N37 – 5/8/2019

N37 – 5/8/2019

PRIMO PIANO

Botta e risposta tra il Ministro Danilo Toninelli e l’Amb. Giulio Terzi
A seguito di un articolo dell’Amb. Giulio Terzi pubblicato il 22 luglio dalla rivista Port News, il Ministro per le Infrastrutture Danilo Toninelli scrive, nella stessa rivista il 30 luglio, di non condividere le preoccupazioni espresse rispetto ai legami che l’Italia ha creato con il gigante di Pechino affermando che “pur rispettando la legittima posizione dell’autore, non ne condivido lo scenario a tinte fosche che viene tratteggiato con riguardo agli effetti della sottoscrizione del Memorandum of Understanding (MoU) e nemmeno la conclusione che l’Italia possa diventare presto ‘il prossimo boccone’ della Cina.”

Soffermandosi solo sugli aspetti che riguardano il Ministero di cui Toninelli è responsabile e gli aspetti commerciali, il Ministro aggiunge, tra l’altro, che “nel solco di una partnership commerciale con la Cina già ben strutturata, la sottoscrizione del Memorandum non ha fatto che facilitare ulteriori possibilità di collaborazione con la parola d’ordine della ‘reciprocità’ e del ‘mutuo vantaggio’: una forte convergenza di interessi, come ricordato anche dal Presidente Conte e dal Presidente Xi Jinping, destinata a rafforzare il commercio e gli investimenti tra due Paesi che si considerano a vicenda partner importanti.”

Il 4 agosto, nella trasmissione “Diritto alla Conoscenza” su Radio Radicale condotta da Laura Harth, Giulio Terzi ha a sua volta replicato al Ministro Toninelli facendo presente che la sostanza della questione da lui posta sono le implicazioni e i rischi in termini di politica e sicurezza che l’Italia corre avendo sottoscritto il MoU con cui diamo assicurazioni politiche che includono lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, l’utilizzo delle linee di navigazione, e il fatto che tutto ciò che la Cina fa sul piano logistico ha anche delle finalità militari.

“La Cina di oggi è una Cina di espansione di potenza geopolitica e di influenza politica e soprattutto militare. Toninelli rimane in un mondo dorato in cui certe cose non avvengono. Ma in realtà avvengono attraverso gli strumenti della dominazione cyber e militare”, ha detto Giulio Terzi che, in merito alla “reciprocità” evocata da Toninelli, ha aggiunto: “Della reciprocità ne parliamo soltanto noi. E’ vero che i cinesi la sottoscrivono, perché tanto è un pezzo di carta, ma quando i nostri imprenditori devono portare una società che crea beni di consumo o di costruzioni, dove passano obbligatoriamente tutti i dati, le comunicazioni, le proprietà intellettuali delle nostre aziende? Su server situati in Italia o in Europa? No. Qualsiasi operatore straniero vada in Cina, deve far transitare i suoi dati su server cinesi, regalando automaticamente tutte le informazioni di cui dispone al governo cinese. Quindi quale reciprocità e quale rispetto dei diritti di proprietà intellettuale esistono? Mi spiace ma su questo Toninelli dice una cosa che non è assolutamente vera.”

CINA

La Cina rompe la cooperazione di polizia con la Francia
Con un messaggio trasmesso negli ultimi giorni di luglio all’ufficio per la sicurezza interna dell’Ambasciata francese a Pechino, la Cina ha informato le autorità francesi di aver rotto unilateralmente con la cooperazione di polizia di stato francese, che copre molte aree legate alla sicurezza.

L’annuncio è collegato alla decisione di Parigi di concedere asilo politico alla moglie dell’ex presidente di Interpol Meng Hongwei il 15 maggio. Quest’ultimo era scomparso alla fine di settembre 2018 da Lione, quartier generale dell’organizzazione internazionale di polizia, prima di riapparire a giugno davanti a un tribunale della città di Tianjin, in Cina, dove è stato condannato per corruzione.

