N 66 – 24/2/2020

N 66 – 24/2/2020

FOTO DELLA SETTIMANA – Ahmedabad, 20 febbraio 2020: un cartellone annuncia l’incontro tra il Primo Ministro indiano Narendra Modi e il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump in cui si legge “la democrazia più vecchia del mondo incontra la più grande democrazia del mondo”

 

PRIMO PIANO

Prima Assemblea del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”
Il 29 febbraio e il 1 marzo 2020, a Palermo, presso la sede dell’Assemblea Regionale Siciliana, Palazzo dei Normanni, si terrà la PrimaAssemblea del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”. L’organizzazione, fondata a marzo 2016 dal leader radicale Marco Pannella, a cui è stata intitolata subito dopo la sua scomparsa nel maggio 2016, è composta da 15 Membri Onorari, provenienti da tutti i continenti, i cui percorsi politici e professionali si sono “incrociati” con quello di Marco Pannella e del Partito Radicale, nel solco del comune impegno e per la protezione e promozione dei diritti fondamentali. Questo il programma dell’evento.

L’avvento dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari e nel welfare
L’uso dell’intelligenza artificiale (IA) è un tema di grande attualità che sta avendo un profondo impatto sulla nostra società e sulle nostre vite. Come riporta l’articolo del New York Times La Libertà Appesa agli Algoritmi, l’impiego di strumenti di IA nei settori della giustizia e della sicurezza pubblica è sempre più diffuso tra gli Stati, europei e non. A tale proposito, Federica Donati ha rivolto alcune domande Nicolas Kayser-Bril reporter ad AlgorithmWatch, un’organizzazione no-profit con sede a Berlino, per indagare meglio l’attuale contesto, il futuro e i problemi più rilevanti che si prospettano in tale ambito.

Uiguri, non si dica “non sapevamo”. Il monito di Laura Harth
Questa settimana c’è stata la terza fuga di documenti del governo cinese che testimoniano il sistema di sorveglianza orwelliana e la detenzione forzata di milioni di persone appartenenti a minoranze etniche e religiose nella Regione occidentale dello Xinjiang. Ad oggi chi ha responsabilità istituzionale non potrà fingere di non esserne stato a conoscenza e dovrà assumersi la responsabilità non solo di aver taciuto, ma di aver collaborato con il Partito comunista cinese per metterlo sotto il tappeto. Il monito di Laura Harth per Formiche.net

Si è da poco celebrata la Giornata della Memoria, accompagnata in Italia con cori sempre più alti sul pericolo odierno fascista. Nel frattempo aumentano le prove schiaccianti sui crimini contro l’umanità del regime nazi-comunista del Partito comunista cinese contro le sue minoranze etniche e religiose, sorvegliate, detenute, e sottoposte a torture in modo massiccio. Ma buona parte della politica italiana, proprio quella che grida al ritorno del fascismo in Italia, tace e accorre a stringere la mano ai rappresentanti di quel regime. Sappiano che quando la storia giudicherà, non potranno fingere di non aver saputo.

Sam Rainsy: la Cambogia è l’anello debole della lotta globale al coronavirus
All’inizio del 1984, le autorità vietnamite, che avevano occupato la Cambogia dopo la caduta dei Khmer rossi nel 1979, decisero di costruire un muro per stabilire il confine tra la Cambogia e la Tailandia. Il reclutamento di civili per costruire il muro, noto come “Piano K5”, iniziò nel settembre 1984. La costruzione prevedeva lo sgombero di una striscia di terra larga circa quattro chilometri lungo il confine, lo scavo di trincee, la creazione di dighe, la costruzione di recinzioni di bambù fiancheggiate da filo spinato e campi minati, e la costruzione di una strada per il transito dei soldati.

Il primo gruppo di lavoratori fu decimato dalla malaria. Il governo accusò il maltempo e la scarsa igiene degli operai. Hun Sen, che divenne Primo Ministro della Cambogia nel 1985, ignorò i rischi, affermando che la malattia era facile da curare. Il numero di decessi da malaria durante la realizzazione del K5 fu stimato tra 25.000 e 30.000.

