N 67 – 2/3/2020

N 67 – 2/3/2020

FOTO DELLA SETTIMANA – Pazarkule, 29 febbraio 2020: migranti ammassati al confine tra Turchia e Grecia nella zona cuscinetto nel distretto di Edirne

 

PRIMO PIANO

Annullata l’Assemblea del Global Committee for the Rule of Law
A causa dell’emergenza Coronavirus abbiamo dovuto prendere la tanto dolorosa quanto inaspettata decisione di annullare la Prima Assembla del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella” che avrebbe dovuto svolgersi sabato 29 febbraio e domenica 1° marzo a Palazzo dei Normanni a Palermo, presso la sede dell’Assemblea Regionale Siciliana. E’ un imprevisto davvero sfortunato che però non diminuisce la nostra determinazione nel portare avanti la battaglia per il riconoscimento del diritto alla conoscenza. Comunicheremo appena possibile se e quando l’evento verrà organizzato nuovamente e tutte le informazioni per seguire i lavori.

La Norvegia sospende un accordo sulla giustizia con la Polonia
Igor Tuleya, giudice presso un tribunale distrettuale di Varsavia, una delle icone di resistenza contro la politicizzazione delle corti polacche, è stato accusato di abuso di potere. La procura nazionale ha richiesto la revoca della sua immunità e ciò significa che molto probabilmente verrà rimosso dall’attività giudiziaria per molti anni.

A seguito di questa notizia, il 27 febbraio, il Segretario del Ministero degli Affari esteri norvegese, Audun Halvorsen, ha annunciato che la Norvegia interromperà la cooperazione con il governo polacco sospendendo i finanziamenti per un valore di circa 300 milioni di PLN (quasi 70 milioni di euro). Il portavoce norvegese ha diramato un comunicato in cui si legge: “Alla luce dei recenti eventi in Polonia, le autorità norvegesi non firmeranno l’accordo con la Polonia nel settore della giustizia e i finanziamenti relativi. E’ un segnale alle autorità polacche, che dimostra la preoccupazione del governo norvegese per lo stato di diritto e l’indipendenza dei tribunali in Polonia”.

La Polonia è il principale beneficiario dei finanziamenti nell’ambito del regime di sovvenzioni provenienti dalla Norvegia, con una dotazione di circa 8 miliardi di corone norvegesi (770 milioni di euro) per l’attuale periodo di finanziamento 2014-2021, suddivisa tra una serie di programmi diversi. Il programma previsto si svolge lungo tre assi principali: cooperazione sul lavoro negli istituti detentivi, cooperazione per combattere la violenza domestica e cooperazione giudiziaria.

“Riteniamo sia ancora opportuno continuare la nostra cooperazione con la Polonia ma a causa delle nostre preoccupazioni sugli sviluppi dello stato di diritto in Polonia, valuteremo continuamente la situazione e le eventuali conseguenze per il resto della nostra cooperazione con la Polonia nell’ambito del regime di sovvenzioni, anche in fase di attuazione”, ha dichiarato Halvorsen.

Lavoratori uiguri impiegati con la forza nelle fabbriche cinesi
Un rapporto australiano rivela i contenuti di un programma statale che fornisce i lavoratori dello Xinjiang a subappaltatori di grandi marchi internazionali in tutto il Paese. Sarebbero decine i subappaltatori cinesi di grandi marchi internazionali che impiegano lavoratori appartenenti alla minoranza uigura. Secondo un rapporto dell’Australian Strategic Policy Institute (ASPI), pubblicato il 1° marzo, questi lavoratori sono stati reclutati nell’ambito di un programma statale attivo nella regione autonoma dello Xinjiang in condizioni che “equivalgono ai lavori forzati”.

Sarebbero almeno 80.000 gli uiguri impiegati in fabbriche cinesi, dove operano catene di approvvigionamento di grandi aziende come Nike, Fila e Apple, tra il 2017 e il 2019. Il programma si chiama “Yuan Jiang” (Aiuta lo Xinjiang) ed è solo l’ultimo di una lunga lista di iniziative volte a integrare ulteriormente, in nome dello sviluppo economico, un popolo di lingua turca e musulmana che ha vissuto la repressione da parte del regime cinese della propria religione, cultura e le sue aspirazioni per una maggiore autonomia politica.

