N 23 – 29/4/2019

N 23 – 29/4/2019

PRIMO PIANO

Segnalazione urgente dell’AGCOM al Governo per Radio Radicale
Il 23 aprile l’Agenzia per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom) ha inviato una segnalazione urgente al Governo rispetto alla situazione di Radio Radicale, a rischio di imminente chiusura, affinché venga prorogata l’attuale convenzione, “quanto meno fino al completamento della definizione dei criteri e delle procedure di assegnazione”. L’AGCom ha inoltre specificato che: “Non prorogare la convenzione prima di una riforma che ridefinisca il servizio radiofonico dedicato all’informazione istituzionale di interesse generale significherebbe la certa interruzione di questo servizio pubblico di cui si riconosce la indispensabilità e il modo ineccepibile in cui è stato e viene reso da decenni da Radio Radicale.”

Prosegue la raccolta firme online per la vita di Radio Radicale, lanciata da Rocco Papaleo, Alessandro Haber, Luca Barbarossa, Jimmy Ghione e Alessandro Gassmann. La petizione sta infatti per raggiungere e superare le 100.000 firme. Firma e fai firmare visitando questa pagina.

Approfondimento a Radio Radicale sul diritto alla conoscenza, la Cina, il 5G
Il 28 aprile Giulio Terzi di Sant’Agata, Presidente del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”, ha conversato con Laura Harth, Rappresentante del Partito Radicale alle Nazioni Unite e Francesco Radicioni, corrispondente di Radio Radicale dall’Asia, alla trasmissione “Diritto alla Conoscenza” in onda su Radio Radicale.

La trasmissione si è focalizzata sull’azione cinese a livello globale tramite la Belt and Road Initiative e lo sviluppo della rete 5G. I partecipanti hanno messo in evidenza i grandi problemi legati ad uno spazio cibernetico non regolamentato e le conseguenze da non trascurare sia sul piano geostrategico e di sicurezza nazionale in senso stretto, sia sul piano delle libertà individuali garantite nelle democrazie occidentali ma sotto crescente pressione dalle attività (semi-)statali di imprese provenienti da paesi illiberali e autoritari, a partire della Cina.

Pubblicato il Rapporto della Commissione europea sulla giustizia negli Stati Membri
Introdotto da Vera Jourova, Commissario europeo per la giustizia, i consumatori e la parità di genere, il 26 aprile la Commissione europea ha pubblicato il quadro di valutazione annuale della giustizia nell’Unione europea 2019 che offre un’analisi comparativa dell’indipendenza, della qualità e dell’efficienza dei sistemi giudiziari negli Stati membri dell’UE. Da questa settima edizione del quadro di valutazione emerge che un gran numero di Stati membri UE ha continuato a impegnarsi a migliorare ulteriormente l’efficacia dei sistemi giudiziari nazionali. Tuttavia, permangono seri problemi che minano la piena fiducia dei cittadini nei sistemi giudiziari. Le garanzie fondamentali e la posizione dei giudici costituiscono un punto debole che mette a rischio l’indipendenza della magistratura. La Commissione si dice intenta a monitorare la situazione negli Stati membri e impegnata ad assicurare che qualsiasi riforma della giustizia rispetti il diritto dell’UE e le norme europee sullo stato di diritto.

IRAN E MEDIO ORIENTE

Convegno a Roma: “Geopolitica, questioni nucleari e Medio Oriente”
L’Istituto Internazionale di Studi Strategici (IISS) terrà un seminario intitolato “Geopolitica, questioni nucleari e Medio Oriente”, il 2 maggio 2019 dalle ore 9, al Grand Hotel Parco Dei Principi, a Roma. I partecipanti affronteranno la fattibilità dell’accordo sul nucleare iraniano (JCPOA) dal quale gli Stati Uniti si sono ritirati, questioni di sicurezza, conflitti in corso, potenziali aree di cooperazione in Medio Oriente.

Tra i relatori iraniani, arabi, europei e americani vi sono: i professori Albadr Al Shateri, del National Defense College degli Emirati Arabi Uniti, Awadh Al Badi del King Faisal Center for Research and Islamic Studies dell’Arabia Saudita, Abdullah Babood della Qatar University, Irina Fedorova della Russian Academy of Sciences, Tarek Mitri dell’American University of Beirut, Steven Miller della Harvard University, Ellie Geranmayeh dello European Council on Foreign Relations; gli ambasciatori iraniano Seyed Kazem Sajjadpour e gli italiani Emanuele Farruggia e Giulio Terzi di Sant’Agata.

