Cherif Bassiouni: siamo su una strada radicalmente diversa da quella del 1948

Cherif Bassiouni: siamo su una strada radicalmente diversa da quella del 1948

Intervento del Prof. Cherif Bassiouni, pronunciato il 29 maggio 2017 presso il Siracusa International Institute di cui è Presidente onorario.

Il video dell’intervento è disponibile sul sito di Radio Radicale

Vorrei sollevare una serie di questioni che non sono collegate l’una con l’altra, ma che hanno un impatto collettivo.

La prima osservazione che farei è che ci troviamo in un periodo in cui siamo su una strada radicalmente diversa da quella sulla quale eravamo nel 1948. Il ‘48 era l’apertura della strada dei diritti umani, della responsabilità individuale dei vari attori che violavano i diritti, della protezione delle collettività sotto la convenzione contro il genocidio e crimini contro l’umanità. L’estensione dei diritti fondamentali riconosciuti nella Dichiarazione Universale Dei diritti dell’uomo del 1948, a tutti i popoli del mondo.

Lì si è aperta una strada. Quella dichiarazione, che sembrava una semplice dichiarazione che non avesse forza politica, ha dato vita a due convenzioni molto importanti: la Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici e quella sui Diritti Economici, che sono le due “covenants” fondamentali per la protezione dei diritti dell’uomo o dell’essere umano, che includono tutti questi diritti o queste categorie dei diritti.

Essendo questo il caso però, dobbiamo notare che nessuna di queste convenzioni e quelle che le seguono, salvo poche, hanno un carattere obbligatorio verso gli Stati, e siamo da questo periodo ad oggi in vari paesi a discutere di queste obbligatorietà di queste convenzioni internazionali. Tuttavia, come si è visto, ognuno di questi temi, come il tema che affrontiamo oggi, hanno avuto inizio da una dichiarazione. Si è cominciato gettando un principio. Come diceva l’avvocato Paolo Reale, si sono viste un numero di convenzioni specifiche che hanno sviluppato temi particolari di questo aspetto. Per esempio, abbiamo visto un numero di convenzioni sulla protezione dei diritti della donna e dei bambini, sulle non discriminazioni, ecc.

Dal 1948 ad oggi abbiamo elaborato oltre trecento convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo. Spesso erano convenzioni che andavano dal più generale al più specifico, in pochi casi abbiamo cambiato marcia e siamo passati dalla prescrizione, cioè l’obbligatorietà giuridica, alla proscrizione, cioè alla sentenza penale. E questo l’abbiamo visto principalmente con la Convenzione contro la Tortura.

Non abbiamo nessun’altra convenzione sui diritti umani che criminalizza l’attività. Certo, la definizione di crimine contro l’umanità è una definizione che si applica a delle violazioni gravi collettive, che sono fondate sulla politica dello Stato. Però voglio sottolineare che, nonostante i crimini contro l’umanità si trovino nello Statuto della Corte Penale Internazionale, non esiste una convenzione internazionale sui crimini contro l’umanità. Ve l’immaginate, è stata elaborata nel 1945 quando c’era poca base per dire che i crimini contro l’umanità erano veramente un crimine internazionale.

Da allora fino ad oggi abbiamo visto undici diverse elaborazioni. Lo Statuto della Corte per la Jugoslavia definisce i crimini contro l’umanità in un certo modo, quello del Ruanda li definisce in un altro, quello della Corte Penale Internazionale in un altro ancora. Otto tribunali ad hoc, ciascuno li definisce diversamente. A questo punto ci si deve domandare se questo è veramente dovuto all’incompetenza di tutti i diplomatici che sono stati responsabili di questo settore negli ultimi 50 anni, oppure se c’è un altro motivo: è semplicemente la realpolitik. L’interesse degli Stati. Gli Stati non hanno interesse a promulgare il diritto alla conoscenza. Il diritto alla conoscenza non avrebbe permesso agli Stati Uniti di invadere l’Iraq sotto Saddam, perché le informazioni che sono state ricevute e presentate alle Nazioni Unite erano false, e perciò l’acquisizione del diritto alla conoscenza non riguarda tanto il diritto alla conoscenza di quello che si sa o di quello che è vero, ma di quello che si nasconde, di quello che non è vero, di quello che si fabbrica.

Per esempio, durante il periodo della guerra in Libia vi era un problema politico negli Stati Uniti sulla loro partecipazione, o meno, con la NATO ai bombardamenti in Libia senza ottenere il permesso del Congresso. La risposta di Obama è stata: “va bene non parteciperemo”. Sì, però tutti gli aerei della NATO, i pezzi di ricambio e le bombe provenivano dall’America. Come si può non partecipare e poi fornire tutto ciò?

Qualcuno se n’è venuto fuori con un escamotage, dicendo: “Perché non prendiamo i pezzi che non sono più utilizzabili? – perché ogni pezzo ha una scadenza, dopo una certa data non è più valido; lo stesso vale per i proiettili e le bombe – Questi glieli diamo, non abbiamo bisogno del permesso del congresso”. E così gran parte dei bombardamenti della NATO condotti dagli inglesi e dai francesi ebbero questa provenienza.