Trump sbarca in India, l’abbraccio col premier Modi
36 ore di visita di Stato e una stretta tra i due che sa di alleanza, di amicizia vera- scrive Luca Marfé su Il Mattino. Il presidente americano ha twittato in hindi ancora a bordo dell’Air Force One, il primo ministro indiano gli ha risposto con un “Benvenuto” che sa di Storia. Un lungo comizio a due, con Modi che quasi striglia il suo popolo, esortandolo a osannare “la persona più conosciuta del pianeta”, “l’uomo che non ha bisogno di presentazioni”.

Immediata e suggestiva la tappa presso l’Ashram che è stato la casa del Mahatma Gandhi per più di dieci anni e al limite dell’incredibile le immagini sue e di Melania a piedi scalzi e con il collo fasciato da una preziosissima stola di seta locale. Il raduno “Namasté Trump” è un colossale omaggio che Modi offre al suo ospite, srotolando il tappeto rosso delle grandi occasioni nella riverenza e nella speranza di rafforzare un laccio evidentemente strategico.

L’India, infatti, è sì un gigante, ma resta alle prese con mille problemi, tra cui un’economia che prometteva miracoli “cinesi” o addirittura maggiori e che invece si è fermata, un quadro igienico-sanitario drammatico e già da tempo al collasso, una resistenza politica interna feroce e riesplosa proprio in queste ore per le strade di una Nuova Delhi scossa e rotta.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, sono una superpotenza. Tutt’altro che un dettaglio, quando c’è da stringere mani e firmare accordi. Trump vuole un patto sul commercio, si vanta a scena aperta delle migliori armi del mondo e dei suoi clienti indiani, rivendica infine collaborazione e ruolo nella lotta al terrorismo di matrice islamica. Fianco a fianco, insomma. Al punto che i media si divertono ad etichettare Modi come il “Trump indiano”. Ma questa è una pratica già vista, quasi inflazionata da ogni incontro di successo (è stato scritto anche di Boris Johnson prima della frattura sul fronte 5G, ndr).

IRAN E MEDIO ORIENTE

UANI accoglie con favore la decisione del GAFI di inserire l’Iran nella lista nera
Il 21 febbraio il Presidente di United Against Nuclear Iran, Sen. Lieberman e il Presidente esecutivo, Amb. Wallace hanno rilasciato una dichiarazione elogiando la Task Force Finanziaria, con sede a Parigi, per aver ripristinato l’Iran nella “lista nera” (dove figura anche la Corea del Nord) per il mancato rispetto delle regole create per proteggere il sistema bancario globale dai finanziamenti al terrorismo e contro la proliferazione illecita di armi di distruzione di massa.

La decisione odierna avrà ripercussioni significative su tutti i regimi canaglia e imprime una nuova spinta alla campagna di massima pressione dell’amministrazione Trump. Il finanziamento al terrorismo globale o a programmi nucleari illeciti non è accettabile e nessuno Stato deve pensare di poterlo fare mantenendo l’accesso al sistema bancario globale. Per questo UANI accoglie con favore questa decisione e invita la Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication (SWIFT) a seguire chiudendo le sue relazioni con tutte le banche e le istituzioni finanziarie iraniane attualmente collegate a tale rete.

Esito delle “elezioni” in Iran
Le “elezioni” del 21 febbraio per rinnovare il parlamento iraniano hanno registrato la più bassa affluenza dalla rivoluzione del 1979, con il 42,6% degli elettori ammessi a votare. Il Consiglio dei Guardiani aveva escluso dalla competizione migliaia di contendenti, molti dei quali “riformatori”.

Ad aver vinto sono i più intransigenti che hanno sfruttato un discorso incentrato sulle sanzioni statunitensi. Il leader supremo Ayatollah Ali Khamenei ha detto che l’affluenza di venerdì era sbalorditiva, sostenendo che i nemici dell’Iran avrebbero cercato di impedire alle persone di andare a votare esagerando i rischi connessi con l’epidemia di coronavirus.

“La propaganda negativa sul virus è iniziata un paio di mesi fa ed è cresciuta prima delle elezioni. I media stranieri non hanno perso un momento per dissuadere gli elettori iraniani dal recarsi alle urne ricorrendo alla scusa della malattia”, ha detto Khamanei secondo il suo sito web ufficiale Khamenei.ir.