Pechino voleva che sua moglie tornasse in Cina al fine di processarla come complice dei reati contestati al marito. Grace Meng si è rifiutata di tornare in Cina e si è trasferita definitivamente in Francia con i due figli. Oggi è sotto la protezione della polizia per il timore di essere rapita.

Giulio Terzi: perché i legami tra Huawei e governo cinese non sono favole
Secondo l’Amb. Giulio Terzi di Sant’Agata, le ricerche che collegano Huawei all’apparato militare e di intelligence della Repubblica Popolare non dovrebbero stupire, bensì preoccupare. Una nuova ricerca condotta dal professore e ricercatore Christopher Balding – già co-autore di un report che analizzava la struttura societaria di Huawei – mette in luce i presunti legami di decine di dipendenti del colosso cinese con l’apparato militare e di intelligence della Repubblica Popolare. Circostanze che, nonostante le smentite di Pechino e della sua telco di punta, non stupiscono l’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, già ministro degli Esteri e oggi presidente di Cybaze, che in una conversazione con Formiche.net evidenzia che sarebbero molti gli elementi che avvalorano questa tesi. L’intervista completa è disponibile qui.

Perché si stanno ammassando truppe cinesi al confine di Hong Kong?
Le manifestazioni contro la Cina e il Presidente del Consiglio Legislativo di Hong Kong, Carrie Lam, sono giunte al nono fine settimana consecutivo e si teme che Pechino stia per usare la forza militare per reprimere il movimento di protesta guidato dagli studenti.

Un membro della Casa Bianca, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha affermato che unità dell’esercito e della polizia cinese stanno radunandosi al confine con Hong Kong. La polizia di Hong Kong è messa a dura dai combattimenti quasi quotidiani con i manifestanti. Un portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha dichiarato: “Se la Casa Bianca vuole davvero una Hong Kong pacifica, stabile e prospera, dovrebbe invitare i manifestanti violenti ad esprimere le loro richieste con mezzi pacifici anziché usare la violenza.”

Il portavoce ha anche affermato di non essere a conoscenza della situazione al confine tra Cina e Hong Kong. Comunque, da tempo, le autorità cinesi affermano che le proteste a Hong Kong sono una “creazione degli Stati Uniti”.

Sam Rainsy spiega l’invasione cinese della Cambogia
Si è temuto a lungo che la crescente dipendenza della Cambogia dalla Cina – il suo maggiore donatore, investitore e creditore di aiuti – avrebbe portato a una presenza militare cinese nel paese. Secondo un recente rapporto del Wall Street Journal, quelle paure si stanno avverando.
Come un giocatore che si affida a uno strozzino, la Cambogia ha accumulato negli ultimi anni enormi debiti verso la Cina. Debiti che non può ripagare. Ciò ha dato alla Cina un considerevole potere, consentendole, ad esempio, di eludere le tariffe commerciali del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, reindirizzando le esportazioni verso gli Stati Uniti attraverso la zona economica speciale della Cambogia di proprietà cinese: la città di Sihanoukville.

In base alla tecnica cinese della “diplomazia della trappola del debito”, era solo questione di tempo prima che i cinesi la impiegassero rispetto alla Cambogia per rafforzare la loro posizione militare regionale. Secondo il Wall Street Journal, la scorsa primavera Cina e Cambogia hanno siglato segretamente un accordo che conferisce alla Cina i diritti esclusivi su una parte della base navale della Cambogia nel Golfo della Tailandia.

Il pericoloso espansionismo cinese non è né inevitabile né inarrestabile: dipende dai regimi locali compiacenti e dall’inazione della comunità internazionale. Nel caso della Cambogia, la comunità internazionale dovrebbe chiedere nuove elezioni generali che non escludano veri sfidanti. Attraverso un processo democratico credibile, il popolo cambogiano potrebbe sostituire il regime anacronistico di Hun Sen con uno che rispetti lo stato di diritto e difenda i propri interessi – cominciando con il rifiuto di qualsiasi accordo che consenta alla Cina di consolidare la sua presenza militare in Cambogia.