Giulio Terzi ad Euronews: “L’Europa deve designare la Forza Quds come organizzazione terroristica”
La scorsa settimana, gli Stati Uniti hanno annunciato la decisione di designare il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica dell’Iran (IRGC) come organizzazione terroristica poiché essa “partecipa attivamente, finanzia e promuove il terrorismo come strumento di governo”. Una scelta che ha trovato reazioni contrastanti negli Stati Uniti e a livello internazionale. I critici temono violente rappresaglie contro le truppe statunitensi presenti in Medio Oriente e che si complichi il perseguimento di opzioni diplomatiche con il regime iraniano che, nel frattempo, ha già reagito designando le truppe statunitensi nella regione come terroristi. Nonostante la fondatezza di tali timori, la comunità internazionale deve prendere una posizione decisa contro il sostegno dell’IRGC al terrorismo.

La Forza Quds è profondamente invischiata nell’ampia infrastruttura dell’IRGC. Quest’ultima è in ultima analisi la responsabile delle attività terroristiche del suo sottogruppo. Tuttavia, le preoccupazioni sollevate circa la proscrizione dell’IRGC nel suo complesso sono legittime. Etichettare un’organizzazione così radicata nell’apparato politico iraniano può creare seri problemi alla gestione del regime in futuro. Perciò occorre evidenziare il ruolo della Forza Quds, un’unità di forze speciali nota per le attività all’estero, in particolare nel fornire formazione, finanziamenti e armi a gruppi estremisti tra cui Hezbollah, Hamas, gli insorti iracheni e le forze del regime siriano nella guerra civile di quel paese.

Dunque, etichettare come organizzazione terrorista la sola Forza Quds eviterebbe molte di queste insidie e faciliterebbe l’obiettivo di schierarsi contro il sostegno iraniano a gruppi terroristici all’estero. Il terrorismo sponsorizzato dallo Stato iraniano richiede una risposta internazionale. Gli Stati Uniti hanno fatto una mossa importante etichettando la minaccia e affrontandola per nome, ma servono più sfumature. I governi europei e la comunità internazionale dovrebbero prendere atto delle operazioni della Forza Quds e agire di conseguenza. Definirla per quel che è, un’organizzazione terroristica, sarebbe un passo importante per ritenere l’Iran responsabile delle sue azioni a livello mondiale.

Il Parlamento iraniano etichetta l’esercito statunitense come “terrorista”
Il 23 aprile i legislatori iraniani hanno approvato un disegno di legge che designa il Comando Centrale delle forze militari statunitensi (CENTCOM) come entità terrorista. Si tratta di Il voto è avvenuto un giorno dopo l’annuncio di Washington di non concedere altre esenzioni alle sanzioni statunitensi ai paesi intenzionati ad importare petrolio iraniano e dopo aver designato il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Dei 290 membri del Parlamento di Teheran, 173 hanno votato a favore del disegno di legge, quattro hanno votato contro mentre gli altri si sono astenuti.

Il disegno di legge chiede anche al governo iraniano di intraprendere azioni non meglio specificate contro quei governi che appoggiano formalmente gli Stati Uniti. Tra questi Arabia Saudita, Bahrain e Israele, che hanno sostenuto la designazione come organizzazione terroristica dell’IRGC da parte dell’amministrazione Trump.

Inoltre, i legislatori hanno richiesto all’agenzia di intelligence iraniana di fornire alla magistratura un elenco dei comandanti CENTCOM affinché vengano processati in contumacia per “terrorismo”. Non è chiaro quale impatto possa effettivamente avere il disegno di legge. L’IRGC esercita un’importante influenza in Iraq, Siria, Libano e Yemen, ed è responsabile del programma missilistico iraniano con che potrebbe costituire una minaccia alle basi statunitensi presenti nella regione. Risponde direttamente al leader supremo Ayatollah Ali Khamenei e conta su 125.000 unità, suddivise in esercito, marina e aviazione.

