N 76 – 11/5/2020

N 76 – 11/5/2020

FOTO DELLA SETTIMANA – Hong Kong, 10 maggio 2020: un poliziotto e un giornalista faccia a faccia durante una nuova manifestazione contro le severe misure anti-coronavirus

PRIMO PIANO

Pechino temporeggia sull’indagine sulle origini del COVID19
Il governo cinese ha insistito a lungo sul fatto che le indagini sulle origini di COVID-19 dovrebbero essere condotte da scienziati, non da politici. Secondo Sky News alcuni scienziati si dicono disposti ad effettuare l’indagine ma, per qualche ragione, la Cina non ha ancora dato la luce verde. Il 7 maggio, un portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha dichiarato che la Cina è “aperta a una stretta collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per scoprire la causa principale” della pandemia di coronavirus. Anche l’OMS si è detta disponibile a collaborare e perciò ha chiesto ripetutamente di potersi unire alle indagini. Ad oggi però, come detto il primo maggio dal dottor Gauden Galea, rappresentante dell’OMS in Cina, l’organizzazione non ha ricevuto nessun invito da parte di Pechino.

Oltre 200 arresti a Hong Kong
Lunedì 11 maggio le autorità di Hong Kong hanno dichiarato di aver arrestato 230 persone nel fine settimana durante una manifestazione in un centro commerciale. Centinaia di poliziotti in assetto antisommossa hanno attaccato e disperso i manifestanti, coinvolgendo negli scontri anche alcuni giornalisti. Gli arrestati hanno età comprese tra i 12 e i 65 anni e le accuse sono di assemblea illegale, l’aggressione ad un ufficiale di polizia e mancata presentazione di un documento d’identità. Ci sono stati anche 18 feriti trasportati in ospedale. Il 10 maggio, il Segretario di Demosisto, Joshua Wong, ha postato su Twitter questa fotografia scrivendo: “Noi abbiamo il potere della verità, i comunisti cinesi hanno il potere della pistola”.

Chris Yeung, presidente dell’Associazione dei Giornalisti di Hong Kong, ha dichiarato: “Ad alcuni giornalisti attaccati dalla polizia con spray al pepe non è stato permesso di ricevere un trattamento immediato ed è stato impedito loro di continuare le riprese”. Lo scoppio del coronavirus e le severe regole imposte per frenarne la diffusione hanno sospeso alle proteste antigovernative, ma la recente ondata di attivisti di esponenti del mondo democratico e la crescente preoccupazione per la stretta di Pechino sulla città hanno ravvivato il movimento. La polizia aveva informato i manifestanti che l’assemblea era illegale perché le misure in vigore impediscono le riunioni di più di otto persone. Tra gli arrestati per “condotta disordinata in luogo pubblico” figura il legislatore del Partito Democratico Roy Kwong. A settembre sono previste le elezioni legislative.

Firma l’appello all’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Michel Bachelet, per il diritto alla conoscenza
In occasione del novantesimo anniversario della nascita di Marco Pannella, il 2 maggio, il Comitato Globale per lo Stato di Diritto e il Partito Radicale hanno lanciato un appello ai Parlamenti nazionali e all’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, perché venga riconosciuto formalmente il diritto alla conoscenza. L’assenza di un’adeguata conoscenza è resa più evidente dalle informazioni confuse e frammentate che aggravano la crisi da coronavirus. Segue l’incipit dell’appello:

In memoria del Dottor Li Wenliang e di tutti gli altri eroi silenziati, è l’ora di esigere il diritto civile e umano alla conoscenza. Mai come in questo momento, in cui l’umanità intera sta affrontando la stessa pandemia, è stato così evidente quanto urge adottare il diritto alla conoscenza. Un diritto civile e politico fondamentale soppresso per decenni dai regimi despota, a partire dal Partito comunista cinese, responsabile senza dubbio di aver soppresso informazioni utili e tempestive sull’epidemia di COVID19 all’interno e all’esterno dei suoi confini. Un diritto fondamentale sempre più soppresso anche dai governi democratici di tutto il mondo, nel passaggio ad un modello sempre più evocativo – e apertamente invocato da alcuni – del “modello cinese”. Medici, giornalisti, cittadini e interi territori sono stati messi a tacere nel tentativo di tenere i cittadini al buio, impedendo loro di proteggere il loro diritto fondamentale alla salute. È ora di dire basta! Abbiamo bisogno di uno standard mondiale per controllare i governi e le istituzioni internazionali! Continua a leggere l’appello.

