N 70 – 23/3/2020

N 70 – 23/3/2020

FOTO DELLA SETTIMANA – New York, 21 marzo 2020: Times Square deserta dopo l’annuncio dello stato di emergenza sanitaria

 

PRIMO PIANO

“La Cina di oggi, opportunità o minaccia”. Intervento di Giulio Terzi
Lunedì 23 marzo, l’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, Presidente del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”, ha partecipato in collegamento video ad una diretta online, nell’ambito dell’iniziativa #laFLEacasatua, organizzata dalla Fondazione Luigi Einaudi, sul tema “La Cina di oggi, opportunità o minaccia”.

Nel suo intervento, disponibile a questo link, Giulio Terzi ha voluto sottolineare che: “..dobbiamo capire quali sono gli strumenti pericolosi per le nostre società, per la destabilizzazione della nostra capacità di conoscere, del nostro diritto alla conoscenza, di cui non si parla mai abbastanza e per il quale non è mai sufficientemente enfatizzata l’esigenza di dotarsi di strumenti per controllare e monitorare, giorno per giorno, ora per, ora la validità e la serietà delle informazioni che ci vengono proposte.”

Come la tecnologia civica può aiutare a fermare la pandemia
Proponiamo un’analisi di Jaron Lanier e Glen Weyl pubblicata da Foreign Affairs il 20 marzo, disponibile in italiano sul sito del Global Committee for the Rule of Law, in cui viene esaminato l’approccio di Taiwan contro il coronavirus per comprendere se e come quello taiwanese possa essere un modello per il resto del mondo.

La diffusione del nuovo coronavirus e la conseguente pandemia di COVID-19 hanno fornito un potente test dei sistemi sociali e di governance. Nessuna delle due principali potenze mondiali, la Cina e gli Stati Uniti, si è particolarmente distinta per la risposta. In Cina, un’iniziale negazione politica ha permesso al virus di diffondersi per settimane, prima a livello nazionale e poi globale, prima che una serie di misure incisive si dimostrasse ragionevolmente efficace. (Il governo cinese avrebbe dovuto essere più preparato dato che, in passato, sul suo territorio in più occasioni si è verificata la trasmissione di virus dagli animali agli esseri umani.) Gli Stati Uniti hanno avuto la loro dose di negazione politica prima di adottare misure di distanza sociale; ad oggi, la mancanza di investimenti, lascia la sanità pubblica impreparata a questo tipo di emergenza.

A Wuhan compaiono nuovi casi asintomatici di coronavirus
Gli interrogativi sull’affidabilità dei dati cinesi sono tanti, ma oggi Caixin ci svela che nuovi casi indigeni di positivi asintomatici al COVID-19 vengono accertati ogni giorni ma le disposizioni della Commissione di Sanità nazionale gli esclude dai numeri pubblicati.

A quanto ha appreso Caixin, benché gli ultimi dati ufficiali parlino di pochi o nessun nuovo caso “indigeno” di Covid-19 sul territorio cinese, le autorità continuano a rilevare ulteriori infezioni che vanno oltre la decina al giorno nella città al centro dell’epidemia.

Secondo un membro del team di prevenzione e controllo delle malattie infettive a Wuhan, ogni giorno la città continua a registrare “alcuni o più di dieci di individui asintomatici”. Si tratta di persone che si sono rivelate positive al Covid-19 ma che non si sentono male e che sono escluse dai numeri pubblicati. Il 22 marzo la provincia di Hubei, dove si trova Wuhan, ha avuto quattro giorni consecutivi di zero nuovi “casi confermati” ufficiali.

Partito Radicale: vergognose le accuse cinesi all’Italia di aver diffuso il virus. Il Parlamento interpelli Di Maio
Il 23 marzo il Segretario e la Tesoriera del Partito Radicale, Maurizio Turco e Irene Testa hanno dichiarato:

Prima il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian e a seguire i media di Stato cinesi quotidianamente hanno accusato gli Stati Uniti di aver scatenato la pandemia del COVID-19 in Cina, portando il ceppo a Wuhan durante i giochi militari.

Oggi la stampa del regime cinese cambia bersaglio: sarebbe l’Italia l’untore del mondo. Da qualche giorno ormai la linea ufficiale del Partito comunista cinese si basa su una interpretazione strumentale delle affermazioni professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri, il quale avrebbe affermato di “aver osservato polmoniti molto strane, e molto gravi, soprattutto fra persone anziane già a dicembre e perfino a novembre”.