Cifre discordanti sui decessi in Iran da coronavirus
Secondo quanto riferito da un legislatore il 24 febbraio, sono circa 50 le persone morte nella città iraniana di Qom a causa del nuovo coronavirus questo mese. Il Ministero della Sanità ha però dichiarato che i decessi ad oggi sono 12 morti in tuto il Paese. La cifra è stata riportata dal membro del parlamento per Qom, Ahmad Amiriabadi Farahani, ed è significativamente più alta rispetto al numero di casi di contagio confermati dal Ministero, cioè 61.

L’UE aumenta gli sforzi per salvare l’accordo sul nucleare
L’Unione Europea sta intensificando il suo impegno per salvare l’accordo nucleare del 2015 con due diplomatici di due Stati membri che visiteranno Teheran questo fine settimana per dare seguito al piano di Bruxelles. I Ministri degli Esteri olandese e austriaco discuteranno con membri del governo iraniano possibili soluzioni all’attuale situazione di stallo. Il portavoce del Ministero degli Esteri iraniano, Abbas Mousavi, ha dichiarato dopo aver incontrato Stef Blok dei Paesi Bassi e l’austriaco Alexander Schallenberg, che l’Iran ribadirà le sue critiche alla “inazione dell’Europa verso gli impegni assunti nell’ambito dell’accordo nucleare e verso l’approccio passivo rispetto all’azione extraterritoriale degli Stati Uniti”, ha riferito l’agenzia iraniana ISNA.

Tre uomini condannati a morte dopo le manifestazioni di novembre a Teheran
Il 23 febbraio una corte rivoluzionaria a Teheran ha condannato a morte tre uomini, Amir Hossein Moradi, Mohammad Rajabi e Saeed Tamjidi, arrestati durante le proteste antigovernative dello scorso novembre. I tre sono stati condannati a porte chiuse dal noto giudice ultraconservatore, Abolqassem Salavati.

Oltre alla pena di morte, Salavati ha condannato Moradi a 15 anni di carcere e 74 frustate con l’accusa di “rapina a mano armata aggravata” e di un anno di reclusione per “aver attraversato il confine illegalmente”. Secondo l’agenzia Human Rights Activists News Agency (HRANA) gli gli altri due condannati, Rajabi, 26 anni e Tamjidi, 28 anni, hanno subito torture durante la detenzione e sono stati costretti a confessare una serie di crimini dettati dai loro interrogatori. I tre subiranno un altro processo il 3 marzo 2019, ma gli avvocati affermano che le sentenze sono definitive.

Il Relatore ONU sull’Iran si dichiara scioccato per la violenza contro i manifestanti iraniani
Il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Iran, Javaid Rehman, nel suo ultimo rapporto pubblicato il 19 febbraio si è concentrato sulle proteste anti-regime di metà novembre che hanno scosso la Repubblica islamica per quattro giorni. Rehman si dice “scioccato” per il numero di morti, ferite e testimonianze di maltrattamenti da parte di persone detenute durante le proteste del novembre 2019.

“I detenuti vengono torturati o subiscono altre forme di maltrattamenti, spesso per estrarre confessioni forzate. Ci sono anche segnalazioni di casi in cui le cure mediche sono state negate, anche per lesioni causate dall’uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza. Alcuni detenuti sono stati tenuti in isolamento o sottoposti a sparizione forzata”, si legge nel rapporto di Rehman.

I documenti e i dati ottenuti da Radio Farda mostrano che le forze di sicurezza e i militari della Repubblica islamica hanno ucciso centinaia di manifestanti, arrestandone almeno 8.600 durante i disordini di quattro giorni in tutto l’Iran.

Shirin Ebadi: la rivoluzione di 41 anni fa in Iran ha tradito le donne
Scrive Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace, che 41 anni fa, prima di salire al potere, il primo leader supremo della repubblica, l’Ayatollah Khomeini, tenne a sottolineare l’importanza dell’uguaglianza tra tutti gli iraniani, affermando che musulmani, non musulmani, uomini e donne sarebbero stati liberi e che avrebbero uguali diritti nell’Iran che voleva costruire. Non è andata così come sappiamo. Due anni dopo, divenne obbligatorio per le donne indossare una sorta di cappotto per coprire il corpo e una sciarpa per coprire i capelli quando escono di casa. Le iraniane non sono contro il velo, sono contro il fatto che sia obbligatorio.