RUSSIA

Maurizio Turco e Irene Testa sulla repressione dell’opposizione in Russia
Una minoranza nonviolenta chiede l’applicazione ella Costituzione e delle leggi scritte. E’ urgente passare dal paragone con i regimi più repressivi alla valutazione della malattia che ha infettato le democrazie occidentali.

Continua in Russia – la Russia di Putin – la resistenza di una minoranza nonviolenta che non chiede nient’altro che l’applicazione della Costituzione e delle leggi scritte e che – solo per questo – non può, non deve manifestare; non può, non deve potersi presentare alle elezioni. Lo stesso accade a Hong Kong e a Taiwan.

Si ripropone ancora una volta la questione del divorzio tra legge scritta e la sua applicazione; tra la Costituzione e la mancanza di leggi di recepimento di principi e valori proclamati. La differenza tra i vari paesi non è più quella di un tempo, netta: con o contro i diritti umani; con o contro la democrazia, con o contro la separazione dei poteri.

Oggi le differenze sono più sfumate e si giocano tutte sui diversi gradi di repressione: è certo che la repressione in Russia non è paragonabile a quella cinese, e la repressione in Italia non è paragonabile a nessuna delle due. Purtroppo, oggi il metro di misura di un paese è il grado di repressione, e non lo Stato di diritto democratico federalista laico, il diritto del cittadino a conoscere per giudicare.

E’ non solo necessario ma urgentissimo ribaltare il paradigma e cominciare a compitare le degenerazioni dei paesi presunti democratici, liberali, occidentali e non a nascondersi dietro a paragoni utili a consolidare la nuova generazione dei regimi delle democrazie reali.

IRAN E MEDIO ORIENTE

UANI sulle esenzioni temporanee per i paesi con progetti nucleari civili in Iran
Il senatore Joseph I. Lieberman e il CEO ambasciatore Mark D. Wallace, presidente contro l’Iran nucleare (UANI), hanno rilasciato la seguente dichiarazione relativa al rinnovo delle deroghe temporanee per i paesi che gestiscono progetti nucleari civili in Iran:

Le esenzioni dalla cooperazione nucleare civile nell’ambito del Piano d’azione globale congiunto (JCPOA) forniscono all’Iran un percorso per costruire un’arma nucleare. Come tale, questa dovrebbe essere l’ultima estensione per dare ai paesi che operano in Iran l’opportunità di liquidare il proprio lavoro. Mantenere la massima pressione rimane la via più promettente per convincere il regime iraniano a cambiare il suo comportamento maligno. Riteniamo che la massima pressione debba in definitiva significare proprio questo: nessuna eccezione e nessuna esenzione.

Leggi il rapporto di UANI “Cosa c’è di sbagliato nell’accordo nucleare iraniano”

Trump afferma che l’Iran vuole negoziare “fortissimamente”
In un discorso durante una manifestazione a Cincinnati, Ohio, il primo agosto, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che l’Iran vuole lavorare ad un accordo “fortissimamente”. Trump ha detto che “l’Iran è un paese molto diverso rispetto a due anni e mezzo fa quando ho preso il controllo. Era tutto finito. Ora vogliono negoziare fortissimamente.”

Riferendosi all’accordo nucleare siglato con Obama, Trump ha poi affermato che “all’epoca abbiamo dato loro 150 miliardi di dollari”, riferendosi alla revoca delle sanzioni internazionali legate all’accordo nucleare. Secondo alcune stime indipendenti il beneficio effettivo che l’Iran ha ricevuto dopo che l’accordo è stato concluso vicino a $ 50 miliardi.