Sarebbe questa la “prova” che il virus circolava in Italia prima ancora che i dottori in Cina ne fossero a conoscenza, e quindi che sia dunque stata l’Italia a non informarne tempestivamente le autorità internazionali competenti.

Diciassette anni fa scoppiava la guerra in Iraq, il primo attacco tra il 19 e il 20 marzo
Su Il Riformista del 19 marzo, Matteo Angioli ha ricordato la battaglia condotta da Marco Pannella e il Partito Radicale a favore dell’esilio di Saddam Hussein come unica alternativa possibile all’azione militare in Iraq nel 2003. Un’occasione per riflettere sulla democrazia, il coronavirus e il diritto alla conoscenza.

Diciassette anni fa, nella notte tra il 19 e 20 marzo 2003, una coalizione guidata dagli Stati Unti di George W. Bush e dal Regno Unito di Tony Blair sferrò un attacco militare contro l’Iraq con l’obiettivo dichiarato di impedire al dittatore iracheno Saddam Hussein, al potere dal 1979, di sviluppare e utilizzare armi di distruzione di massa. Fu la notte della democrazia. Una notte ancor più buia di quella rivelata dai Pentagon Papers grazie a Daniel Ellsberg, al New York Times e al Washington Post perché, oltre ad ingannare il popolo americano, nel 2003 fu anche intrapreso uno scellerato tentativo di ingannare l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Tristemente indimenticabile fu la presentazione del 5 febbraio 2003 dell’allora Segretario di Stato statunitense, Colin Powell, delle presunte prove schiaccianti contro Saddam Hussein. Presentazione che Powell stesso ha definito, alcuni anni dopo, “la macchia della mia carriera”.

Un tribunale tedesco rifiuta l’estradizione di un cittadino polacco
Il 17 febbraio un tribunale di Karlsruhe, in Germania, ha rifiutato l’estradizione di un cittadino polacco richiesta da Varsavia tramite mandato d’arresto europeo. È una decisione senza precedenti del tutto indipendente dell’emergenza sanitaria coronavirus. Le motivazioni addotte dall’Oberlandesgericht (tribunale regionale superiore) di Karlsruhe infatti indicano come determinanti le recenti riforme che hanno travolto la magistratura polacca.

Secondo la ricercatrice Anna Wójcik, “la decisione mostra che un tribunale tedesco ritiene che un processo contro un cittadino polacco in Polonia non sia condotto nel rispetto dei diritti posti a garanzia dello svolgimento di un processo equo. Non si tratta di un’espressione di sfiducia nei confronti dei giudici polacchi, bensì nei confronti del sistema giudiziario costruito dalla maggioranza al governo.”

New York, la “capitale del mondo”, faccia a faccia col coronavirus
Da mille a 15mila casi, da sola il 5% dei contagiati a livello mondiale, da giorni oramai deserta. New York non si riconosce più, eppure è ancora lei, pronta all’ennesima battaglia. Quella contro il coronavirus, quella al fianco di un sistema sanitario debole, discutibile e pieno di brecce. Lontanissimo dall’essere vicino a tutti. Ma in qualche modo, specie in queste ore, operativo come non mai.La paura è tanta, ma gli Stati Uniti sono questo, nel bene e nel male. Nel male dei difetti, nel bene della disciplina, della forza e dell’orgoglio. Nel miracolo della capacità di organizzarsi, e di farlo pure in fretta.

Nel cambio in corsa di uno Javits Center, un colossale centro congressi, che nella West Side del futuro viene riconvertito in un gigantesco ospedale, in grado da solo di assorbire parte dell’onda d’urto del possibile colpo. Nel governatore Cuomo e nel sindaco De Blasio che si affrontano sulle singole decisioni, ma che si stringono attorno a ciò che entrambi hanno più a cuore: la “capitale del mondo”. Nell’amministrazione centrale di un Trump che fa la voce grossa, ma che prova a defilarsi dal gioco delle responsabilità, preoccupato, sì, per le sorti del suo Paese, ma preoccupato più per le sorti sue, da qui al voto del 3 novembre 2020.