Pompeo incontra il nuovo Sultano dell’Oman
Il 21 febbraio il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha incontrato il nuovo sovrano dell’Oman, Paese che ha stretti legami sia con Washington che Teheran e che in passato ha fornito un canale per i colloqui tra le due parti. La visita è stata organizzare per realizzare l’incontro tra uno dei massimi esponenti del governo degli Stati Uniti e il Sultano Haitham bin Tariq Al Said, il successore del sovrano di lunga data Sultan Qaboos bin Said, morto il 10 gennaio dopo oltre 50 anni al potere.

Il nuovo Sultano ha annunciato a Pompeo che la politica estera portata avanti dal suo predecessore. L’Oman manterrà la linea della non-interferenza, non si alleerà né all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti nella guerra in Yemen e manterrà aperto il confine con il Paese sempre più distrutto da 5 anni di conflitto. L’Oman manterrà legami con l’Iran e con Israele, di cui ha ospitato il Primo Ministro Benjamin Netanyahu in una visita a sorpresa alla fine del 2018.

L’Iraq chiude le frontiere con l’Iran a causa del coronavirus
Dopo che le autorità iraniane hanno annunciato nuovi casi di contagio da coronavirus, il governo iracheno ha prolungato il divieto d’ingresso nel Paese per tutti i non iracheni provenienti dall’Iran. Il 20 febbraio Baghdad aveva posto un divieto di accesso di tre giorni per chiunque provenisse dall’Iran. Dopo l’annuncio del prolungamento, il Primo ministro Adel Abdul Mahdi non ha specificato fino a quando. I vicini Iraq e Iran condividono stretti legami religiosi, politici e commerciali. L’Iran ha sospeso i viaggi di pellegrinaggio religioso in Iraq, mentre Iraqi Airways ha sospeso i voli per l’Iran. Il Ministero della Salute iracheno ha dichiarato di non aver rilevato casi nel Paese.

Il Regno Unito conferma il sostegno al Libano
Il 18 febbraio, incontrando il Presidente del Libano Michel Aoun, il generale Sir John Lorimer, consigliere del Ministero della Difesa britannico per gli affari del Medio Oriente, ha ribadito il sostegno del suo Paese al Libano ancora alle prese con la crisi finanziaria. Lorimer ha affermato che la il supporto della Gran Bretagna continuerà “in particolare per l’esercito e le sue forze di sicurezza”. L’ambasciatore britannico in Libano, Chris Rampling, ha inoltre affermato che il Regno Unito continuerà a distinguere tra Libano e Hezbollah e che la designazione di Londra di quest’ultimo come gruppo terroristico non avrà alcun impatto sui suoi rapporti con Beirut.

Libano verso il default del debito per la prima volta nella sua storia
Il 9 marzo, il Libano non riuscirà a saldare il pagamento di un Eurobond da 1,2 miliardi di dollari, e non è ancora chiaro se il governo opterà per una ristrutturazione del debito o una posticipazione. Dopo una serie di incontri con alcuni obbligazionisti, il Ministro delle Finanze Ghazi Wazni starebbe insistendo per un default ordinato.

Il governo esaminerà anche le proposte formulate da aziende di consulenza finanziaria e legale in merito alle opzioni sulle scadenze Eurobond del 2020 e il portafoglio complessivo di Eurobond. Le aziende che hanno fatto appello per la posizione finora sono Dechert, Cleary Gottlieb e White and Case. Il Ministero delle Finanze ha dichiarato di aver richiesto una consulenza finanziaria per una potenziale ristrutturazione del debito a 12 aziende: Lazard, Rothschild & Co., Guggenheim Partners, Houlihan Lokey, Citibank JP Morgan, PJT Partners, Newstate Partners, Standard Chartered, GSA Capital Partners, Deutsche Bank e White Oak.

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