Non è dato sapere se siano in corso contatti clandestini tra i due paesi, ma l’Iran afferma pubblicamente che gli Stati Uniti dovrebbero tornare a sostenere l’accordo nucleare. Trump ha sottolineato il denaro versato a Teheran negli ultimi mesi dell’amministrazione Obama per risolvere controversie monetarie, rimaste irrisolte per decenni. Il Presidente ha detto: “Abbiamo dato all’Iran 1,8 miliardi di dollari in contanti, con aerei carichi di denaro contante. Mi chiedo cosa abbiano pensato quando sono atterrati quegli aerei. Mi chiedo dove siano finiti quei soldi. Vi rendete conto? 1,8 miliardi di dollari consegnati in contanti.”

Gli Stati Uniti pongono sanzioni individuali sul Ministro degli Esteri iraniano
Il 31 luglio gli Stati Uniti hanno sanzionato il Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Le sanzioni individuali prevedono che “tutte le proprietà e gli interessi legati a questa persona che si trovano negli Stati Uniti o in possesso o controllo di persone statunitensi devono essere bloccati e segnalati” all’Ufficio del Tesoro del controllo delle attività estere.

La decisione è stata presa a seguito delle azioni che Zarif continua ad eseguire a nome del leader supremo iraniano Ayatollah Ali Khamenei, che il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha riassunto così: il Ministro degli Esteri iraniano “implementa l’agenda sconsiderata del leader supremo dell’Iran ed è il principale portavoce del regime in tutto il mondo. Gli Stati Uniti stanno inviando un chiaro messaggio al regime iraniano che il suo comportamento è completamente inaccettabile.”

Zarif ha respinto le sanzioni in un messaggio su Twitter, scrivendo di non aver né proprietà né interessi al di fuori dell’Iran. Le sanzioni prevedono anche il divieto di entrata negli Stati Uniti e ciò potrebbe avere un impatto sul viaggio che Zarif dovrebbe fare a New York in occasione della prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre. Un membro dell’amministrazione Trump ha dichiarato: “Il Dipartimento di Stato valuterà circostanze specifiche relative a questo caso e deciderà coerentemente con le leggi esistenti.”

Rouhani definisce “infantile” la decisione di sanzionare il Ministro Zarif
Il primo agosto il Presidente iraniano Hassan Rouhani ha accusato gli Stati Uniti di “comportamento infantile” dettato dalla paura, dopo che Washington ha imposto sanzioni individuali al Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif. Parlando in diretta dalla televisione di stato, Rouhani ha detto che gli Americani “ricorrono a comportamenti infantili. Dicevano tutti i giorni ‘Vogliamo parlare senza precondizioni’ e poi sanzionano il Ministro degli Esteri” ha detto Rouhani nelle osservazioni trasmesse in diretta sulla televisione di stato.

In riferimento a numerose interviste rilasciate da Zarif ai media statunitensi quando ha visitato New York per incontri alle Nazioni Unite a luglio, Rouhani ha aggiunto: “Un paese che crede si crede potente e una superpotenza mondiale ha paura delle interviste del nostro Ministro degli Esteri. Quando Zarif rilascia un’intervista a New York, gli americani dicono che il nostro ministro stia fuorviando la nostra opinione pubblica. Cosa è successo alla libertà, alla libertà di espressione e alla democrazia? I pilastri della Casa Bianca tremano alle parole e alla logica di un uomo e di un diplomatico ben informato e altruista.”

Zarif ha vissuto negli Stati Uniti dall’età di 17 anni come studente di relazioni internazionali a San Francisco e Denver, e successivamente come diplomatico presso le Nazioni Unite a New York, dove è stato ambasciatore iraniano dal 2002 al 2007.

Zarif sanzionato dagli Stati Uniti a causa delle sue capacità di negoziazione
Gli Stati Uniti hanno sanzionato il Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif perché temono le sue capacità di negoziazione, ha detto il portavoce del Ministero degli Esteri iraniano Abbas Mousavi in un tweet del primo agosto. “Il picco di stupidità e incoerenza dei leader americani è giunto al punto in cui non riconoscono l’autorevolezza del Dr. Zarif nella politica iraniana, e con la massima ignoranza lo sanzionano!” ha scritto Mousavi, aggiungendo che “gli americani temono tremendamente l’intelligenza del Dr. Zarif e le sue capacità di negoziazione.”