Arabia Saudita e Emirati Arabi si impegnano a garantire la fornitura di petrolio di fronte al calo delle esportazioni dell’Iran
L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti garantiranno forniture adeguate di petrolio affinché e il mercato subisca squilibri dopo l’annuncio degli Stati Uniti di non rinnovare le esenzioni sulle sanzioni applicate alle esportazioni di petrolio da parte dell’Iran. Il 22 aprile il Ministro saudita dell’Energia Khalid Al-Falih ha dichiarato: “Nelle prossime settimane il Regno si consulterà da vicino con gli altri paesi produttori e i principali importatori per assicurare che il mercato petrolifero rimanga bilanciato e stabile, per i benefici dei produttori e dei consumatori e per la stabilità dell’economia mondiale.”

Lo stesso giorno il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha ricordato che il 2 maggio scadranno le deroghe alle sanzioni concesse a Cina, Grecia, India, Italia, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Turchia per adattarsi al nuovo scenario e che i paesi che decideranno di proseguire con le importazioni di petrolio iraniano subiranno le sanzioni degli Stati Uniti. Pompeo ha aggiunto che Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti garantiranno una “fornitura adeguata” di petrolio, insieme agli Stati Uniti. Il Presidente Trump ha dichiarato che “l’Arabia Saudita e altri membri dell’OPEC (Organization of Petroleum Exporting Countries) compenseranno in maniera più che abbondante la differenza del flusso di petrolio causata dall’applicazione piena, senza deroghe, delle sanzioni sul petrolio iraniano”.

Secondo gli esperti del settore, i Sauditi e gli Emirati possono aumentare la produzione di petrolio di circa 1,5 milioni di barili al giorno. Gli analisti di Goldman Sachs Group Inc. stimano che la produzione iraniana potrebbe diminuire di 900.000 barili al giorno rispetto ai livelli attuali. Il Ministero dell’Economia russo prevede un lieve aumento della produzione di greggio e condensato nel 2019 a 558 milioni di tonnellate, ovvero 11,21 milioni di barili al giorno. Anche le esportazioni dell’Iraq potrebbero incrementare di 250.000 barili al giorno.

Gli Stati Uniti cercano un nuovo accordo con l’Iran
Il 23 aprile, in un’intervista ad Al Arabiya, il Rappresentante speciale degli Stati Uniti USA per l’Iran Brian Hook ha detto che gli Stati Uniti stanno lavorando ad un nuovo accordo con l’Iran sul programma nucleare e missilistico, per contrastare l’aggressione regionale del paese nella regione e abusi come la detenzione arbitraria di cittadini stranieri.

“Si può lavorare con gli Stati Uniti o con l’Iran, ma non è possibile fare entrambe le cose”, ha detto Hook al canale di proprietà saudita, aggiungendo che “è il tipo di accordo di cui abbiamo bisogno. Siamo pronti a negoziare qualcosa del genere.”

Le sanzioni degli Stati Uniti hanno negato al regime iraniano entrate per oltre 10 miliardi di dollari e la cifra è destinata ad aumentare. “Abbiamo avuto incontri molto buoni con i sauditi e con gli Emirati. E’ nostro comune interesse negare al regime iraniano le entrate di cui necessita per finanziare la sua politica estera.”

Hook ha sottolineato come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Israele siano impegnati a colpire il regime iraniano per arrivare ad un Iran più pacifico, obiettivo che dipende dalla dirigenza di Teheran che “può iniziare a comportarsi in modo più pacifico oppure assistere al crollo dell’economia del paese”. Uno degli obiettivi delle sanzioni è quello di colpire Hezbollah che dipende pesantemente dal regime iraniano. “Storicamente” ha detto Hook “l’Iran versa a Hezbollah 700 milioni di dollari l’anno, ovvero il 70% del loro budget”.

Zarif: Trump vuole parlare, mentre Bolton vuole il conflitto
Il 24 aprile il Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ha detto che l’obiettivo del presidente Donald Trump “è di metterci in ginocchio per parlare”, mentre il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton e gli alleati chiave degli Stati Uniti nel Medio Oriente vogliono “per lo meno un cambio di regime” e “la disintegrazione dell’Iran”.

Zarif dubita che Trump voglia un conflitto perché in campagna elettorale il Presidente si è impegnato “a non sprecare altri 7 trilioni di dollari nella nostra regione solo per peggiorare la situazione”. Ha poi aggiunto che “la squadra B”, ovvero Bolton, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman e il principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed, stanno tentando di provocare l’Iran come pretesto per reazioni americane “pazze” e “avventurose”.