USA 2020, vigilia di Super Tuesday: Buttigieg fuori, Sanders favorito
Colpo di scena alla vigilia del “super martedì” elettorale dei democratici: l’ex sindaco di South Bend, classe 1982, si ritira e libera il campo al senatore per lo Stato del Vermont, sempre più icona anti Trump. Fine della corsa, dunque. Per qualcuno addirittura fine della Storia, che un segmento vasto della sinistra a stelle e strisce sperava Pete potesse scrivere.Si vota in 14 Stati, si sceglie un terzo dei delegati. Fondamentali nei mesi a venire per sostenere e di conseguenza decidere il candidato alla Casa Bianca 2020. Sanders è avanti quasi ovunque, Biden continua a essere in affanno e a tratti persino inconsistente, Bloomberg è atteso dal suo primo vero test e scende finalmente al centro dell’arena. Ecco cosa dicono i sondaggi:

California: Sanders 35%, Warren 14%, Biden 13%, Bloomberg 12%;
Texas: Sanders 29%, Biden 20%, Bloomberg 18%, Warren 15%.

Sondaggi che, come le elezioni del 2016 avrebbero dovuto oramai insegnare, vanno letti e presi con una certa prudenza. Fatto sta che se Sanders dovesse fare il doppio colpo California-Texas, specie se con un margine ampio, potrebbe allungare il passo al punto da risultare già imprendibile. Nel frattempo, mentre Trump si gode le sue praterie elettorali ma teme gli effetti del coronavirus sugli Stati Uniti (e sulle presidenziali di novembre), rispunta anche Obama. Dopo la vittoria di Biden in South Carolina, infatti, chiama il suo ex numero due per congratularsi. Ma, ed è un “ma” pesantissimo, dichiara pure di non voler sostenere né lui né nessun altro. Perlomeno non adesso. Non in un momento che considera “troppo delicato per cambiare il vento della politica”. Tutto pronto, insomma. Tutti gli occhi del mondo puntati sul “super martedì” dell’America.

IRAN E MEDIO ORIENTE

Accordo commerciale umanitario svizzero contro il Coronavirus in Iran
United Against Nuclear Iran (UANI) ha elogiato l’amministrazione Trump e il governo svizzero per la messa a punto del Swiss Humanitarian Trade Arrangement (SHTA). Il senatore e presidente di UANI Joseph I. Lieberman e l’ambasciatore CEO Mark D. Wallace hanno dichiarato in una nota il 28 febbraio:

“I governi di Stati Uniti e Svizzera hanno operato con successo per raggiungere l’accordo SHTA per combattere l’epidemia di coronavirus. La campagna di massima pressione sulle autorità iraniane può avere successo solo se permette la consegna di beni e servizi che soddisfino le esigenze umanitarie della popolazione iraniana e lo SHTA è un meccanismo importante per raggiungere questo obiettivo proprio quando il coronavirus va diffondendosi in tutto l’Iran.

Il regime iraniano ha una lunga storia di diversione illecita di prodotti umanitari, con il capo dello staff del presidente Rouhani che ha rivelato la scorsa estate che circa 1,12 miliardi di dollari assegnati per l’importazione di beni essenziali sono scomparsi. Se attuato correttamente, l’SHTA ha il potenziale di assistere efficacemente il popolo iraniano. Incoraggiamo tutte le parti interessate a trarre vantaggio da questo meccanismo, per il bene di tutte le persone colpite dal coronavirus”.

Coronavirus uccide un membro del Consiglio del leader supremo Khamenei
Un membro di un consiglio del leader supremo iraniano, l’Ayatollah Khamanei, è morto il 2 marzo dopo essersi ammalato del nuovo coronavirus. Il consigliere Mohammad Mirmohammadi è morto in un ospedale di Teheran ed aveva 71 anni. Diventa il 66esimo decesso nel Paese in cui si sono registrati 1501 casi. L’Iran ha il bilancio delle vittime più alto al mondo dopo la Cina.