Dati contrastanti sul petrolio iraniano esportato
Secondo Reifinitiv, una fonte industriale che traccia i flussi di petrolio, le esportazioni di petrolio iraniane sono diminuite fino a un minimo di 100.000 barili al giorno (bpd) a luglio, una quantità insufficiente perfino per riempire due grandi portatori di greggio che trasportano circa 2 milioni di barili ciascuno. Refinitiv stima anche che l’Iran abbia esportato circa 120.000 bpd a luglio, se si includono anche i barili di condensato, un tipo di greggio più leggero.

Se questi numeri fossero accurati, rappresenterebbero un calo di almeno 400.000 bpd esportati a giugno, e un calo ancora più drammatico rispetto ai 910.000 bpd esportati ad aprile, il mese prima della scadenza delle deroghe statunitensi. L’Iran è in grado di fare molto meglio. Nell’aprile 2018 sono stati esportati 2,6 milioni di barili esportati.

Il problema è che ci sono anche numerose fonti del settore che ritengono che le esportazioni di petrolio iraniano siano sostanzialmente più alte di quanto si possa evincere dai dati di localizzazione delle navi o dai rapporti dei funzionari portuali. Le navi dovrebbero mantenere sempre attivi i segnali di localizzazione del loro sistema di identificazione automatica, ma è noto che molte navi cisterna utilizzate dall’Iran disattivano questi sistemi per mascherare i loro movimenti, nonché le operazioni di carico e scarico.

Nessuno scambio di navi tra Regno Unito e Iran
Il primo agosto la Gran Bretagna ha escluso lo scambio di una nave cisterna iraniana detenuta da Gibilterra per una nave cisterna battente bandiera britannica catturata dall’Iran nel Golfo.

“Non intendiamo barattare: se persone o nazioni hanno catturato illegalmente l’imbarcazione britannica, allora occorre rispettare lo stato di diritto e il diritto internazionale”, ha detto il nuovo Ministro degli Esteri britannico Dominic Raab, specificando che “non baratteremo una nave detenuta legalmente con una nave detenuta illegalmente. Quindi temo che una sorta di baratto, di contrattazione non sia sul tavolo.”

Le tensioni sono aumentate tra l’Iran e la Gran Bretagna quando il commando iraniano ha sequestrato una nave cisterna battente bandiera britannica il mese scorso. La cattura è avvenuta dopo che le forze britanniche avevano a sequestrato una petroliera iraniana vicino a Gibilterra, accusata di violare le sanzioni contro la Siria.

30 anni di carcere e 111 frustrate per un giovane avvocato iraniano
Una “Corte Rivoluzionaria Islamica” a Teheran ha confermato la condanna a trent’anni di carcere per un noto avvocato iraniano e difensore dei diritti umani. Amirsalar Davoudi, inizialmente condannato a 30 anni lo scorso giugno, si è rifiutato di fare appello e la sentenza è stata automaticamente confermata martedì 30 luglio.

“Quindici anni di condanna sono obbligatori” ha detto un collega di Davoudi, che ha aggiunto che farà “tutto il possibile, secondo legge, per sollecitare il capo della magistratura e il Procuratore generale di Teheran a cancellare questo verdetto.”

Davoudi è stato condannato a 111 frustate, a pagare una multa di 60 milioni a rials (circa 1400 dollari) e alla rimozione dei suoi diritti sociali per due anni. L’accusa è di “propaganda contro lo Stato”, di “insulto a membri del governo”, e di “collaborazione con uno Stato nemico” dopo aver rilasciato un’intervista alla televisione in lingua persiana Voice of America.