Firma l’appello perché Taiwan possa collaborare con l’OMS
E’ ancora possibile sottoscrivere l’appello “Taiwan for All” perché l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) includa Taiwan nei suoi lavori. L’appello è stato lanciato da uno dei membri onorari del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella” e del Partito Radicale, il Senatore francese André Gattolin, assieme a Chien-Hui Wang e Pierre Lefèvre. L’appello, che verrà consegnato a Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell’OMS il 16 maggio, evidenzia l’importanza del contributo e la competenza di medici ed esperti taiwanesi. L’appello e i primi firmatari sono disponibili a questa pagina in dodici lingue.

Un altro componente del gruppo folk turco muore dopo il “digiuno della morte”
Il 7 maggio un secondo musicista del popolare gruppo folk turco di sinistra Grup Yorum, bandito nel Paese, è morto dopo uno sciopero della fame a oltranza che i musicisti hanno definito “digiuno della morte”. Il digiuno aveva l’obiettivo di rimuovere la messa al bando da parte del governo sulla band. Il bassista İbrahim Gökçek, 41 anni, è morto in un ospedale di Istanbul dopo che due giorni prima aveva annunciato la fine dello sciopero. Aveva digiunato per 323 giorni. La cantante, Helin Bölek, 28 anni, era morta il 3 aprile, al 288° giorno di digiuno. Il 24 aprile, al 297° giorno di sciopero della fame, era morto anche un sostenitore del gruppo, Mustafa Koçak, che era stato incarcerato nel settembre 2017.

Il governo accusa Grup Yorum di legami con il Fronte Rivoluzionario del Partito di Liberazione del Popolo, da anni fuorilegge e designato come organizzazione terroristica da Turchia, Stati Uniti e UE. Adesso, due degli avvocati dei musicisti, Ebru Timtik e Aytac Unsal, appartenenti alla Progressive Lawyers Association (CHD) turca, incarcerati e anch’essi in sciopero della fame, hanno raccolto il testimone e trasformato lo sciopero in un “digiuno della morte”. Chiedono il diritto a un processo equo dopo aver subito pesanti condanne per terrorismo. Nella puntata di RNN di sabato 9 maggio su Radio Radicale, Matteo Angioli e Roberto Rampi hanno parlato, tra l’altro, del “digiuno della morte” dei musicisti, del richiamo a Bobby Sands e delle differenze con Marco Pannella.

IRAN E MEDIO ORIENTE

Covid-19, il virus e il regime change in Iran
Il coronavirus sta aumentando il malcontento della popolazione iraniana verso il regime. Il Presidente del Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella”, Giulio Terzi di Sant’Agata, scrive su Formiche.net come l’Occidente può e deve favorire una svolta democratica.

È ormai sempre più ferma la pretesa, da parte del regime iraniano, che gli Stati Uniti revochino le sanzioni economiche verso Teheran. Gli Ayatollah tentano di camuffare le vere motivazioni con il fabbisogno per affrontare l’emergenza Covid-19, cercando (trovandole!) sponde favorevoli soprattutto in Europa ma anche negli stessi Usa, tra i rappresentanti delle due Camere.

C’è però da chiarire quale “mistero” abbia portato il regime a rifiutare gli aiuti umanitari del presidente Donald Trump – corredato dalle accuse dell’ayatollah Ali Khamenei sull’origine “americana” del virus – oppure a bocciare l’iniziativa di Medici Senza Frontiere per l’invio di un ospedale da campo a Esfahan con medici e specialisti, con la motivazione che “l’Iran non ha bisogno di ospedali stranieri” e conseguente espulsione di MSF dal Paese. Vale la pena di ricordare che le sanzioni escludono già tutti gli aiuti umanitari. Si tratta, quindi, di un pretesto che il regime è stato pronto a utilizzare, ben conoscendo la cedevolezza di cui molti europei e americani hanno già dato prova in passato, per mantenere il pieno funzionamento dell’apparato di regime.

Hezbollah non distingue tra ali militari e politiche. Perché noi sì? Scrive Giulio Terzi
Questa settimana la Germania ha deciso di bandire tutte le attività di Hezbollah rimuovendo quella assurda dicotomia che molti Paesi (e pure l’Ue) gli accordano distinguendo tra ala politica e militare. Una differenziazione che neppure il “Partito di Dio” fa. Perché invece noi la facciamo ancora?