Quando ero Presidente della Commissione d’Inchiesta delle Nazioni Unite sulla Libia, abbiamo scoperto una bomba finita fuori bersaglio che ha distrutto un appartamento privato. Abbiamo trovato un pezzo che diceva valid until con una data che era di 2 anni prima. Ovviamente significa che il sistema di guidance della bomba era superato e quando hanno lanciato la bomba con il sistema di guidance su un obiettivo militare, questa è andata a finire su un obiettivo civile.

Naturalmente questa e tante altre informazioni, in particolare quelle che riguardano l’utilizzazione dei droni soprattutto nella nuova epoca del cyber-crime, la conoscenza è non solo quello che si sa ma quello che non si sa, perché ovviamente i governi sanno parecchio sull’utilizzo del cyber-crime, però non lo dicono. Lo si vede per esempio con la British Airways che ha dovuto sospendere tutti i suoi voli per la penetrazione che ha subito.

Un’altra questione che nessuno considera, e il diritto alla conoscenza lo dovrebbe sollevare, è il fatto che stiamo entrando in una nuova generazione di Automated Weapon Systems (ATS). Gli ATS sono una cosa simile ai droni, al cyber-crime ecc: dove vi è un attacco da una parte contro l’altra senza sapere da dove e chi lo ha lanciato. Perciò, tutti i presupposti sulla responsabilità penale dell’individuo come elemento deterrente non valgono più.

Ultima osservazione: penso che purtroppo il potere decisionale che impatta su tutte le società del mondo, non è più controllato dallo Stato, ma dalle grandi società internazionali, che sono al di là del controllo dello Stato. Quando uno pensa per esempio ad una società petrolifera negli Stati Uniti il cui presidente è diventato il Ministro degli Esteri, perché si aspetta di fare un accordo tra questa società e una società russa per lo sviluppo delle estrazioni petrolifere nella zona artica, questo dice tutto. Non è più lo Stato che controlla, è la società multinazionale che controlla. Quante società multinazionali sono sotto il controllo nazionale o internazionale? Fatemi vedere una convenzione internazionale che controlla questi attori a livello internazionale.

Perciò sono costoro gli attori che controllano la politica e su questo gli Stati hanno le informazioni, ma non le danno, perché hanno un interesse reciproco con le società; tu mi dai questo, io ti do questo e rimani al potere. E ciò dimostra la debolezza del concetto democratico degli anni passati, che oramai è superato, anche perché dipende molto dall’interesse del pubblico, che negli anni si è dimostrato meno interessato. Diciamo che la generazione post-millenium è una generazione dell’immediato, della soddisfazione personale, non è più una società che si interessa prevalentemente alla collettività e ai valori, difatti di valori e principi se ne parla molto poco. E qui dobbiamo pensare al futuro, a come le multinazionali abbiano trovato il modo di evadere il controllo internazionale, quello degli Stati, di essere alla pari con lo Stato.

Attraversiamo un periodo in cui le società civili nel mondo, che siano dalla parte dei giornalisti o degli operatori nel campo dei diritti dell’uomo, devono trovare delle nuove strutture per rafforzare la loro capacità di far fronte sia alle società multinazionali che esercitano un potere oltre statale, sia agli Stati i cui poteri cadono per mancanza d’interesse del pubblico.

Basta guardare la percentuale degli elettori che nei vari paesi si presentano al voto. Quando uno vede che solo massimo il 50/60% si presenta, già questo deve dire qualcosa di importante. Quando uno vuole vedere la letteratura che leggono dei 20-30enni, vediamo che c’è molto poco sulla questione dei diritti umani, diritti della collettività, responsabilità penale internazionale ed altro.

Perciò questo è un passo in avanti importante, è un passo di principio; ma la battaglia sarà lunga, perché ogni passo sarà combattuto dagli Stati, perché per gli Stati la realpolitik è quello che so che posso divulgare e quello che so che non voglio divulgare. Arrivare a forzare la divulgazione di quello che lo Stato non vuole divulgare penso sia troppo difficile, perché non c’è una controparte politica che possa incentivare, per non dire motivare o forzare, gli Stati ad andare in questa direzione. Ma, ovviamente, non abbiamo scelta, non possiamo rimanere indifferenti. E’ sufficiente ricordare nel 1939, quando siamo stati indifferenti, cosa è successo: un Olocausto di 6 milioni di ebrei e 20 milioni di slavi dovuto in larga misura all’indifferenza. Basta guardare la guerra in Siria, con quasi 500.000 persone ammazzate, e l’opinione pubblica mondiale non reagisce, non domanda se vi sia una responsabilità penale sia da parte dei russi che degli iraniani, che sono principalmente responsabili con il regime di Assad.

Io vi ringrazio, sono solo osservazioni generali che aggiungo a quello che hanno detto specificamente gli altri relatori.

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