei crimini passati. Nel 1988 furono create numerose fosse comuni, localizzate poi dagli attivisti negli anni successivi, ma sono state pavimentate o vi è stato edificato qualcosa prima che queste potessero essere ispezionate e utilizzate per dimostrare la portata del massacro. Non che tali ispezioni siano mai state prese in considerazione pubblicamente, nonostante gli innumerevoli sforzi del CNRI e di altri per avere informazioni da riferire sul massacro alla Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.

Come è stato giustamente sottolineato in una riunione presso il quartier generale delle Nazioni Unite a Ginevra il 20 settembre (in cui ero un relatore), l’indolenza dei politici europei mostra un’insensibile disprezzo per coloro che ne sono colpiti.

Sia Khamenei che Rouhani si impegnano a portare avanti l’eredità del massacro del 1988, che colpì principalmente l’Organizzazione del Popolo Mojahedin dell’Iran (PMOI/MEK) e cercò di sradicare qualsiasi seria sfida al sistema dittatoriale che stava ancora lottando per assicurarsi la sua presa di potere. Nel marzo di quest’anno, Khamenei ha nominato uno dei principali responsabili del massacro, Ebrahim Raisi, come nuovo capo della magistratura. E Rouhani ha nominato già due volte membri delle “commissioni di morte” del 1988 per la carica di Ministro della Giustizia.

I leader europei dovrebbero rendersi conto che o la pressione internazionale porterà a galla la responsabilità di coloro che hanno ucciso in massa i prigionieri politici nel 1988, oppure gli omicidi rimarranno impuniti e le vittime resteranno nascoste fino a quando un nuovo governo sostituirà l’attuale governo iraniano.

Se le nazioni d’Europa si accontentano di aspettare, allora devono capire che stanno implicitamente chiudendo un occhio su tutti quei crimini che seguono uno schema stabilito nel periodo di preparazione al 1988. Probabilmente, niente ha incoraggiato il terrorismo interno al regime come la relativa mancanza di una protesta internazionale per quello specifico dramma nel passato del regime. Se i politici europei non porranno rimedio a tutto ciò, non potranno più affermare seriamente di essere campioni dei diritti umani.

Quel titolo spetterebbe invece al CNRI e ai vari gruppi internazionali per i diritti umani che si sono uniti ad esso per allertare della repressione violenta che colpisce l’Iran da oltre 30 anni. È chiaro che i loro impegno proseguirà anche se l’unico punto di svolta sarebbe il rovesciamento del regime iraniano. Sarebbe un inizio molto negativo per le relazioni con un nuovo Iran democratico se nessuno dei futuri partner internazionali avesse ascoltato la richiesta di giustizia per tutti coloro che sono morti per mano di un sistema che ha negato la democrazia al popolo iraniano per così tanto tempo.

Giulio Terzi di Sant’Agata
Ambasciatore, già Ministro degli Esteri, Presidente del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”

L’articolo originale sul sito di Real Clear Defense

Traduzione: Asia Jane Leigh

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