IRAN E MEDIO ORIENTE

Giulio Terzi alla autorità italiane: consentire i voli della Iran Air farà bene?
Nonostante una strage di contagiati in patria, l’Iran non ha chiuso i collegamenti aerei con la Cina, e l’Italia non ha chiuso i collegamenti con la compagnia Iran Air, che non solo è sotto sanzioni Usa, ma rischia ora di porre un problema sanitario. Il commento dell’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri e Presidente del Comitato Global per lo Stato di Diritto “Marco Pannella”, su Formiche.net

L’entusiastica adesione del governo Italiano alla “Via della Seta”, la firma ad occhi semichiusi del Memorandum of understanding tra Italia e Cina – promosso dall’allora sottosegretario Michele Geraci – in occasione della visita in Italia del presidente Xi Jinping, e la stretta “collaborazione” di media italiani con quelli cinesi si sono trasformati rapidamente – in misura accresciuta con la “nuova narrativa” di Pechino sul Coronavirus- in una selva di megafoni. Essi fanno a gara a “diffondere” nel nostro Paese la propaganda del Partito comunista cinese; senza che sia dato minimo spazio ad un pensiero critico, o di verifica fattuale dei messaggi veicolati da Pechino e servilmente ripresi in Italia.

L’Ayatollah Khamenei rifiuta gli aiuti statunitensi e cita teorie complottiste
Il 21 marzo il leader supremo dell’Iran ha rifiutato l’assistenza degli Stati Uniti per combattere il nuovo coronavirus, affermando che il virus potrebbe essere prodotto dall’America. L’Iran è alle prese con pesanti sanzioni statunitensi che impediscono al Paese di vendere petrolio e di accedere ai mercati finanziari internazionali.

Khamenei ha rafforzato questa teoria del complotto, sempre più utilizzata dal governo cinese, per deviare le responsabilità sulla diffusione della pandemia. “Non so quanto sia reale questa accusa, ma se fosse così, quale persona sana di mente si fiderebbe di loro (gli Stati Uniti) e dei loro medicinali? Forse quella medicina è proprio il modo per diffondere il virus ancor di più”, ha detto Khamanei.

Anche Rouhani respinge gli aiuti americani
Gli Stati Uniti dovrebbero revocare le sanzioni se Washington vuole aiutare l’Iran a contenere l’epidemia di coronavirus, ha detto il 22 marzo il Presidente iraniano Hassan Rouhani, aggiungendo che l’Iran non ha intenzione di accettare l’offerta di assistenza umanitaria da parte di Washington perché “i leader americani mentono. Se vogliono aiutare l’Iran, tutto ciò che devono fare è revocare le sanzioni. Solo così possiamo affrontare l’epidemia”.

Cresce il bilancio delle vittime in Iran per Covid-19
Il bilancio delle vittime iraniane per il nuovo coronavirus è salito a 1.812, con 127 nuovi decessi nelle ultime 24 ore. Lo ha detto un portavoce del Ministero della Salute alla TV di Stato. Il numero totale di persone infette nel Paese ha raggiunto 23.049. Il portavoce, Kianush Jahanpur, ha dichiarato che nelle ultime 24 ore circa 1.411 iraniani sono stati infettati dal virus in tutta la Repubblica islamica, dove si trova il focolaio più grave di tutto il Medio Oriente.

Il governo statunitense critica quello francese per uno scambio di detenuti
Il 22 marzo l’amministrazione Trump ha duramente criticato la Francia per aver rilasciato un uomo iraniano ricercato dagli Stati Uniti in un evidente scambio di prigionieri con l’Iran. Il Dipartimento di Stato si è detto “profondamente rammaricato” della decisione “unilaterale” francese di rilasciare Jalal Rohollahnejad, sul cui conto era stata emanata una richiesta di estradizione negli Stati Uniti con l’accusa di violazione delle sanzioni americane contro l’Iran. La portavoce del Dipartimento di Stato, Morgan Ortagus ha dichiarato che la Francia non ha rispettato i propri obblighi ai sensi di un trattato di estradizione comune e ha danneggiato la causa della giustizia. Rohollahnejad è stato rilasciato dalla custodia francese il 21 marzo in uno scambio di detenuti con il ricercatore francese Roland Marchal che era stato incarcerato in Iran per più di otto mesi con l’accusa di violazione delle leggi sulla sicurezza dello Stato.

Nuove sanzioni per l’Iran dagli Stati Uniti
Il 20 marzo gli Stati Uniti hanno imposto nuove sanzioni relative all’Iran, colpendo in particolare cinque società. Come indicato dal sito del Dipartimento del Tesoro, le aziende includono Petro Grand FZE, Alphabet International DMCC, Swissol Trade DMCC, Alam Althrwa General Trading LLC e Alwaneo LLC Co.