Altre tre donne condannate a 55 anni per aver contestato l’hijab obbligatorio
Una “Corte della Rivoluzione” a Teheran ha condannato a un totale di 55 anni e 6 mesi di reclusione Monireh Arabshahi, Yasamin Ariany e Mojgan Keshavarz per essersi rifiutate di indossare il velo. Il difensore delle tre condannate ha dichiarato a Ensaf News il 1° agosto che se il verdetto fosse confermato, sarebbero condannate ciascuna a dieci anni di prigione, perché in Iran se una pena detentiva è insolitamente lunga, è prevista una pena più breve. Di solito, viene ridotta a poco più della metà della pena originaria.

Il verdetto è stato emesso in assenza degli avvocati difensori. L’accusa è di “assemblea e collusione per agire contro la sicurezza nazionale”, “propaganda contro il regime”, nonché di “incoraggiare e preparare attività di corruzione e prostituzione”. Arabshahi, Ariany e Keshavarz presenteranno appello.

Ricercatore svedese-iraniano trasferito in isolamento
Un medico e ricercatore svedese-iraniano incarcerato dal maggio 2016 per “spionaggio” e condannato a morte è stato trasferito in un luogo non identificato. Lo ha reso noto la moglie, che abita in Svezia, a Radio Farda il 1° agosto con cui ha potuto parlare al telefono. Il dott. Ahmad Reza Jalali era stato arrestato dall’intelligence iraniana durante un viaggio nella capitale iraniana dove si era recato per partecipare a una conferenza scientifica su invito dell’Università di Teheran.

Jalali è stato condannato a morte dopo essersi rifiutato di collaborare con l’intelligence per spiare gli scienziati iraniani all’estero. Jalali soffre di gravi problemi di salute e Amnesty International ha sollecitato il Procuratore generale di Teheran a consentire cure mediche specialistiche. Jalali è uno dei numerosi iraniani residenti all’estero incarcerati durante un viaggio in Iran.

Un attacco ad una parata militare in Yemen causa 32 morti
Il 1° agosto, due attacchi diversi in Yemen, incluso un attacco missilistico da parte del movimento Houthi alleato dell’Iran, hanno ucciso almeno 32 persone, tra cui ufficiali di polizia e un comandante militare. Il movimento Houthi ha affermato di aver preparato gli attacchi con droni e missili su una parata militare ad Aden, sede del governo sostenuto dai sauditi, uccidendo il comandante e diversi militari.

Gli Emirati Arabi Uniti si ritirano dallo Yemen
Il 4 agosto gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno deciso di ritirare la maggior parte del loro contingente dallo Yemen. Un fatto che mette in luce le dure realtà alla base della geopolitica mediorientale. Il ritiro suggerisce che gli EAU si stanno preparando per la possibilità di uno scontro militare degli Stati Uniti con l’Iran in cui EAU e Arabia Saudita potrebbero emergere come campi di battaglia principali. Riflette anche sottili differenze di vecchia data negli approcci dell’Arabia Saudita e degli EAU verso lo Yemen.

La decisione evidenzia la preoccupazione degli Emirati circa la loro posizione internazionale colpita dalle crescenti critiche sulle perdite di vite nella guerra civile e dal fatto che il supporto indiscusso dell’amministrazione Trump potrebbe non essere sufficiente a proteggere i suoi alleati da un danno di reputazione significativo.

Il ritiro costituisce una messa a punto piuttosto che un cambio di rotta degli EAU nel contenere l’Iran e contrastare l’Islam politico. Lo dimostrano il coinvolgimento degli Emirati nella guerra civile libica con il sostegno del generale Haftar, nonché il sostegno ai militari sudanesi e ad autocrati come il presidente egiziano al-Sisi. Il ritiro, comunque, non è completo al 100%. Gli EAU mantengono la base di Al-Mukalla per operazioni di antiterrorismo.

FOTO DELLA SETTIMANA
Hong Kong, 2 agosto 2019: Migliaia di persone al raduno organizzato dai funzionari pubblici per chiedere al governo di ascoltare le loro richieste

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