Dopo aver minimizzato il coronavirus la settimana scorsa, le autorità iraniane hanno annunciato una mobilitazione dell’esercito e di volontari per un massimo di 300.000 unità. Il tasso di decessi in Iran, attualmente intorno al 4,4%, è molto più elevato rispetto ad altri paesi, il che lascia pensare che il numero di contagi in quel Paese potrebbe essere molto più alto di quanto indicano i dati attuali.

Detenuta anglo-iraniana teme per la sua vita
Nazanin Zaghari-Ratcliffe, una cittadina con doppia cittadinanza iraniano-britannica incarcerata a Teheran da tre anni, è convinta di aver contratto il coronavirus. Lo ha detto il marito dopo aver saputo dalla moglie 41enne che il personale carcerario si rifiuta di testarla. In una telefonata il 29 febbraio, la donna avrebbe detto la marito di non sentirsi bene e di avere “uno strano raffreddore” aggiungendo che i sintomi includevano mal di gola, febbre e difficoltà respiratorie. Secondo l’ONG per i diritti umani Iran Human Rights Monitor, di base in Gran Bretagna, i decessi segnalati in Iran per coronavirus sarebbero almeno 650, non 43 come annunciato dal governo.

Preoccupazione per il destino dell’accordo nucleare iraniano
Gli Stati che rimangono parte dell’accordo nucleare con l’Iran hanno espresso “serie preoccupazioni” il 27 febbraio riguardo alle violazioni da parte di Teheran. Per questo si intensifica l’impegno per trovare una soluzione. Wang Qun, Ambasciatore cinese presso le Nazioni Unite a Vienna, ha detto ai giornalisti dopo alcuni colloqui tra le parti dell’accordo, incluso l’Iran, che “è una corsa contro il tempo per trovare una soluzione specifica in grado di salvaguardare” l’accordo del 2015 noto come JCPOA.

La Russia si ritira da un progetto ferroviario con l’Iran
Le ferrovie russe di proprietà statale si sono ritirate da un progetto di circa 1,3 miliardi di dollari per l’elettrificazione di una linea ferroviaria tra Garmsar, in Iran e Ince Burun, in Turchia. La compagnia russa ha rinunciato al progetto a causa della pressione delle sanzioni statunitensi imposte sull’Iran. Lo ha riferito l’agenzia Interfax il 25 febbraio. Il progetto prevedeva l’elettrificazione di 495 km di linea, di cui 203 km attraverso il terreno montuoso, con 31 stazioni e 95 tunnel. La linea ferroviaria è stata progettata per collegare la Turchia attraverso l’Iran al Turkmenistan e al Kazakistan.

Secondo il contratto firmato dal CEO delle ferrovie russe, Oleg Belozerov, e dal Ministro iraniano delle Infrastrutture, Abbas Akhoundi, il governo russo si era impegnato a coprire l’85% del finanziamento. Il leader supremo della Repubblica islamica, l’Ayatollah Khamenei, aveva consentito che il restante 15% provenisse dal Fondo di Sviluppo Nazionale Iraniano. L’appalto è andato alla società di ingegneria edile russa RZD International LLC, una filiale delle ferrovie russe. Anche se la parte russa si è ritirata dal progetto sotto la pressione delle sanzioni statunitensi, secondo Interfax l’Iran non può denunciare la sua controparte. L’Iran e la Russia hanno firmato diversi contratti negli ultimi anni, ma nessuno di questi si è ancora concretizzato.

L’accordo tra Stati Uniti e Talebani respinto dall’Iran
Il governo iraniano ha affermato che l’accordo siglato il 29 febbraio tra il governo degli Stati Uniti e i Talebani non ha nessun valore legale. Secondo Teheran l’accordo è solo un pretesto per legittimare la presenza delle truppe statunitensi in Afghanistan. La mossa è un trampolino di lancio verso il completo ritiro dei soldati dall’Afghanistan e la fine di 18 anni di conflitto. Secondo alcuni osservatori è una scommessa che potrebbe dare legittimità internazionale ai Talebani.

“Gli Stati Uniti non hanno alcuna base legale per firmare un accordo di pace o per determinare il futuro dell’Afghanistan”, ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Esteri iraniano, spiegando che Teheran farà in ogni caso tutto il possibile per garantire la partenza delle forze statunitensi.