Sette società finiscono nella lista delle sanzioni statunitensi
Il 18 marzo gli Stati Uniti hanno identificato e inserito sette società nella lista nera delle società sanzionate per aver commerciato prodotti petrolchimici iraniani. Tre di esse hanno sede nella Cina continentale, tre a Hong Kong e una in Sudafrica. Lo ha reso noto il Dipartimento di Stato che, in separata sede, ha sanzionato anche cinque scienziati nucleari iraniani che per aver preso parte al programma iraniano pre-2004 sulle armi nucleari che continuano a essere impiegati dallo Stato iraniano.

Il governo bosniaco blocca la vendita all’Iran di materiale ad uso nucleare
Il Ministro della Sicurezza per la Bosnia ed Erzegovina, Fahrudin Radončić, ha scritto il 22 marzo sulla sua pagina Instagram che una società bosniaca, Alumina, ha avviato dei negoziati con l’Ambasciata iraniana a Sarajevo per vendere materiale illecito che potrebbe essere utilizzato nell’ambito del programma nucleare di Teheran. Questo sarebbe in violazione delle sanzioni applicate dall’UE e dagliStati Uniti. “In una dichiarazione del management della società, i responsabili stessi di Alumina hanno rivelato di aver organizzato e tenuto un incontro con membri della sezione economica dell’Ambasciata dell’Iran a Sarajevo”, ha scritto Radončić, che ha aggiunto che il Ministero è intervenuto per interrompere l’accordo.

Nuovi casi di coronavirus in Iraq e Libano
Nonostante le misure drastiche attuate, lunedì 23 marzo i decessi e i casi positivi di coronavirus sono aumentati in due stati arabi: Iraq e Libano. Il Ministero della Salute iracheno ha confermato altri tre decessi, portando il totali del Paese a 23. Mentre le persone risultate positive al virus nelle ultime 24 ore sono33, portando le infezioni complessive a 266. Quasi tutte le province irachene, tra cui Erbil e Sulaymaniyah, hanno chiuso i confini mentre altre hanno imposto un blocco quasi completo. La scorsa settimana, Baghdad ha chiuso scuole e università per 10 giorni e ha vietato i viaggi nelle province colpite dal virus. Per quanto riguarda il Libano, il totale dei casi COVID-19 è salito a 256 dopo che sono state registrate otto nuove infezioni. Lo ha annunciato il Ministero della Sanità che anche confermato un nuovo decesso, portando il bilancio a quattro morti.

In Israele aumentano i test e i contagiati
Sono 1.234 gli israeliani contagiati dal coronavirus nella giornata di lunedì 23 marzo. Il picco del numero di diagnosi è molto probabilmente legato ad un forte aumento del numero di test di coronavirus in corso – circa 5.268 nelle ultime 24 ore. Secondo il Ministro della Salute, Ya’acov Litzman, già questa settimana Israele effettuerà una media di 3.000 test al giorno e 5.000 entro la prossima settimana – e si prevede che tale numero sarà di 10.000 al giorno entro due settimane.

Cittadini del Bahrein bloccati in Iraq
Centinaia di pellegrini del Bahrein sono bloccati in Iran, un Paese con il quale il Bahrein non ha legami diplomatici. Alcuni testimoni raggiunti dalla Reuters hanno detto di essere in attesa di notizie sui piani di rimpatrio dopo che un volo noleggiato dal governo è stato rimandato. Il Ministro della Salute del Bahrain, Faeqa bint Saeed Al Saleh, ha dichiarato in una dichiarazione che il governo si è assunto l’impegno di rimpatriare tutti i cittadini del Bahrein colpiti dall’epidemia di COVID-19 in Iran.

Particolarmente elevato il rischio Covid-19 in Yemen
COVID-19 deve ancora essere confermato in Yemen, tuttavia, la probabilità della sua diffusione è elevata dato che nei Paesi vicini i casi continuano a crescere: 392 in Arabia Saudita, 470 in Qatar e 306 in Bahrein. L’infrastruttura yemenita è devastata da cinque anni di conflitto, e solo il 51% dei centri sanitari è funzionante. Medicine, attrezzature e dispositivi di protezione individuale sono disponibili in quantità limitate e vi sono solo due luoghi per i test (Sana’a e Aden).

La più basilare misura di protezione, ovvero lavarsi le mani, è tutt’altro che scontata. Sono oltre 3,6 milioni gli sfollati dall’inizio del conflitto, di cui un terzo vive in campi e insediamenti sovraffollati, privi di un adeguato accesso ai servizi igienico-sanitari. Lo Yemen fa affidamento su importazioni per l’80-90% del suo fabbisogno, rendendolo particolarmente vulnerabile alle perturbazioni dell’economia mondiale.

Leave a Reply