L’annuncio del ministero dell’Interno tedesco di aver vietato tutte le attività di Hezbollah e le organizzazioni a essa legate segna un momento chiave nel contrasto al terrorismo internazionale. Si rimuove soprattutto quella assurda dicotomia che molti Paesi, inclusa la stessa Unione europea, ancora decidono di accordare al cosiddetto “Partito di Dio”. Hezbollah ha per lungo tempo trovato in Germania un rifugio sicuro e un’ottima base operativa per attività di intelligence, attacchi terroristici, raccolta fondi e altre attività criminali, su tutte quelle di riciclaggio e narcotraffico. La decisione di Berlino è quindi un passo molto importante per frenare la “lunga mano” del principale sponsor di Hezbollah, l’Iran, oltre i suoi confini. In questo modo la Germania si unisce a Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Israele, Giappone e Paesi Bassi nell’affermare che l’intera organizzazione di Hezbollah è inequivocabilmente un’entità terroristica.

Ed è proprio per l’Ue che questa decisione dovrebbe agire da volano affinché Bruxelles compia il passo da molto tempo atteso. Paradossalmente, le Istituzioni europee, a cominciare dall’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, hanno sinora negato proprio quanto Hezbollah per voce dei suoi più alti rappresentanti da sempre rivendica: l’unicità dell’organizzazione.

Gli Stati Uniti chiedono di vietare i voli della compagnia iraniana Mahan Air
L’8 maggio la portavoce del Dipartimento di Stato americano, Morgan Ortagus, ha invitato i governi a non autorizzare voli della compagnia iraniana Mahan Air “per evitare il coronavirus e il rischio di sanzioni”. In un tweet la Ortagus ha scritto: “Il principale responsabile della proliferazione di armi di distruzione di massa, Mahan Air, che si trova in gran difficoltà e che sostiene il terrorismo e il regime di Maduro, starebbe anche censurando le preoccupazioni del personale aereo e diffondendo il Covid19. Evitate il coronavirus e il rischio di sanzioni mantenendo Mahan Air fuori dal vostro Paese”.

La compagnia Mahan Air, controllata dal Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica, è soggetto alle sanzioni statunitensi dal 2011 per il presunto trasporto di combattenti e armi ai collaboratori dell’Iran e per il sostegno al terrorismo. Germania e Francia si sono uniti agli Stati Uniti nel negare l’autorizzazione ad effettuare atterraggi nel 2019. La compagnia aerea è inoltre accusata di aver portato il coronavirus in Iran a gennaio e febbraio non avendo interrotto i collegamenti da e verso alcune città cinesi tra cui Wuhan, l’epicentro dell’epidemia di coronavirus.

Primi incontri per il nuovo Primo Ministro iracheno
Dopo aver prestato giuramento all’inizio della settimana scorsa, il 9 maggio, il nuovo Primo ministro iracheno, Mustafa al-Kadhimi, ha presieduto il primo gabinetto e ha successivamente incontrato gli ambasciatori di Stati Uniti e Iran Matthew H. Tueller e Iraj Masjedi. Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha promesso di aiutare al-Kadhimi e lo ha incoraggiato ad andare avanti con le riforme. Kadhimi è entrato in carica dopo settimane di trattative. Dal 2016 era direttore dei servizi di intelligence nazionale iracheni.

L’UE avverte Israele: “In caso di annessioni agiremo”
“Come abbiamo detto più volte, l’annessione non è in linea con il diritto internazionale” e se Israele insisterà con il suo piano di annettere parti della Cisgiordania occupata, “l’UE agirà di conseguenza”. Così Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante dell’UE, Josep Borrell. Stano ha spiegato che i Ministri degli Esteri dell’Ue discuteranno dell’argomento in una riunione venerdì 15 maggio, evidenziando comunque che l’Unione “comprende le esigenze di sicurezza di Israele” e di aver dato il suo sostegno ad esse.

La città yemenita di Aden dichiarata “infestata” dal coronavirus
Lunedì 11 maggio, il comitato nazionale yemenita istituito per monitorare il contagio da coronavirus, con sede ad Aden, ha annunciato 17 nuovi casi COVID19. Sale a 51 il numero totale dei contagi e a 8 quello dei decessi in aree sotto il controllo del governo sostenuto dai sauditi. Benché il numero non sia particolarmente elevato, le autorità yemenite hanno dichiarato Aden, sede provvisoria del governo sostenuto dai sauditi, città “infestata”.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha confermato la trasmissione del virus nel Paese, che si diffonde in maniera inosservata tra gli strati più bassi della popolazione già stremata dalle malattie causate da cinque anni di guerra intestina. Le attrezzature per effettuare i test sono insufficienti e l’OMS ha sollecitato le autorità locali a riferire in modo trasparente il numero di casi confermati.

Il movimento pro-Iran dei ribelli Houthi, che controllano Sanaa e la maggior parte dei grandi centri urbani, ha riportato solo due casi e un solo decesso. Il governo con base ad Aden ha accusato le autorità di Houthi di aver nascosto un focolaio a Sanaa, un’accusa che negano.

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