Gli Stati Uniti inseriscono nella lista nera individui collegati a Hezbollah e alla Martyrs Foundation
Il 26 febbraio il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha aggiunto alcuni individui ed organizzazioni libanesi, ritenuti collegati alla Fondazione dei Martiri, alla lista di Nominativi Speciali. La designazione colpisce la Atlas Holding, l’alto dirigente Kassem Mohamad Ali Bazzi e dieci società affiliate alla Atlas. Il Segretario di Stato Mike Pompeo ha commentato la decisione affermando che la Fondazione dei Martiri e Hezbollah “continuano a perseguire i propri interessi e quelli del loro sponsor, l’Iran, a spese del popolo libanese”.

Aoun annuncia esplorazioni petrolifere al largo del Libano
Il 27 febbraio il Presidente libanese Michel Aoun ha annunciato l’avvio ufficiale delle trivellazioni di esplorazione offshore di petrolio e gas spiegando che l’estrazione di petrolio sarà “la pietra angolare per uscire dall’abisso economico del paese, trasformando il Libano in un’economia produttiva”.

Non tutti sono però così ottimisti. Secondo Faysal al-Sayegh, parlamentare democratico, dire che le trivellazioni offshore potrebbero catapultare il Libano nel gruppo dei grandi Paesi produttori di petrolio è una “esagerazione”. Sayegh ha sottolineato che le attività al largo della costa libanese sono solo “operazioni esplorative di perforazione per determinare se è presente gas in quantità commerciali o meno” e ha aggiunto che invece di scommettere su petrolio e gas per sollevare il Libano dalla crisi economica, il governo deve “riflettere su altre soluzioni realistiche”.

Hezbollah rifiuta la gestione del FMI della crisi economica del Libano
Il vice segretario generale di Hezbollah, Naim Qassem, ha dichiarato che la sua organizzazione è contraria a qualsiasi tentativo di consentire al Fondo Monetario Internazionale (FMI) di gestire la crisi finanziaria del Libano e che rifiuterà qualsiasi prestito da parte del FMI che imponga condizioni difficili a Beirut. Qassem ha affermato però che Hezbollah non si oppone alle consultazioni tra il FMI e il governo libanese.

Una delegazione del FMI è arrivata in Libano la scorsa settimana per comprendere come affrontare la crisi economica del Paese chem per la prima volta, potesse essere insolvente rispetto al debito Eurobond. Il Libano ha accettato di nominare Cleary Gottlieb Steen e Hamilton LLP come consulenti legali sul debito del Paese che ammonta a oltre 87 miliardi di dollari, ovvero a più del 150% del PIL. In separata sede, il coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il Libano, Jan Kubis, ha esortato il FMI a fornire al Libano tutta l’assistenza necessaria.

La guerra in Yemen torna a intensificarsi
Dopo cinque mesi di riduzione delle tensioni, la guerra nello Yemen ha ripreso a deteriorare con i combattimenti che vanno intensificandosi. I ribelli Houthi hanno ripreso gli attacchi missilistici contro l’Arabia Saudita e i sauditi hanno ripreso gli attacchi aerei sulla capitale Sana’a. Se la situazione peggiorerà ulteriormente, vi è il pericolo che si espanda e inasprisca ancor di più attiri l’Iran e gli Stati Uniti.

Gli attacchi missilistici alle principali infrastrutture petrolifere dell’Arabia Saudita ad Abqaiq lo scorso settembre sono stati l’evento che ha convinto Riyadh ad avviare una de-escalation. L’accuratezza di tali attacchi ha reso visibile la vulnerabilità dell’economia saudita. Subito dopo l’attacco, gli Houthi – che hanno rivendicato il merito di quello che è stato in realtà un attacco iraniano – hanno proposto una tregua all’Arabia Saudita se Riyad avesse smesso di bombardare la capitale yemenita. Teheran ha approvato l’accordo. I mediatori delle Nazioni Unite hanno sfruttato l’apertura per diminuire la violenza, uno scambio di prigionieri e un ponte aereo medico su Sana’a per i bisognosi di cure. Tuttavia, gli scontri recenti nel distretto di Nehm – a 60 km a nord-est di Sanaa – e nelle province di Marib e Al-Jawf, hanno visto i ribelli catturare l’intero distretto.

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