La CIA sposta l’attenzione dal terrorismo a “obiettivi duri” come Russia e Iran
La direttrice della CIA, Gina Haspel, sta riorientando l’agenzia di intelligence spostando l’attenzione dall’antiterrorismo alla lotta contro rivali di stato come Russia e Iran. Il 22 aprile la Haspel ha dichiarato che occorre aumentare gli investimenti in questo senso: “I nostri investimenti in Russia e Iran sono stati rafforzati dopo anni in cui l’enfasi è stata legittimamente posta sull’antiterrorismo, sulla scia dell’11 settembre. Gruppi come ISIS e Al Qaeda rimangono al centro dell’attenzione, ma dobbiamo affinare la nostra attenzione e le nostre risorse sui rivali nazionali”. Il ritorno al contrasto di attori nazionali come Iran e Russia segue un più ampio riorientamento nazionale delineato nella strategia di sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump nel 2017.

Reuel Marc Gerecht, ex agente CIA specialista del Medio Oriente e ricercatore senior alla Foundation for Defense of Democracies, ha detto al Washington Examiner che le osservazioni della Haspel fanno pensare che l’obiettivo sia ottenere maggiori risorse da parte del Congresso piuttosto che una reale ridistribuzione delle risorse sul terreno.

La CIA “ha raggiunto un punto di saturazione con l’anti-terrorismo, ha sicuramente troppe risorse dedicate a quest’obiettivo”, ha detto Gerecht aggiungendo: “ha perfettamente senso tornare ai tradizionali ‘obiettivi duri’ anche se la forza lavoro effettiva che può e dovrebbe essere dedicata a questi obiettivi è limitata”.

La cittadina anglo-iraniana Zaghari-Ratcliffe rimane in carcere a Teheran
E’ sfumata la possibilità che la cittadina anglo-iraniana Nazanin Zaghari-Ratcliffe fosse rilasciata da una prigione di Teheran in cui è detenuta dall’aprile 2016. Il Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ha chiuso ogni comunicazione su questo perché l’omologo britannico, Jeremy Hunt, non ha accettato la proposta di accordo che prevedesse che la donna si dichiarasse colpevole di spionaggio.

Parlando della strategia iraniana di utilizzare detenuti stranieri per fini politici, Hunt ha dichiarato: “Spero che riusciremo non solo a liberare Nazanin, ma anche a porre fine a questa pratica da parte dell’Iran assolutamente vile. E’ fondamentalmente l’unico paese al mondo a farvi ricorso”. Zaghari-Ratcliffe resta dunque in carcere in attesa di capire se la magistratura iraniana concederà la grazia o se invece le farà scontare l’intera condanna a cinque anni.

Firma l’appello per la liberazione dell’avvocato e scrittrice Nasrin Sotoudeh
Il Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella” sostiene l’appello lanciato dal Partito Radicale e da Nessuno Tocchi Caino per chiedere la liberazione della scrittrice e avvocato dei diritti umani Nasrin Sotoudeh condannata in Iran a 38 anni di carcere e 148 frustate.

Ci appelliamo al parlamento e al governo italiani e ai rappresentanti dei parlamenti e dei governi europei perché intervengano con urgenza sulle autorità iraniane per ottenere la liberazione di Nasrin Sotoudeh e porre fine alle pene e ai trattamenti inumani e degradanti che le sono stati inflitti.

L’ONU conferma l’esistenza di un nuovo tunnel tra Libano e Israele
Tra il dicembre 2018 e il gennaio 2019, l’esercito israeliano ha informato la United Nations Interim Force in Lebanon (UNIFIL) di aver scoperto sei tunnel lungo la Linea Blu, la linea di demarcazione che separa Israele dal Libano. A seguito di indagini tecniche indipendenti intraprese conformemente con il suo mandato, UNIFIL aveva confermato che i tunnel che attraversavano la linea blu violano la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Di recente, UNIFIL ha effettuato una nuova ispezione tecnica nei pressi del villaggio libanese di Ramyah dove si trova uno dei tunnel incriminati. Complessivamente, delle sei gallerie segnalate dall’IDF fino ad oggi, UNIFIL ha confermato in modo indipendente l’esistenza di cinque tunnel vicino alla Blue Line nel nord di Israele. Tre di questi sono stati realizzati con l’obiettivo di attraversare la linea blu.

UNIFIL ha informato le autorità libanesi in merito alla violazione e ha richiesto azioni di follow-up urgenti in conformità con le responsabilità del governo del Libano e con la risoluzione 1701.

Putin annuncia un summit con gli omologhi di Iran e Azerbaijan
Il 26 aprile il Presidente russo Vladimir Putin ha reso noto che incontrerà il Presidente azero Ilham Aliyev e il Presidente iraniano Hassan Rohani ad agosto. L’annuncio è stato fatto a margine di un incontro con Aliyev durante un forum organizzato a Pechino sulla Belt and Road Initiative. L’ultimo tra i tre capi di stato è avvenuto a Teheran nel novembre 2017 e in quell’occasione il leader supremo Ali Khamenei aveva invitato Putin ad intensificare la cooperazione tra Teheran e Mosca per isolare gli Stati Uniti e favorire la stabilizzazione del Medio Oriente.

A seguito di quel summit, il Presidente iraniano Rohani ha dichiarato che Iran e Russia devono affrontare assieme il “terrorismo regionale” riferendosi in particolari agli estremisti sunniti ostili all’Iran e al governo di Assad. Sempre a seguito del summit, le società petrolifere Rosneft e National Iranian Oil Company hanno delineato un accordo di cooperazione su progetti “strategici” in Iran per un valore complessivo di 30 miliardi di dollari.

Gli Stati Uniti condannano la persecuzione della comunità baha’i in Yemen
Il 22 aprile il Dipartimento di Stato americano ha esortato le milizie Houthi sostenute dall’Iran a porre fine al maltrattamento delle persone di fede baha’i perseguitate in Yemen dai ribelli Houthi. La presa di posizione è giunta dopo che un tribunale Houthi ha condannato a morte Hamed bin Haydara, uno dei leader della comunità baha’i in Yemen arrestato nel 2013 con accuse di spionaggio e apostasia.

Il Dipartimento di Stato si dice “profondamente preoccupato” e aggiunge: “Gli Houthi si sono rifiutati di fornire le prove contro di lui o di rilasciarlo (…). Durante la detenzione, Hamed bin Haydara ha riferito di aver subito torture fisiche e psicologiche. Gli Houthi hanno preso di mira dozzine di baha’i con accuse simili a quelle imposte a Hamed bin Haydara e altre accuse infondate legate all’appartenenza religiosa. (…). I baha’i affrontano quotidianamente discriminazioni e persecuzioni perché colpevoli di praticare la loro fede inYemen e altrove. La libertà di religione è un diritto umano fondamentale e una fonte di stabilità per tutti i paesi. Chiunque deve essere libero di praticare la propria religione senza timore di intimidazioni o rappresaglie.”

CAMBOGIA

Negato all’esperto ONU un incontro con il leader dell’opposizione cambogiana
La Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Cambogia, Rhona Smith, si è vista nuovamente rifiutare il permesso del governo cambogiano di incontrare e parlare con il leader dell’opposizione Kem Sokha incarcerato nel settembre 2017 e trasferito agli arresti domiciliari nel settembre 2018. Kem Sokha, leader del Partito di Salvezza Nazionale Cambogiano e iscritto al Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito fino a quando gli è stato possibile, è stato arrestato poco dopo il successo elettorale del suo partito alle elezioni locali del 2017 con accuse di tradimento motivate politicamente.

Smith visiterà il paese dal 29 aprile al 9 maggio e non è la prima volta che le viene negato l’incontro. A novembre, la Relatrice speciale aveva chiesto “il rilascio di Kem Sokha dagli arresti domiciliari e la rapida conclusione delle indagini nel suo caso per garantire il diritto a un processo entro un termine ragionevole basato su una valutazione chiara e trasparente delle prove.”

Un portavoce del Ministero della Giustizia ha detto che è del tutto normale che il giudice abbia negato l’incontro perché dall’ordine di custodia di Kem Sokha, il detenuto non può incontrare colleghi di partito, giornalisti, stranieri. Un membro della ONG locale Licadho, ha detto: “Kem Sokha deve essere protetto dal principio di presunzione di innocenza e dal diritto alla libertà garantiti sia dalla Costituzione cambogiana che dagli strumenti internazionali”.

FOTO DELLA SETTIMANA
Roma, 18 aprile 2019: il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana Beppe Giulietti e il direttore di Radio Radicale Alessio Falconio ricordano Massimo Bordin in apertura della conferenza stampa contro il taglio-bavaglio

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